martedì 18 settembre 2012


CORSO ESTIVO DI NEUROBIOETICA 2012: ... E LA COSCIENZA? - 1 (X) sabato 1 settembre 2012 Pubblicato da Alberto Carrara


Roma,  3 luglio 2012 -
Modulo 1 : Fondamenti ed Etica delle Neuroscienze

Oggi inizio a presentarvi la mia attività accademica all’interno del recente Corso Estivo Internazionale di Aggiornamento in Bioetica che ha avuto come tematica la Neurobioetica e che si è svolto dal 2 al 13 luglio 2012 presso l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum di Roma.


La prima attività che ho avuto il piacere di organizzare è stata la cosiddetta “attività di gruppo” o attività dinamica del martedì 3 luglio, dalle ore 15 alle 17.

Prendendo le mosse dal titolo del recente libro della professoressa Angela Ales Bello, “...e la coscienza?”, ho voluto proporre ai 65 partecipanti al Corso Estivo 2012 di Neurobioetica la tematica della coscienza.

È scontato sottolineare quanto questo concetto, insieme a quell’altro classico di libertà e di libero arbitrio, siano al centro di un costante e continuo dibattito neuroetico.

A mio avviso “coscienza” e “libertà” sono le “due cambe” dell’odierno uomo neuronale sotto i riflettori delle più sofisticate neurotecnologie.

La sfida neuro-antropologica si gioca a questo livello!

O entrambe si sostengono, come del resto una millenaria tradizione filosofica che affonda da Alcmeone di Crotone, Ippocrate, Platone e Aristotele, sino a Tommaso d’Aquino e ai contemporanei filosofi realisti alla Cornelio Fabro, sostengono, oppure, entrambe vengono mozzate, crollano sotto una paventata evidenza neuroscientifica che vuole “coscienza” e “libertà” quali meri concetti illusori che il cervello umano costruirebbe per un presunto vantaggio evolutivo.


Come ho avuto modo di ribadire il 15 marzo 2012 nel corso del mio intervento: Coscienza o coscienze? Aspetti antropologici e risvolti etici della ricerca neuroscientifica sugli stati di coscienza, nell’ambito dell’evento La coscienza tra mente e cervello: aspetti filosofici, bioetici, psicodinamici e clinici, organizzato nell’ambito della Brain Awareness Week promossa dalla DANA Foundation: 

Il problema della coscienza è in primo piano tra le questioni oggi più dibattute nell’ambito della medicina, delle neuroscienze, della psichiatria e della filosofia. Se la scienziata e premio Nobel Rita Levi Montalcini la definisce «tra le proprietà più sorprendenti e affascinanti del cervello umano», cioè quello «stato di consapevolezza della nostra esistenza come entità individuale, che implica il riconoscimento delle proprie azioni e del susseguirsi temporale e sequenziale», numerose sono le definizioni di coscienza, quante sono le discipline che la studiano da prospettive diverse. Oggi è quanto mai necessaria una riflessione profonda orientata al discernimento e all’integrazione dei diversi sensi della coscienza. Questo pomeriggio di studio cerca di offrire ad un pubblico non esperto, a livello divulgativo, un approccio interdisciplinare al problema della coscienza umana.

Come ha ben sottolineato a più riprese il Cardinal Angelo Scola, la questione cardine che trapassa come un “filo rosso” le stesse neuroscienze, l’interrogativo che emerge, in primis, dagli stessi neuroscienziati può essere sintetizzato come fece R. J. Searle [1], ripreso da E. Gius [2]:

«COME È POSSIBILE CHE PARTI DI MATERIA PRIVA DI COSCIENZA PRODUCANO COSCIENZA?» [3].


... (continua)


[1] Cf. R. J. Searle, Menti, cervelli e programmi. Un dibattito sull’Intelligenza Artificiale, CLUP, Milano 1984.
[2] Cf. E. Gius, «L’approccio scientifico al tema della coscienza», in: L. Renna (a cura di), Neuroscienze e comportamento umano, in: «Quaderno della Rivista di scienze religiose», Vivere In, Roma-Monopoli 2005, 21.
[3] Cf. A. Scola, «Fede e neuroscienze», in: V. A. Sironi – M. Di Francesco (a cura di), Neuroetica. La nuova sfida delle neuroscienze, Laterza, Bari 2011, 8.11.

CORSO ESTIVO DI NEUROBIOETICA 2012: ... E LA COSCIENZA? - 2 (XI) di Alberto Carrara, lunedì 3 settembre 2012


Neurobioetica: La Persona al centro
delle Neuroscienze, Etica, Diritto e Società

Roma,  3 luglio 2012 -
Modulo 1 : Fondamenti ed Etica delle Neuroscienze

... (continua)

INTRODUZIONE ATTIVITÀ DINAMICA: …E LA COSCIENZA?


