venerdì 27 luglio 2012


Esiste davvero il “cervello gay”? - Fattori biologici e cerebrali nell’omosessualità. - di Alberto Carrara, biotecnologo e neuroeticista, 26 luglio, 2012, http://www.uccronline.it/

La giornalista Ann Landers, anni fa, lo assicurava e milioni di persone ci hanno creduto e continuano ad aver fede nelle certezza che: “si nasce gay”[1]. Ci chiediamo allora: vi sono dati empirici che la scienza possa fornire per dimostrare in modo apodittico tale affermazione? In sintesi: omosessuale si nasce o si diventa?

Questo studio riassuntivo vuole confrontare nel modo più obiettivo possibile i dati che la neuroscienza e la genetica forniscono sul questa tematica. Mi concentrerò prevalentemente sulla prima parte dell’ultima domanda: “omosessuale si nasce?”. Prima di trattare l’enigma se l’omosessualità sia una condizione determinata da fattori biologici, cioè, se sia una situazione compatibile con ciò che si suol denominare “normale” all’interno della stessa natura umana, bisogna premettere alcune distinzioni e chiarimenti utili.

Bisogna precisare che: una cosa è “sentire” una tendenza, altra cosa è “acconsentire” e assecondare tale tendenza mediante atti umani deliberati. Tutti gli studi scientifici condotti in materia di omosessualità per provare se tale condizione fosse determinata da fattori biologici e neurologici, hanno coinvolto persone che si definiscono “gay”, cioè individui che oltre a percepire una tendenza sessuale verso persone dello stesso sesso biologico, praticano atti omossessuali. In questo studio verrà presa in considerazione la tesi secondo la quale l’omosessualità praticata risulterebbe qualcosa di “normale e naturale” dato che corrisponderebbe a specifici fattori genetici e a particolari conformazioni della struttura del sistema nervoso, in particolare, del cervello. I dati empirici che verranno presentati, serviranno per verificare la veridicità di questo nuovo ambito del determinismo neuroscientifico che comprende la sfera dell’orientamento della sessualità umana.

“Il sistema nervoso, quale centro d’integrazione della vita istintiva, come pure del mondo emotivo ed affettivo, ha molto a che vedere con la sessualità e considerando il fatto che il comportamento sessuale dell’uomo e della donna sono distinti, bisogna supporre a priori che i centri nervosi sessuali presentano differenze in entrambi i sessi”, in questo modo formulava il problema un esperto[2]. Nel 1978 quattro scienziati del Dipartimento di Anatomia dell’Istituto di Ricerca sul Cervello dell’Università della California (USA), pubblicarono un articolo sulla prestigiosa rivista Brain Research nel quale veniva descritta una chiara diversità morfologica tra i due sessi, maschile e femminile, a livello cerebrale[3]. Questo fu uno dei primi lavori che volevano dimostrare scientificamente il dimorfismo sessuale localizzandolo a livello dei centri nervosi. I ricercatori affermarono di aver evidenziato il fatto che uno dei nuclei ipotalamici anteriori presentava, nel ratto, un volume maggiore nei maschi, rispetto alle femmine.

Simon LeVay, neuroscienziato del Salk Institute for Biological di San Diego (uno degli attivisti gay più famosi della California), pensò subito che questo dimorfismo sessuale potesse darsi anche nella specie umana e, nello specifico, nei maschi eterosessuali ed omosessuali. Così, nel 1991 pubblicò sulla prestigiosa rivista scientifica Science uno studio in cui si provava effettivamente che anche negli esseri umani, negli uomini, si manifestava lo stesso dimorfismo sessuale dimostrato nei ratti in modo tale che il nucleo 3 dell’ipotalamo anteriore aveva un’area quasi doppia nei maschi, rispetto alle femmine[4]. Nello stesso studio LeVay ricercò le dimensioni di questo nucleo in un gruppo di 27 gay deceduti a causa dell’AIDS. La sua conclusione fu che in questi soggetti l’area risultava essere minore (in volume) rispetto agli eterosessuali e appariva, sempre secondo LeVay, simile alle dimensioni dello stesso nucleo ipotalamico delle donne. LeVay affermò quanto segue: “questi risultati indicano che il nucleo ricercato presenta un dimorfismo in relazione all’orientamento sessuale, almeno negli uomini e suggerisce che l’orientamento sessuale abbia un sostrato biologico”.

