lunedì 30 giugno 2014
Le unioni gay di Renzi sono un vero e proprio matrimonio e sono più tutelate di quelle etero. «Sovversione del nostro ordinamento», giugno 30, 2014, Benedetta Frigerio, http://www.tempi.it/
sabato 28 giugno 2014
Obiezione vietata nei consultori, ricorso al Tar, Luca Liverani 25 giugno 2014, http://www.avvenire.it
Il Lazio forza la mano contro i medici obiettori di coscienza. La giunta di Nicola Zingaretti impone ai medici obiettori – pur non coinvolgendoli direttamente nell’interruzione di gravidanza – la prescrizione della "pillola del giorno dopo", l’inserimento della spirale contraccettiva, la redazione delle certificazioni e autorizzazioni che precedono l’aborto. Una decisione che inevitabilmente scatena polemiche. Oggi un’interrogazione in Consiglio regionale della consigliera Olimpia Tarzia: «Va revocata perché vìola la 194». La pesante modifica arriva col decreto «Rete per la salute della donna, della coppia e del bambino: ridefinizione e riordino delle funzioni e delle attività dei Consultori familiari regionali».
L’intervento, secondo l’allegato 1 del decreto, sarebbe motivato con l’obiettivo di contrastare il diffuso ricorso dei ginecologi - ma anche di anestesisti e personale non medico - all’obiezione di coscienza, che secondo l’ultima relazione 2013 al Parlamento sulla 194 - citata nel decreto - è del 69,3% come media nazionale del 2011 (80,7 la percentuale nel Lazio). Nell’allegato si sostiene dunque come l’obiezione di coscienza «riguardi l’attività degli operatori impegnati esclusivamente nel trattamento dell’interruzione volontaria di gravidanza». E si sostiene che «il personale operante nel consultorio familiare non è coinvolto direttamente nella effettuazione di tale pratica, bensì solo in attività di attestazione dello stato di gravidanza e accertazione attestante la richiesta inoltrata dalla donna di effettuare» l’aborto. Non solo: «Per analogo motivo, il personale operante nel consultorio è tenuto alla prescrizione di contraccettivi ormonali, sia routinaria che in fase post-coitale, nonché all’applicazione di sistemi contraccettivi meccanici, vedi I.U.D (Intra uterine devices)». Cioè dispositivi intrauterini come la spirale, che provoca nell’utero condizioni sfavorevoli all’impianto degli ovociti fecondati.
Netta la reazione di Olimpia Tarzia, presidente del movimento Per (Politica etica responsabilità) e vicepresidente della commissione Cultura, eletta nella Lista Storace. «Il personale obiettore operante nel consultorio familiare, pur non essendo coinvolto materialmente nella pratica dell’aborto, è obbligato comunque – afferma Tarzia – a partecipare alla redazione delle certificazioni e delle autorizzazioni che la precedono. Altrettanto inquietante – aggiunge – è la parte del decreto in cui si afferma che il personale medico obiettore del consultorio è tenuto alla prescrizione delle varie pillole abortive e all’applicazione di sistemi meccanici, quali la spirale anch’essa abortiva». Per il consigliere non ci sono dubbi: «Siamo di fronte ad un provvedimento che si pone in aperto contrasto con la legge 194/78 "Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza", che, pur essendo una legge ambigua e, a mio giudizio, profondamente ingiusta, sul tema dell’obiezione di coscienza è molto chiara». All’articolo 9 stabilisce infatti che «"il personale sanitario non è tenuto a prendere parte alle procedure di cui agli articoli 5 e 7 (dove si disciplina il processo di certificazione e autorizzazione che precede l’aborto stesso) e agli interventi per l’interruzione della gravidanza, qualora sollevi obiezione di coscienza" e ciò vale, evidentemente – ribadisce – per "analogo motivo" anche per la prescrizione di sostanze o sistemi meccanici che procurano l’aborto». Quindi il decreto del presidente della Regione Lazio, «oltre che calpestare un fondamentale diritto, giuridicamente fondato, di singoli medici-cittadini, quale quello di sollevare obiezione di coscienza, si pone illegittimamente in contrasto con una legge nazionale». La consigliera annuncia quindi per oggi un’interrogazione in Consiglio per «evidenziare i profili di illegittimità presenti nel decreto e chiederne l’immediata revoca».
