martedì 18 settembre 2012


PERCHÈ NON SIAMO IL NOSTRO CERVELLO (V) di Alberto Carrara, lunedì 10 settembre 2012, http://acarrara.blogspot.it


Dopo aver presentato una breve recensione, la Prefazione e la sintesi del primo capitolo del libro di Alva Nöe Perchè non siamo il nostro cervello. Una teoria radicale della coscienza (Raffaello Cortina, Milano 2010) [1], oggi ne ri-espongo, per sommi capi, il secondo capitolo (prima parte) intitolato: VITA COSCIENTE.
Un riassunto più breve l’ho già fornito qualche mese fa. Ho deciso di riconsiderarlo per la centralità della tematica e per poter presentare altre considerazioni utili in ambito neuroetico.

Colpisce, almeno a me, come l’autore ponga, all’inizio di questo capitolo, come fece nel primo, una frase del grande filosofo Ludwig Wittgenstein.

 
Nel primo capitolo aveva esordito per bocca di Wittgenstein in questo modo:

«Il corpo umano è la migliore immagine dell’anima umana» [2].

Non c’è dubbio che anche la seconda frase di Wittgenstein in calce al secondo capitolo:

«Il mio atteggiamento nei suoi confronti è un atteggiamento nei confronti di un’anima. Io non sono dell’opinione che egli abbia un’anima» [3]

continui il “filo rosso” anti-riduzionista ed esternalista difeso da Alva Nöe a spada tratta lungo tutto il volume. L’argomento centrale di questo capitolo è il “problema delle altre menti” che può essere riassunto dalle seguenti domande:

·        possiamo conoscere le menti degli altri?
·        come decidiamo se le persone intorno a noi sono coscienti?
·        che dire riguardo alla possibilità che anche esemplari di altre specie siano dotati di una coscienza? [4]

Il capitolo difende e propone una prospettiva alternativa rispetto sia la distacco meccanicistico, sia alla mera intimità personale, è la prospettiva della biologia che concilia l’atteggiamento distaccato della conoscenza scientifica ad un atteggiamento più coinvolto che permette alla mente umana di essere oggetto di indagine.

Lo scetticismo tipico di una certa corrente filosofica che si è traslato alla scienza è, di fatto, impraticabile ed assurdo. L’autore lo sottolinea affermando che: «nessuna persona sana può prendere sul serio l’idea secondo la quale la nostra conoscenza delle altre menti sarebbe meramente ipotetica. Per quanto debole possa essere l’evidenza a nostra disposizione che gli altri possiedano una mente, sarebbe alquanto assurdo ritenere che in virtù di ciò potremmo far venire meno il nostro impegno nei riguardi dell’esistenza della mente degli altri» [5].

Vi è un presupposto alla base di tale scetticismo che una volta assunto, anche se soltanto incoscientemente, conduce all’errore. Alva Nöe lo individua chiaramente: «Il punto di partenza di quasi tutte le riflessioni che riguardano questo problema coincide con l’idea che la nostra conoscenza di come gli altri pensino e sentano – la conoscenza che essi essi pensino e sentano e non siano meri automi – si basa su ciò che siamo in grado di osservare, ascoltare e misurare» [6].

L’autore prende in considerazione: gli stati vegetativi (VS), le sindromi a chiavistello o locked-in, gli esperimenti psicologici di antropomorfizzazione di Fritz Heider e Marianne Simmel degli anni ’40, il robot Kismet progettato da Cynthia Breazeal del MIT e il comportamento dei bambini studiati per osservarne lo sviluppo e l’insorgenza della cosiddetta “teoria della mente” (test della falsa acredenza), per osservare acutamente un altro presupposto indimostrato che sottende una certa visione scettica e riduzionista della realtà: «Sin da principio si assume che ciò che ciò che abbiamo a disposizione non è altro che il mero comportamento altrui, dando per scontato che le menti siano qualcosa di privato e di nascosto» [7]. Questo, inoltre, porta con sé un terzo presupposto: «che le menti degli altri siano per noi reali solo in quanto strumenti teorici utili a gestire i nostri rapporti sociali» [8]. Il parallellismo che segue può chiarire abbastanza bene l’analogia e ciò che l’autore vuole mettere in evidenza: «Allo stesso modo in cui postuliamo l’esistenza di un pianeta nascosto per dar conto delle perturbazioni osservate nell’orbita di un pianeta che vediamo, così spieghiamo perchè il tuo corpo si muove lungo una determinata traiettoria appellandoci a un insieme di cause non percepite e meramente ipotetiche» [9].

... (continua)

[1] Cf. Alva Nöe, Perchè non siamo il nostro cervello. Una teoria radicale della coscienza, Cortina, Milano 2010.
[2] Ibid., 3.
[3] Ibid., 27.
[4] Ibid., 27.
[5] Ibid., 34-35.
[6] Ibid., 28.
[7] Ibid., 32.
[8] Ibid., 34-35.
[9] Ibid., 34-35.

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