venerdì 27 luglio 2012


Gemelli perché sembrano uguali ma sono diversi - I monozigoti hanno lo stesso Dna. Ma i geni si esprimono in modo differente a seconda degli stimoli che ricevono dall’ambiente. Ora una scienza, l’epigenetica, studia questa interazione. E ci aiuterà anche a battere il cancro di ALEX SARAGOSA, 27 luglio 2012, http://www.repubblica.it

Ladan e Laleh erano due sorelle iraniane. Una amava gli animali, l’altra i videogame. Laleh era introversa, Ladan espansiva. Una appassionata di diritto, l’altra di scrittura. Nulla di strano, se non fosse che Ladan e Laleh erano due gemelle siamesi, congiunte alla testa per 29 anni, ma così diverse e decise a diventare individui autonomi da affrontare un rischiosissimo intervento di separazione, che, purtroppo, le ha uccise entrambe nel 2003. «Sono casi come questi che mi hanno fatto riflettere » dice Tim Spector, genetista inglese e uno dei massimi esperti mondiali di gemelli. «Ladan e Laleh erano cloni, con lo stesso Dna in tutte le cellule del loro corpo. Hanno vissuto obbligatoriamente insieme, condividendo le stesse malattie, eventi della vita, scuole, amicizie. Eppure erano diverse. Qualcosa nella costruzione della nostra individualità va evidentemente al di là sia del genoma che dell’ambiente, visti separatamente». Il riconoscimento dell’esistenza di questo «terzo fattore», che fa da ponte tra gli altri due, si sta rivelando importante quanto l’aver decifrato la struttura del Dna umano. «Quando nel 2000 fu annunziato il sequenziamento del genoma umano» spiega Maurizio D’Esposito, ricercatore dell’Istituto di genetica e biofisica del Cnr di Napoli, «pensavamo di avere le chiavi per spiegare quasi tutto di noi, dalle malattie alla personalità. In realtà avevamo solo aperto un primo, piccolo spiraglio». In questi anni, infatti, si è scoperto che ben pochi tratti fisici o patologie derivano da varianti di singoli geni, la quasi totalità è invece collegata all’attività di molti geni combinata con i fattori ambientali. A spiegare come l’espressione dei singoli geni venga modulata dalla relazione con l’ambiente e con gli altri geni è la cosiddetta epigenetica. «Sappiamo da molti decenni che esiste un meccanismo che attiva o disattiva gruppi di geni in ogni cellula» continua D’Esposito «altrimenti non si spiegherebbe perché, pur avendo lo stesso Dna, una cellula del fegato funzioni in modo così diverso da una del cervello o delle ossa. Ma ciò che stiamo scoprendo in questi anni è che questi meccanismi intervengono continuamente durante la vita, in risposta a fattori esterni, sia fisici – come il cibo, l’attività fisica, gli inquinanti – che psicologici – come lo stress e i traumi – cambiando non solo il nostro metabolismo, ma anche la nostra personalità. Fra gli organi più sensibili a questi cambiamenti epigenetici c’è infatti proprio il cervello». Nel libro Identically different (Wedenfeld & Nicolson, pp. 352, sterline 25), Spector riassume quello che l’epigenetica ha scoperto finora, grazie anche allo studio dei gemelli. Che, se monozigoti, ai nostri occhi appaiono assolutamente identici perché i tratti fisici come l’altezza, la conformazione ossea e il tipo di pelle sono quelli più legati all’espressione di base dei geni. «Noi, come altri gruppi nel mondo » dice Spector, «studiamo salute, fisiologia e psicologia dei gemelli identici, che hanno lo stesso Dna, comparando i risultati con quelli ottenuti con gemelli non identici, che hanno in comune la metà del Dna. Sia i gemelli identici che i diversi, condividono età e ambiente di vita: misurando quindi le differenze fra i due membri delle singole coppie – si tratti di malattie contratte o di tratti di personalità sviluppati – si può cercare di risalire a quanto ogni caratteristica dipenda dai geni ereditati». Con questo metodo i genetisti hanno assegnato una percentuale di ereditarietà ad alcune caratteristiche: il peso alla nascita è ereditario al 60 per cento, il QI al 70, l’ottimismo