«L'ideologia abortista che si rifiuta di riconoscere l'esistenza dell'essere umano nella fase che precede la nascita sta raggiungndo il limite estremo della persecuzione», commenta dal canto suo Carlo Casini, presidente del Movimento per la vita. «Ora si arriva a colpire addirittura il principio di libertà di coscienza che è uno dei fondamenti della società liberale, garantito dalla Costituzione e che è stato confermato da ripetuti pareri del Comitato nazionale di bioetica. «Pur di affermare un insistente diritto all'aborto il presidente della Regione Lazio arriva a disapplicare la stessa legge 194, fino a ieri intoccabile tabu ed ora minacciata dagli stessi che l'hanno finora strenuamente difesa. La legge non lascia spazio a dubbi laddove, nell'art.9, dichiara esplicitamente coperte dall'obiezione di coscienza anche le attività di certificazione che precedono necessariamente l'Ivg. «La resistenza contro questa persecuzione non potrà che essere attuata in tutte le forme possibili. In primo luogo sarà inevitabile il ricorso alla autorità di Giustizia amministrativa», conclude Casini. «Il Movimento per la vita non mancherà di attivarsi in questa direzione nel più breve tempo possibile».
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In Lazio gli obiettori sono costretti all'aborto di Alfredo Mantovano, 28-06-2014, http://www.lanuovabq.it
Non era difficile individuare nei medici obiettori il target di una rinnovata campagna ostile, per rimuovere in concreto un po’ di fastidi alla pratica abortiva e, in parallelo, per qualificare finalmente e senza infingimenti l’aborto come una scelta libera della donna, frutto della sua autodeterminazione (cf. la Nuova Bussola del 16 marzo).
L’8 marzo era stata resa pubblica la decisione del Ceds-Comitato europeo dei diritti sociali del Consiglio d’Europa che, sul presupposto di un numero ritenuto elevato per l’Italia di medici obiettori, accusava il nostro Stato di violare i diritti delle donne che intendono abortire. Le pronunce del Ceds, che intervengono dopo articolate istruttorie, non hanno un immediato effetto vincolante, pari a quello di una sentenza di una delle due Corti europee. Se però lo Stato destinatario della decisione non vi si uniforma, ciò costituisce la premessa perché chi ha interesse si rivolga, in base al diritto che assume violato, o alla Corte di Giustizia o alla Corte dei diritti.
Sarà stato anche per questa sorta di scudo europeo che il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti, nella sua veste di Commissario straordinario per la sanità, ha varato da qualche giorno un proprio decreto articolato in due punti: uno riguarda l’ammissibilità dell’obiezione a fronte di prodotti contraccettivi che funzionano pure come abortivi, l’altro riguarda l’estensione del diritto di obiezione per taluni atti previsti dalla legge 194 per realizzare una ivg. Sul primo punto il decreto viene qualificato vincolante, ed esclude apoditticamente qualsiasi ipotesi di richiamo alla coscienza; eppure la materia è controversa: se l’obiezione è un diritto, una elementare cautela raccomanda di non comprimerlo quando l’effetto abortivo di un composto chimico è eventuale e non sicuro. Se un cacciatore immagina che la lepre sia dietro la siepe, ma non esclude l’eventualità che quello che si muove sia un uomo, evita di sparare: perché il principio di precauzione non va riconosciuto permettendo di non sparare, cioè di non somministrare un prodotto letale, quando vi è l’eventualità che l’essere umano sia nella pancia, invece che nascosto da un cespuglio? È materia da lasciare alla discrezionalità di un Commissario ad acta o – essendo in discussione diritti codificati – è terreno di scelte del Parlamento? E, poiché la delega di Commissario viene al presidente Zingaretti dal governo nazionale, non è il caso che quest’ultimo lo richiami al rispetto dei propri confini?