1.      Polisemia del termine «coscienza»

In una società pluralista come la nostra, che tende, molte volte ad assumere posture estreme tanto da caratterizzarsi spesso per la sua dose di conflittualità, si crea un ambiente socio-culturale che favorisce l’ambiguità.

Ecco delineato, in poche parole, l’analisi del contesto dentro il quale dobbiamo, o dovremmo, se ce la faremo, incasellare il nostro argomento, quello relativo alla «coscienza» umana.

La parola «coscienza» viene utilizzata in molteplici ambiti: si parla di avere una coscienza, di agire in coscienza, della coscienza del mio gatto o del mio cane, della coscienza della società, c’è persino una coscienza della biosfera, etc.

Ecco emergere la polisemia del concetto di «coscienza», tanti utilizzano questa parola secondo contenuti terminologici distinti e variegati a seconda delle circostanze e degli specifici approcci. Oggi è quanto mai necessaria una riflessione profonda orientata al discernimento e all’integrazione dei diversi sensi della coscienza.

Quindi un primo punto sarà dare una definizione di coscienza, la definizione utilizzata in questa esposizione, e delimitarne l’ambito e il contesto per non cadere in equivoci, dubbi, fraintendimenti. Nel definire sempre si opera una scelta, spero la scelta del meglio, cioè della miglior definizione, tenendo in considerazione una prospettiva integrale della persona umana in tutte le sue dimensioni costitutive. Premetto che vi sono molte definizioni di «coscienza» e molti significati.

Per motivi di sintesi legati al tempo a disposizione, mi limito ad alcune distinzioni a grandi linee mantenendomi nel generale, senza però scadere nelle semplificazioni semplicistiche.

Il termine «coscienza», nella riflessione filosofico-culturale occidentale fino ai nostri giorni, possimo dire che ha conservato sostanzialmente tre accezioni fondamentali:

«coscienza psicologica»,

«coscienza morale» e

«coscienza personalistico-creativa».


CORSO ESTIVO DI NEUROBIOETICA 2012: ... E LA COSCIENZA? - 3 (XII) – Alberto Carrara, mercoledì 5 settembre 2012

Neurobioetica: La Persona al centro
delle Neuroscienze, Etica, Diritto e Società

           Roma,  3 luglio 2012 -
Modulo 1 : Fondamenti ed Etica delle Neuroscienze

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2.  Distinzioni utili: Wakefulness – Consciousness


Parliamo perciò della «coscienza» nel contesto medico-scientifico, nell’ambito degli studi neuroscientifici che oggigiorno si stanno impiegando.

Alcune distinzioni.

Il 10 novembre 2011 sulla rivista Lancet, Damian Cruse, di cui si parlerà successivamente, pubblicò un’interessante studio intitolato: Bedside detection of awareness in the vegetative state: a cohort study. Ad una prima e semplice lettura dell’abstract, possiamo derivare alcune distinzioni terminologiche utili; si parla infatti di wakefulness - unaware of themselves or their environment - consciously aware - awareness.

In italiano consideriamo perciò wakefulness quale stato vigile o vigilanza, mentre per  awareness si intende la consapevolezza, di sé e/o dell’ambiente circostante.

Ecco i due poli di tutto il dibattito attuale sugli stati di coscienza.

Prenderò ora in considerazione tre casi emblematici di stati alterati di coscienza.


1)     VS – MCS

Lo stato vegetative (VS) è definito quale disordine della coscienza in cui si ha:

wakefulness without conscious awareness of self and environment,

cioè: vigilanza senza consapevolezza.


In generale, i ricercatori accettano la distinzione tra contenuti e livelli di coscienza, nel senso che, mentre i contenuti di coscienza vengono definiti quali esperienze soggettive (ad es. la sensazione del dolore), i livelli di coscienza vengono classificati in modo più oggettivo suddividendo 3 stadi di alterazione della coscienza:

il coma (C),

lo stato vegetativo (VS) e

lo stato di minima coscienza (MCS).

Il criterio distintivo di tali stati alterati della coscienza è comportamentale: i pazienti diagnosticati VS differiscono da quelli in coma dal fatto che mantengono il ritmo sonno-veglia, si svegliano, anche se entrambi vengono considerati completamente incoscienti, cioè incosapevoli di sé e dell’ambiente circostante.