al 40 per cento nelle donne (ma solo al 10 per cento negli uomini). «Ma la cosa più interessante» continua Spector «è che ci siamo accorti che anche fra gemelli identici, disfunzioni, suscettibilità a malattie e personalità, divergono sempre di più con il passare del tempo, come se lo stesso genoma fosse stato modificato in maniera diversa dagli stimoli ambientali». A fare da tramite fra un ambiente sempre variabile e il quasi immutabile Dna sono appunto i meccanismi epigenetici. «Il più comune dei quali» spiega Esposito «è la metilazione, ossia l’addizione al gene bersaglio, tramite speciali enzimi, di una molecola chiamata metile, che ne blocca il funzionamento. Il meccanismo è reversibile, ma l’alterazione a volte dura tutta la vita, e può addirittura essere trasmessa da una generazione all’altra. L’epigenetica, quindi, può essere vista come una sorta di meccanismo evolutivo parallelo, che consente un rapido adattamento del singolo, e della sua prole, all’ambiente, senza attendere la lenta mutazione e selezione naturale del Dna». A far teorizzare quest’ultima, straordinaria caratteristica dell’epigenetica, è stato uno studio sulle donne olandesi incinte durante la carestia del 1944. I loro figli, nati sottopeso, oggi soffrono più della media di diabete e obesità, e hanno generato a loro volta neonati sottopeso. È come se il corpo materno avesse preparato il feto alla situazione di carestia, modificando il funzionamento di alcuni suoi geni per aumentare l’accumulo di grassi e zuccheri, e sopravvivere alla fame. Se però il figlio cresce poi in un ambiente ricco di cibo, il vantaggio epigenetico diventa svantaggio, aumentando il rischio di obesità e diabete. Si stanno ora scoprendo altri effetti dell’ambiente sulle caratteristiche genetiche: nei ratti allevati da madri poco affettuose risulta bloccato epigeneticamente il gene per il recettore glucocortisoide, il che provoca un accumulo di cortisolo, l’ormone dello stress, nel cervello, portando ad ansia e iper reattività. Uno studio compiuto negli Usa su 720 coppie di gemelli e fratelli, seguiti dall’infanzia all’adolescenza, ha rilevato una correlazione fra freddezza delle madri nella prima infanzia e comportamenti antisociali nei teenager. Ciò può poi portare a essere genitori poco attenti, che produrranno figli iper reattivi e così via. Ma la catena può essere spezzata da un ambiente di vita favorevole. «Individuare le alterazioni epigenetiche dei geni legati allo stress» dice Spector «potrebbe in futuro consentirci di individuare in tempo i giovani a rischio e prepararli ad affrontare i problemi». In effetti lo studio dell’«epigenoma» offre notevoli opportunità mediche. «La Cina sta investendo miliardi» dice D’Esposito «e anche l’Italia partecipa a un grande progetto internazionale. Studiamo malattie rare, causate da errori nella metilazione dei geni, per capirne i meccanismi di base, in parte oscuri. Quando li avremo compresi, potremo analizzare gli schemi di metilazione per diagnosticare malattie e realizzare farmaci per curarle ». A cominciare dagli stessi tumori, che sono anche malattie epigenetiche. L’esame del Dna di cellule tumorali mostra infatti la mancanza di blocco da metilazione in geni che promuovono la crescita, mentre, al contrario, quelli che dovrebbero limitarla sono bloccati dai gruppi metile. La metilazione e demetilazione dei geni aiuta anche i tumori a evolvere per resistere ai farmaci. Ma questo può anche essere un loro punto debole: un farmaco che elimina la metilazione è già in uso per alcune leucemie, e altri trenta sono in sperimentazione. «Quel farmaco, però, colpisce alla cieca tutte le cellule» conclude D’Esposito «provocando effetti collaterali. La vera rivoluzione arriverà, credo tra dieci anni, quando saremo in grado di bloccare o favorire per via epigenetica l’espressione di ogni singolo gene, imitando quanto il nostro organismo fa già ogni giorno».
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