Il secondo punto avrebbe già dovuto esigere l’intervento del governo; il decreto in questione afferma infatti che l’“esercizio dell’obiezione di coscienza” copre “l’attività degli operatori impegnati esclusivamente nel trattamento dell’interruzione volontaria della gravidanza”; esclude invece l’attività svolta nel consultorio, perché essa sarebbe coinvolta “solo nell’attività di certificazione”. La forzatura è grossa, e pare esserne consapevole la stessa Regione se si precisa che, mentre per Norlevo e spirale il decreto è vincolante, qui ci si trova di fronte a un “atto di indirizzo”. La qualifica di “atto di indirizzo” non toglie però carattere di evidente illegittimità al provvedimento. Illegittimità vuol dire contrarietà alla legge, che nella specie è la 194: quando l’art. 9 riconosce l’obiezione di coscienza al medico e al personale sanitario pone già le deroghe; anche l’obiettore – tolto l’intervento abortivo – è tenuto ad assistere la paziente quando è a rischio la sua salute, ma fra le deroghe alla copertura dell’obiezione di coscienza non vi è la certificazione. Si rileggano in proposito: il comma 3 dell’art. 9 “l’obiezione di coscienza esonera il personale sanitario (…) dal compimento delle procedure e delle attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l’interruzione della gravidanza, e non dall’assistenza antecedente e conseguente all’intervento”; e il comma 5 “l’obiezione di coscienza non può essere invocato dal personale sanitario (…) quando, data la particolarità delle circostanze, il loro personale intervento è indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo”.
Il testo è inequivocabile: non si parla solo di “attività” rispetto alle quali vale l’obiezione, ma anche di “procedure”. Alla stregua di una lettera così chiara, da quando esiste la 194, cioè da oltre 36 anni, nessuno ha mai dubitato che l’obiezione si estende anche al rilascio della certificazione alla gestante; per come è strutturata la legge (art. 5 comma 3), l’attestazione del medico in ordine all’esistenza di una gravidanza, al momento del suo inizio e alle “indicazioni” prospettate dalla donna per richiedere un aborto costituisce l’antecedente causale necessaria dell’ivg. Perfino se il medico non ravvisa “indicazioni”, il certificato da lui rilasciato rappresenta la premessa formale dell’aborto, poiché il decorso di sette giorni rende comunque possibile l’intervento abortivo (art. 5 comma 4). La certificazione non è un atto estraneo o marginale rispetto alla procedura abortiva: è il primo passaggio obbligatorio per chi intende abortire; stabilire che per tale atto non sia possibile il richiamo alla coscienza significa violare la legge. È un mistero che dalle parti del governo nazionale nessuno abbia sentito il dovere di ricordare al proprio Commissario ad acta per la sanità nel Lazio un dato così evidente.
È probabile che, mettendo a fianco la pronuncia del Ceds del Consiglio d’Europa e il decreto Zingaretti, il passaggio successivo sarà una pronuncia giudiziaria. In ossequio all’“atto di indirizzo”, qualche zelante direttore di Asl o qualche solerte dirigente di consultorio presenti nel Lazio riterrà non ammissibile l’obiezione da parte di un medico che rifiuta la certificazione; si aprirà un contenzioso: come andrà a finire? Su Questione giustizia, rivista on line di Magistratura democratica, compare una nota a margine della decisione del Ceds, a firma di Maurizio Di Masi, nella quale senza tante perifrasi si dice che il riferimento alla salute della gestante è stato in passato il “grimaldello” (si adopera proprio questo termine) per legalizzare l’aborto; ma si aggiunge che oggi la nuova frontiera è superare la c.d. “medicalizzazione” e collocare la scelta della donna nella categoria dell’autodeterminazione: se il parametro della salute costituiva approccio “condivisibile al momento dell’emanazione della legge 194 – si legge ancora nella rivista – non si può ritenere che lo sia ancora oggi, a distanza di 35 anni, quando ormai a livello europeo pare esserci un consenso generale nel riconoscere alla donna il diritto di abortire liberamente nei primi 3/5 mesi di gravidanza”. Non è tutto: poiché l’aborto viene “ricompreso tra le libertà fondamentali della donna, invece che in seno al suo diritto alla salute”, esso va inteso come una libertà personale, che per questo va esentata da restrizioni.