I pazienti diagnosticati MCS “si crede” (are believed), come affermato da Cruse su Lancet, abbiano una coscienza fluttuante, intermittente e si distinguono dai VS poichè l’osservatore esterno, nella maggior parte dei casi un medico, considera che possieda, il paziente MCS un minimo di consapevolezza di sé e del medio ambiente (ad es. quando si notano segni esteriori che indicano che il paziente sta cercando di comunicare senza riuscire, essendone ostacolizzato).

Primo grande problema scientifico: come affermato da Cruse e riportato in letteratura, si dà attualmente un 43% di casi in cui le diagnosi di VS vengono riclassificati quali, almeno, MCS (Schnakers C, Vanhaudenhuyse A, Giacino J, et al., Diagnostic accuracy of the vegetative and minimally conscious state: clinical consensus versus standardized neurobehavioral assessment. BMC Neurol 2009; 9: 35; Childs NL, Mercer WN, Childs HW. Accuracy of diagnosis of persistent vegetative state. Neurology 1993; 43: 1465–67; Andrews K, Murphy L, Munday R, Littlewood C. Misdiagnosis of the vegetative state: retrospective study in a rehabilitation unit. BMJ 1996; 313: 13–16).

Inoltre, lo stesso Cruse ammette che le recenti applicazioni delle tecnologie di risonanza magnetica funzionale, cominciano chiaramente a porre in seria discussione le diagnosi di VS nel senso di affermare che veramente questi pazienti non sono consapevoli di sé e del medio ambiente.


... (continua)


CORSO ESTIVO DI NEUROBIOETICA 2012: ... E LA COSCIENZA? - 4 (XIII) di Alberto Carrara, lunedì 17 settembre 2012

cervello, coscienza, morte, neurobioetica, neuroetica

Neurobioetica: La Persona al centro
delle Neuroscienze, Etica, Diritto e Società

Roma,  3 luglio 2012 -
Modulo 1 : Fondamenti ed Etica delle Neuroscienze

... (continua dal precedente)

CASI EMBLEMATICI - ATTIVITÀ DINAMICA: …E LA COSCIENZA?


2)     Il caso Zach Dunlap

Il caso di Zach Dunlap ci porta a considerare la fase estrema dei disordini della coscienza, il confine della vita: la morte. Definire i confini vuol dire sapere con certezza fino a dove l’intervento umano può spingersi, togliendo il rischio di toccare posizioni aberranti o pericolose per la dignità dell’uomo.

Questo, come altri casi riportati dai mezzi di comunicazione sociale, toccano un ambito estremamente sensibile e ancora oggi dibattuto: quello del cosiddetto CRITERIO NEUROLOGICO DI MORTE CEREBRALE.

A mio avviso, come più avanti avrò modo di spiegare su questo blog, è necessario associare, alle evidenze neuroscientifiche oggi in possesso, una riflessione filosofica di stampo realista, centrata sulla persona umana, sulla sua irripetibilità, sulla sua trascendenza e, soprattutto, sulla sua realtà di INCARNAZIONE.

Gli accaniti avversari del criterio neurologico di morte cerebrale amano portare a loro prova un caso che, secondo loro, “vale per tutti”, o varrebbe per tutti. Quello di Zach Dunlap, 21 anni, di Oklahoma City, del marzo 2008.

Zach fu dichiarato morto dopo due scansioni al cervello; viene sostenuto. I test eseguiti assicuravano che non vi era nessun flusso ematico nella zona encefalica, il quadro clinico soddisfaceva tutti i requisiti medico-legali richiesti per la morte celebrale, almeno apparentemente. Dopo 36 ore di “brain death” fu disposto l’espianto degli organi.

Invece Zach si è risvegliato, esclamano con trionfo alcuni.

Certo, trionfo della vita che mai era stata perduta. Alcuni hanno parlato di miracolo, ma è proprio la scienza a dirci come è andata.

Intanto, alcune domande da porci: non si capisce bene come sia stata accertata la morte cerebrale per Zach. Sembra che sia stata “accertata” solamente attraverso due esami che valutavano il flusso ematico a livello cerebrale.

Altri dubbi sorgono in quanto prima dell’espianto effettivo sarebbero stati ripetuti ulteriormente gli esami, quindi, non non era stata dichiarata la morte cerebrale. Non ne erano ancora certi. E, in effetti, poi è stato verificato: Zach non era morto.

Il fatto che forse ora i medici affermino che la diagnosi era corretta, quella cioè di morte cerebrale, non significa molto (così si proteggerebbero da eventuali risarcimenti e denunce legali) e il fatto che la famiglia creda nel buon lavoro dei medici può rispecchiare il fatto che i genitori vogliano sostenere e credere in un miracolo.

Il dato scientifico è ovviamente quello di una scorretta diagnosi di morte cerebrale.


... (continua)

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