1. Approvare una legge
che regoli la materia?
Qualche giorno prima che
fossero pubblicate le motivazioni della sentenza della Consulta che
ha sancito l’incostituzionalità del divieto inerente alla
fecondazione eterologa, si è svolto presso la sala della Regina alla
Camera un convegno proprio su questa sentenza. A parere dei giuristi
e politici intervenuti – molti dei quali di estrazione “cattolica”
– ora sarebbe necessario una legge per arginare i danni provocati
dalla Consulta.
Detto in parole semplici:
la sentenza della Corte Costituzionale permette l’eterologa sempre
e comunque. Adesso dobbiamo fare di tutto in Parlamento per limitare
questa pratica il più possibile. Simile posizione è stata sposata
sui media da moltissimi altri giuristi.
Tralasciamo il fatto che
nelle motivazioni della sentenza i giudici hanno espressamente
affermato che non ci sono lacune normative da colmare e che quindi
non serve una legge. Al di là di questo, poniamoci una domanda: è
lecito sotto il profilo morale invocare una legge per limitare i
danni provocati da questa sentenza?
La risposta è netta: no,
perché anche una legge limitativa sarebbe una legge intrinsecamente
malvagia, magari con contenuto meno iniquo rispetto al contenuto
della sentenza della Consulta, ma pur sempre malvagia.
Infatti la pratica della
fecondazione artificiale – omologa o eterologa poco importa – è
pratica intrinsecamente malvagia e la legge che la permette è
anch’essa ugualmente malvagia. Una legge che disciplinasse la
pratica dell’eterologa, seppur riducendone i casi legittimi,
rimarrebbe una legge cattiva e dunque non sarebbe lecito sotto il
profilo morale dare il proprio assenso al varo di una norma di tale
natura.
C’è chi obietta: “Ma
il varo di questa legge è fatta per un fine buono: limitare i danni
provocati dalla sentenza della Corte Costituzionale”.
Risposta: c’è un
principio morale che afferma che vi sono azioni intrinsecamente
malvagie che mai possono essere compiute anche per un fine buono. Ad
esempio non è lecito sotto il profilo morale uccidere
volontariamente e direttamente una persona innocente per il fine
buono di salvarne cento.
Dunque è lecito e a
volte doveroso adoperarsi per limitare i danni, ma a patto che
l’azione di impedimento sia lecita sotto il profilo morale. Se per
impedire la morte di una persona l’unico modo è quello di
ammazzarne un’altra innocente, non posso che astenermi da questa
azione iniqua.
Non è dunque lecito
impedire “l’eterologa sempre” dando il proprio “Sì” all’
“eterologa qualche volta”.
L'errore di chi dice
"meglio una legge restrittiva che la situazione di legittimità
assoluta dell'eterologa creata dalla sentenza della Consulta" è
il medesimo di chi diceva prima del varo della legge 40 "meglio
una legge restrittiva che la situazione attuale di legittimità
assoluta della fecondazione artificiale in ogni sua forma creatasi
dal fatto che non c'è una legge". Ed infatti la Consulta
eliminando il divieto di eterologa riporta la situazione a quella
ante legem 40.
Inoltre, ma non è
aspetto centrale seppur importante: una legge restringerebbe sì il
campo dell'iniquo (però rimarrebbe una legge iniqua), ma - rispetto
alla sentenza della Consulta - lo eleverebbe di categoria giuridica:
da pronunciamento giurisprudenziale ad atto normativo. La qual cosa è
ancor più grave.
Nel prossimo post
tenteremo di superare un’altra obiezione: se sto a braccia conserte
avrò lasciato campo al nemico per fare quello che vuole e quindi
avrò collaborato alla diffusione dell’eterologa.
Tommaso Scandroglio
2. L'obbligo morale di astenersi dal compiere il
male.
Nel precedente post
abbiamo visto che non è lecito battersi per avere una legge
sull’eterologa al fine di limitare i danni della sentenza della
Consulta che ha spalancato le porte a questa pratica. Anche per un
fine buono mai si può fare il male.
In merito a tale
argomentazione c’è però chi obietta: rimanendo con le mani in
mano e non adoperandosi per promulgare una legge più restrittiva si
fa il gioco del nemico. Sarebbe una collaborazione al male tramite
omissione.
Nessuno vorrebbe varare
una legge sull’eterologa, ma stretti da necessità meglio una legge
che provoca pochi danni rispetto alla sentenza della Consulta che
provocherà molti più danni.
Risposta che parte da un
esempio: se non uccido Tizio, un pazzo ha deciso che ucciderà altre
tre persone. Sono dunque in un vicolo cieco: o la morte di mia mano
di una persona (eterologa per legge in alcuni casi), oppure la morte
di altre tre persone (eterologa sempre come vuole la Consulta). Anche
in questo caso, se non ci sono alternative valide, non posso che
astenermi dal compiere il male, perché – altro principio morale –
le circostanze (in questo caso lo stato di necessità) non possono
legittimare un atto intrinsecamente malvagio (l’uccisione di una
persona innocente).