È l’orientamento già affermato in altre Nazioni, da organi giurisdizionali come la Corte suprema Usa, che inizia a trovare eco in Italia in talune pronunce della Consulta: la recente sentenza sul’eterologa, per esempio, collega proprio all’autodeterminazione il “diritto” di avere o non avere figli. De-sanitarizzato l’aborto, viene meno un ulteriore velo di ipocrisia sulla struttura della 194; ma viene nel contempo marginalizzata l’obiezione del medico: come osi, camice bianco, non dare seguito alla scelta libera della donna? La soluzione prospettata da Md è semplice: nell’ottica di ripensare il meccanismo dell’obiezione, al personale sanitario viene suggerita la “libertà” di optare per una specializzazione diversa da ginecologia! E se non accetti questo “consiglio che non si può rifiutare”, sarà il caso di passare a qualche provvedimento giudiziario ispirato da quella rivista …
Più dell’enunciazione di queste tesi, che dai media di correnti della magistratura associata trasmigrano in atti amministrativi di un presidente di Regione, in attesa di diventare sentenze, preoccupa l’assenza di significative reazioni. I medici obiettori erano nel mirino già 35 anni fa, quando il loro rifiuto di uccidere la vita umana nascente costituiva la pietra di scandalo della 194, ed era già allora seguito da esortazioni a lasciare il campo. Se l’emarginazione non si è poi realizzata è perché l’obiezione di coscienza è stata sempre letta come una testimonianza di vita. Oggi dagli auspici discriminatori si è passa ai decreti: è perché si pensa di poterlo fare senza che nessuno protesti? È gradita la prova contraria.
venerdì 27 giugno 2014
Svezia – Si riapre la discussione sull’obiezione di coscienza, 26 giugno 2014, http://www.notizieprovita.it/
giovedì 26 giugno 2014
[Notizie PRO-LIFE] Dopo la sentenza della Corte Costituzionale sulla fecondazione eterologa: che fare? - http://veritaevita.blogspot.it/
Ordinanza del Giudice tutelare di del Tribunale di Spoleto del 03/01/2012 Notifica del 16/01/2012, http://www.cortecostituzionale.it/
Il Lazio vieta l'obiezione di coscienza. Zingaretti obbliga i medici a prescrivere la pillola, 25 giugno 2014, http://www.liberoquotidiano.it/
Il Consiglio di Stato condanna Vincent Lambert a morire di fame e di sete. Ma Strasburgo blocca tutto, 25 giugno 2014 di Leone Grotti, http://www.tempi.it/
Ieri il Consiglio di Stato francese ha deciso che Vincent Lambert deve essere lasciato morire di fame e di sete come richiesto dalla moglie e da sei fratelli dell’uomo. La decisione, che ricalca la richiesta del commissario del governo intervenuto lo scorso 20 giugno davanti al Consiglio, causerà l’interruzione dell’idratazione e alimentazione di quest’uomo di 38 anni, da cinque in stato di minima coscienza.
SPERANZA DALLA CORTE EUROPEA. Lambert, il cui caso è molto simile a quello di Terri Schiavo, respira in modo autonomo, non è attaccato a nessuna macchina e risponde agli stimoli. Per questo, contrariamente alla volontà della moglie, i genitori e due fratelli dell’uomo vogliono che continui a vivere. Ieri però il Consiglio di Stato ha dato torto alla famiglia, affermando che nutrirlo è «accanimento terapeutico». Ma la sentenza dei 17 giudici non sarà l’ultima parola su Vincent. Questa, infatti, è stata sospesa dalla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, a cui i genitori si erano rivolti lunedì, in attesa di svolgere i suoi accertamenti sul caso.
«GIORNO FUNESTO». Quello di Lambert sarebbe il primo caso di eutanasia legale in Francia. L’avvocato della famiglia, Jérome Triomphe, ha reagito alla decisione del Consiglio di Stato ieri parlando di «un giorno funesto» in cui i giudici restituiscono «alla madre e alla sposa un morto». Anche l’Unione nazionale delle associazioni delle famiglie dei malati di trauma cranico ha protestato dal momento che la volontà di Lambert «è stata ricostruita a posteriori», visto che lui non ha mai lasciato detto di voler morire.
EUTANASIA LEGALE. Ieri, in un altro processo finito sotto i riflettori dei media, per Nicolas Bonnemaison, medico d’urgenza dell’ospedale Bayonne che ha ammesso di aver ucciso sette pazienti in fin di vita con l’eutanasia senza consultare pazienti e famiglie, l’accusa ha chiesto cinque anni con la condizionale. Al processo sono intervenuti molti personaggi del mondo medico e politico che pur non approvando esplicitamente l’operato di Bonnemaison, hanno chiesto che in Francia venga legalizzata l’eutanasia.
@LeoneGrotti