martedì 31 luglio 2012


La facoltà di obiettare - Civilissimo diritto di Assuntina Morresi, 31 luglio 2012, http://www.avvenire.it/

«L'obiezione di coscienza in bioetica è costituzionalmente fondata (con riferimento ai diritti inviolabili dell’uomo) e va esercitata in modo sostenibile; essa costituisce un diritto della persona e un’istituzione democratica necessaria a tenere vivo il senso della problematicità riguardo ai limiti della tutela dei diritti inviolabili»: iniziano così le conclusioni del parere "Obiezione di coscienza e bioetica", approvato dal Comitato nazionale di bioetica (Cnb) con un solo voto contrario. Una larghissima condivisione per un documento che affronta questa tematica in generale, senza soffermarsi sulla sua applicazione nelle leggi italiane che la prevedono ma con uno sguardo al futuro, quando gli sviluppi problematici della tecnoscienza presumibilmente metteranno in gioco sempre più spesso la possibilità di obiettare.

La fondatezza costituzionale dell’obiezione di coscienza, cioè il suo derivare dai princìpi della nostra Carta primaria, ne fa un diritto fondamentale e inviolabile del nostro ordinamento giuridico: non si tratta di una graziosa concessione strappata alla maggioranza parlamentare di turno, di un "privilegio" che una compagine governativa di diverso orientamento può cancellare, ma di uno strumento della democrazia, che impedisce che si possa essere costretti dalla legge a fare qualcosa che ripugna al proprio animo.

Al tempo stesso, il parere chiarisce che esercitare il diritto all’obiezione di coscienza non significa sabotare una legge. Il testo la distingue sia dal diritto di resistenza che dalla disobbedienza civile: due strumenti di lotta politica utili a esprimere un dissenso nei confronti del legislatore. Chi invoca l’obiezione di coscienza lo fa a titolo personale e non mette in discussione l’autorità statale, ma chiede «di poter non obbedire alla legge per poter agire in modo coerente rispetto ai propri valori morali»: è quindi un atto anche di testimonianza, che vuole essere riconosciuto come legittimo nell’ordinamento giuridico. Chi obietta esercita quindi un proprio civilissimo diritto fondamentale e non deve essere discriminato, e, parimenti, non deve esserlo chi non obietta.

Il Cnb dà infine suggerimenti su come rendere «sostenibile» l’obiezione di coscienza, renderla cioè praticabile senza pregiudicare l’accesso a «servizi» previsti dalla legge. Il parere non fa riferimento alla 194, ma è facile verificare che le indicazioni sono coerenti con quanto accade già per l’aborto: la mobilità del personale e reclutamenti differenziati, suggeriti dal Cnb, sono già consentiti dalla normativa attuale. La possibilità di stipulare contratti a tempo determinato – detti anche "a gettone" – per non obiettori, in particolare, è già praticata e consente alle strutture sanitarie di applicare la 194 anche quando la percentuale di obiettori è elevata (contratti a tempo indeterminato, invece, non sono praticabili, e non solo per problemi di discriminazione fra lavoratori: una persona assunta come non obiettore ha sempre il diritto di cambiare idea e diventare obiettore, come già accade ora, e quindi una sua assunzione definitiva non sarebbe risolutiva).

La violenta campagna mediatica di questi mesi contro l’obiezione di coscienza per la 194 ha volutamente ignorato i dati sull’applicazione della legge contenuti nelle relazioni annuali al Parlamento, dai quali è evidente che non esiste alcuna correlazione fra i tempi di attesa delle donne che richiedono di abortire e la percentuale di obiettori.

Esistono regioni in cui all’aumento negli anni di obiettori corrisponde una diminuzione dei tempi di attesa delle donne, mentre in altre al diminuire del numero degli obiettori i tempi di attesa aumentano, contrariamente a quanto si potrebbe immaginare.

I tempi di attesa – e quindi l’accesso alle interruzioni di gravidanza – dipendono essenzialmente dall’organizzazione sanitaria locale, che può ricorrere con minore o maggiore efficienza sia alla mobilità che al reclutamento differenziato a termine. E d’altra parte anche le stesse organizzazioni che hanno condotto la battaglia contro l’obiezione di coscienza forniscono dati che vanno in questa direzione, quando, per esempio, per il Lazio denunciano la presenza di medici non obiettori che comunque non fanno interventi abortivi: un fatto non certo ascrivibile alle elevate percentuali di obiettori, e del quale sarebbe interessante capire le cause.

Il parere del Cnb contribuisce, quindi, a fare chiarezza sulla natura e la fondatezza dell’obiezione di coscienza nel nostro ordinamento giuridico, e può essere un’occasione per spegnere quelle polemiche strumentali con cui, in questi mesi, ignorando la realtà fattuale dei dati e svelando così la natura tutta ideologica della battaglia, è stato aggredito un diritto dei cittadini.

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