Dal semplice suggerimento si passò presto a dichiarare il fatto: “l’omosessualità ha una base biologica”! Questi risultati vennero lanciati e propagandati dai gay e dalla stampa senza alcuna distinzione e con titoli clamorosi come il seguente: “LeVay e il suo gruppo hanno dimostrato la base neurologica della gaycità”. Queste interpretazioni, decisamente di parte e non prive di pregiudizi, dei risultati e la scarsa significatività statistica dei valori riportati dallo stesso LeVay, furono sufficienti per stimolare parte della comunità scientifica che rispose con una serie di articoli critici[5]. Effettivamente numerosi neuroscienziati non si spiegavano come LeVay, noto e rispettato ricercatore, avesse potuto pubblicare un lavoro del genere con una base scientifica così patentemente insufficiente per sostenere le conclusioni addotte. Il numero di casi studiati da LeVay, considerando la dispersione dei valori statistici ottenuti, era insufficiente a concludere qualsiasi cosa. In realtà, il nucleo ipotalamico in questione presentava in alcuni soggetti gay un’area simile in volume a quella di soggetti eterosessuali e, al contrario, in certi eterosessuali il volume dello stesso nucleo risultava poco più grande di quello delle donne. Si potrebbe anche ribattere che, mentre LeVay misurava le dimensioni del nucleo come elemento disciminativo, in realtà sarebbe stato meglio, cioè sarebbe risultato più specifico considerare il numero di neuroni o la cariometria.

Swaab e Hofman affermarono in modo chiaro e lampante che le osservazioni di LeVay non erano state ancora confermate, né risultava chiara il loro ruolo funzionale[6]. Così LeVay si vide obbligato a spiegare alla comunità scientifica che ciò che pubblicò corrispondeva solamente ad una piccola parte, ad uno studio iniziale che sarebbe proseguito nel tempo. Beh, sono trascorsi più di 10 anni da questa affermazione e la comunità scientifica sta ancora aspettando con ansia lo studio completo. Dopo due anni dall’intento fallito del dottor LeVay, che voleva dimostrare la base neurologica della “gaycità”, un altro dottore, Dean Hamer rese noto al pubblico i risultati della sua ricerca sul presunto gene responsabile dell’orientamento sessuale gay. Questi risultati furono ovviamente ripresi da LeVay che nel 1993 pubblicò un libro dal titolo emblemetico: “Il cervello sessuale”[7].

Dean H. Hamer, genetista dell’Isistuto Nazionele del Cancro negli Stati Uniti e, tra l’altro noto gay, affermò di aver trovato finalmente un gene localizzato sul cromosoma X, che avrebbe potuto essere il responsabile dell’omosossualità. Prima di pubblicare questo suo lavoro, Hamer iniziò a indagare il possibile carattere ereditario di questo orientamento sessuale. Studiando un’ampia popolazione, osservò che nelle famiglie in cui si avevano più di un figlio omosessuali, un numero significativo di zii della linea materna avevano anch’essi più di un figlio omosessuale. Ciò non avveniva con la stessa frequanza nella linea paterna. Questo fece pensare a Hamer che doveva esserci un gene localizzato sul cromosoma X che poteva essere “imputato” della tendenza omosessuale. Prendendo le mosse da questa ipotesi di lavoro, lo scienziato americano ricercò sul cromosoma X un gene o marcatore che presentasse qualche variante significativa correlata all’eterosessualità. Questa variante esiste, secondo Hamer, e si trova (in 33 casi su 40, dei soggetti reclutati da Hamer) nel marcatore denominato q28 che Hamer “ribattezzò” gene Xq28 affermando: “abbiamo dimostrato che una forma di omosessualità nei maschi si trasmette in modo preferenziale per via materna ed è legata geneticamente alla regione q28 del cromosoma X”[8].

Nel 1995 il gruppo di ricerca di Hamer pubblicò un nuovo studio similare sulla prestigiosa rivista Nature Genetics[9]. Per l’ennesima volta la stampa divulgò la notizia “scoop” come avvenne in precedenza con le ricerche infondate di LeVay. Nonostante ciò, all’interno della comunità scientifica, questi risultati non furono recepiti con lo stesso entusiasmo delle comunità ed associazioni gay, anzi, un clima di scetticismo pervase sumerosi studiosi e scienziati seri. In effetti, diversi scienziati, tra i quali spiccano George Rice, Carol Anderson e George Ebers della Western University (Ontario, Canada) e Neil Risch dell’Università di Stanford, cercarono di replicare lo studio di Hamer, cosa ovvia e abbastanza scontata per gli scienziati che ci seguono (la scienza positiva funziona così da secoli). I loro risultati vennero pubblicati 6 anni più tardi rispetto al lavoro di Hamer, sulla rivista Science, la stessa in cui, precedentemente Hamer aveva esposto le sue considerazioni scientifiche circa l’orientamento sessuale. La ricerca di questo gruppo di scienziati incluse un numero maggiore di coppie di fratelli omosessuali rispetto al campione considerato da Hamer (52 coppie, contro le 40 di Hamer). Le conclusioni però furono opposte: i risultati ottenuti non permettevano di concludere, dal punto di vista della significatività statistica, che tra gay si desse l’alterazione allelica indicata da Hamer. Questi autori concludevano il loro studio con queste parole: “questi risultati non supportano l’esistenza di un gene localizzato sul cromosoma X responsabile dell’omosessualità”[10]. Lo stesso Hamer dovette perciò smorzare le sue conclusioni iniziali.

Nello stesso anno in cui comparve il primo lavoro di Hamer sull’argomento (1993), William Byne e Bruce Parsons della Columbia University pubblicarono uno studio critico dei risultati dello stesso Hamer. Per Byne e Parsons, la ricerca e le conclusioni del lavoro di Hamer suscitavano numerosi sospetti, specialmente di manipolazione. Questi due scienziati affermarono che “oggigiorno non ci sono evidenze scientifiche che supportino una teoria biologica dell’omosessualità”[11].

Tale tendenza di alcune correnti gay di ricercare in modo sfrenato una giustificazione scientifica, sia biologica, come neurologica, dell’orientamento sessuale e dell’omosessualità, è stata messa in discussione e criticata dagli stessi omosessuali. Edward Stein, infatti, manifestó pubblicamente la sua sfiducia nei confronti di una ricerca smaniosa della base biológica dell’omosessualità che, dopo tutto, conduceva molti ricercatori gay a forzare le interpretazioni dei risultati ottenuti dalle loro ricerche[12]. Le ricerche di LeVay e di Hamer sono certamente tra le più famose e citate. Ci sono però altri filoni che considerano: il diametro della commissura anteriore del cervello, le impronte dattilari, la lunghezza dell’indice della mano e la sequenza di nascita. Tutte queste ricerche hanno in comune il fatto che considerano caratteristiche biologiche che insorgono prima della nascita, cioè che si vanno determinando durante lo sviluppo embrionale. Ciò dovrebbe portare alla dimostrazione, come sostengono ancora alcuni scienziati, che l’orientamento sessuale (omosessualità inclusa) venga determinato prima della nascita. Insomma, che sia un dato di natura: si nascerebbe con una certo e determinato orientamento sessuale. Questi studi, pubblicati su riviste scientifiche prestigiose, costituiscono un’ulteriore prova in favore del grande interesse, da parte di numerosi omosessuali, nel dimostrare che tale orientamento sessuale sia un qualcosa di biologico e congenito, in modo tale che qualsiasi tipologia di “discriminazione” risulti vessatoria e “omofoba”.

Recentemente sulla rivista Neuroscientist la scienziata cinese Ai-Min Bao e il ricercatore landese Dick F. Swaab hanno pubblicato un articolo nel quale si afferma un determinismo stretto, genetico, nei confronti dello sviluppo dell’orientamento sessuale umano. Tali scienziati affermano che “allo stato attuale, non vi sono prove che l’ambiente sociale post-natale abbia un effetto cruciale sull’identità di genere o nell’orientamento sessuale”[13]. Tali affermazioni, capovolgendo completamente la logica della scienza empirica, dimostrano l’incongrunza di pensiero che si nasconde dietro un’ideologica che viene spacciata per scienza seria. Questi ricercatori sembra che si siano dimenticati completamente, per un’amnesia, che le evidenze attuali seguono una tendenza opposta alla loro visione: sempre più i biologi molecolari stanno prendendo coscienza del fatto che i geni (meglio bisogna dire, le varianti alleliche dei geni) cooperano strettamente con l’ambiente circostante. L’importanza dei fattori cosiddetti epigenetici risulta cruciale e permette all’essere umano di “sfuggire” allo stretto determinismo biologico e neuroscientifico.

Al concludere questo studio sintetico di analisi eravamo partiti dal voler dimostrare la domanda: “omosessuali si nasce?”. Bisogna perciò affermare che oggigiorno non possediamo alcuna prova neuroscientifica, né genetica, che possa sostenere in modo credibile e scientifico la pretesa che l’omosessualità sia uno stato naturale dell’essere umano, al contrario, come si è cercato di dimostrare in questo breve contesto, esistono numerosi studi condotti sull’argomento dell’orientamento sessuale umano e vi sono abbontanti evidenze empiriche che negano l’esistenza di basi genetiche e neurologiche causali responsabili della cosiddetta “gaycità”. Non esiste neppure, il celebre “cervello gay” postulato da LeVay. Tutto ciò non esclude affatto che possano esserci fattori biologici, genetici e neurologici che possano fungere da cofattori che, insieme a molti altri di diverso genere, possano contribuire, anche in maniera sensibile, allo sviluppo di un certo orientamento sessuale. Ciò che sembra abbastanza chiaro è che, nel contesto dell’omosessualità, non ci troviamo davanti ad un determinismo neuroscientifico, piuttosto si dovrebbe parlare di condizionamento psicologico e, molto probabilmente, sociologico.



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Note
[1]. Cf. J. Reisman, Kinsey and the homosexual revolution, «Journal of Human Sexuality» 21, 1996, pp. 24-31.
[2]. L. M. Gonzalo Sanz, Entre libertad y determinismo. Genes, cerebro y ambiente en la conducta humana, Ediciones Cristiandad, Madrid 2007, p. 96.
[3]. R. A. Gorski, J. H. Gordon, J. E. Shryne, A. M. Southam, Evidence for a morphological sex difference within the medial preoptic area of the rat brain, «Brain Research» 148, 1978, pp. 333-346.
[4]. S. LeVay, A difference in hypothalamic structure between heterosexsual and homosexual men, «Science» 253, 1991, pp. 1034-1037.
[5]. D. F. Swaab, M. A. Hofman, Sexual differentiation of the human hypothalamus in relation to gender and sexual orientation, «Trends Neuroscience» 18, 1995, pp. 264-270.
[6]. Ibid.
[7]. S. LeVay, The sexual Brain, MIT Press, Cambridge, Massachusetts 1993.
[8]. D. H. Hamer, et al., A linkage between DNA markers on the X chromosome and male sexual orientation, «Science» 261, 1993, pp. 321-327.
[9]. S. Hu, A. M. Pattatucci, C. Patterson, L. Li, D.W. Fulker, S. S. Cherny, L. Kruglyak, D. H. Hamer, Linkage between sexual orientation and chromosome Xq28 in males but not in females, «Nature Genetics» 11,1995, pp. 248-256.
[10]. G. Rice, et al., Male Homosexuality: Absence of Linkage to Microsatellite Markers at Xq28, «Science» 23, 1999, pp. 665-667.
[11]. W. Byne, B. Parsons, Human sexual orientation, «Arch Gen Psychiatry» 50, 1993, pp. 228-239.
[12]. L. M. Gonzalo Sanz, Entre libertad y determinismo…, p. 100.
[13]. A-M. Bao, D. F. Swaab, Sex Differences in the Brain, Behavior, and Neuropsychiatric Disorders, «Neuroscientist» 16, 2010, pp. 550-565.

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