E non vi è poi
collaborazione al male da parte di chi si astiene: infatti non sono
io che ho collaborato alla morte della altre tre persone per mano del
pazzo, bensì è il folle stesso che le ha uccise ed ha congegnato
tutto questo piano perverso a cui ho deciso di non collaborare. Non
ho deciso io il verificarsi di questa condizione capestro, ma la
mente del folle. Sarà Tizio ad essersi macchiato del sangue di tre
innocenti, non io.
L’uomo è chiamato
sempre a fare il bene, non sempre a ricercare l’utile.
E se in una situazione
concreta il maggior bene possibile è l’astensione dal compiere il
male, occorre assumere questa condotta anche se dal punto di vista
dell’utilità è la scelta peggiore.
Ma dal punto di vista
morale – l’unico punto di vista valido per l’uomo - i danni
provocati non potranno essere addebitati a chi si è astenuto dal
volere compiere il male, ma a chi – i giudici della Consulta – ha
deciso di legittimare una pratica iniqua.
In sintesi: mai è lecito
compiere un'azione intrinsecamente malvagia (voto di una legge
iniqua) anche se il fine è buono (limitare i danni: restringere i
casi in cui l'eterologa sarà praticata) ed anche se le circostanze
non ci offrono alternative buone (o situazione molto malvagia -
eterologa in ogni sua forma - o situazione meno malvagia - eterologa
solo in alcuni casi: stato di necessità).
Nel prossimo post invece
tenteremo di rispondere alla seguente domanda: di fronte a tale
situazione creatasi dalla sentenza della Consulta, quali sono le
strade lecite sotto il profilo morale per opporsi alla pratica ormai
legale della eterologa?
Tommaso Scandroglio
3. Una strategia di
attacco contro la fecondazione artificiale.
Nei due precedenti post
abbiamo visto che non è lecito dare il proprio appoggio ad una legge
intrinsecamente malvagia che legittimasse la pratica della
fecondazione artificiale seppur animati dalla buona intenzione di
limitare i danni provocati dalla sentenza della Corte Costituzionale
che ha aperto all’eterologa sempre e comunque.
Neppure in stato di
necessità, cioè neppure se non ci fossero altre soluzioni
percorribili.
Ora facciamoci questa
domanda: di fronte a tale situazione creatasi dalla sentenza della
Consulta, quali sono le strade lecite sotto il profilo morale per
opporsi alla pratica ormai legale della eterologa?
Appuntiamo che, per
espressa decisione dei giudici, il Parlamento non deve intervenire
sulla materia essendo già sufficienti le norme vigenti (semmai
occorrerà aggiustare qualcosa nelle linee guida). Per quello che qui
a noi interessa ciò significa che l’eterologa è già sin d’ora
pratica legittima in ogni sua forma.
Dunque abbiamo escluso
che il male si possa combattere legalizzandolo (v. anche legge 194).
Non vale il brocardo: se il male è inevitabile almeno che lo si
faccia bene. Il male mai si può compiere anche se minore.
Le soluzioni per arginare
il male, tra le molte, potrebbero essere le seguenti.
La prima: per gli
operatori sanitari ricorrere all’obiezione di coscienza prevista
dalla legge 40 (per gli interessati: non serve alcuna pratica
aggiuntiva dato che l’obiezione di coscienza è valida per
qualsiasi tecnica di fecondazione artificiale compresa quella
eterologa).
In secondo luogo, sul
piano giurisprudenziale, prendere esempio dai Radicali. All’indomani
dalla batosta referendaria sulla legge 40 nel 2005 iniziarono ad
intasare i tribunali di ricorsi per cambiare la legge e ci sono
riusciti. Non si sono pianti addosso dicendo: “Con questa disfatta
referendaria ormai tutto è perso e la partita sulla Fivet è
chiusa”.
In terzo luogo occorre
combattere la sentenza dei giudici sotto il profilo culturale –
anche le azioni di carattere politico e giurisprudenziale possono
assumere una veste culturale - ponendo la scure alla radice del
problema, non cercando solo di sfrondare i rami più alti. Ciò
significa che è doveroso ripetere in tutti i modi e in tutte le sale
che è la stessa fecondazione artificiale ad essere una pratica
iniqua.
Se la Corte
costituzionale avesse aperto la porta alla sperimentazione sull’uomo,
quale strategia sarebbe stata lecita sotto il profilo morale? Quella
che contestava in radice tale provvedimento e si adoperava perché
nella prassi non fosse applicata o quella che invocava una legge che
confermasse il pronunciamento dei giudici?
E a parte invertite: cosa
avrebbero fatto i Radicali se la Consulta avesse ad esempio soppresso
il divieto di imporre le cure, anche quelle salvavita? Avrebbero
chiesto una legge per porre dei limiti oppure avrebbero criticato la
decisione in radice?
Infine sul piano
legislativo è necessario proporre disegni di leggi che mirino (solo)
a limitare la portata lesiva della legge 40, attaccandola articolo
per articolo.
Si obietterà: “Proprio
ora dopo la sentenza della Consulta? E’ da folli, da gente che non
vive nella realtà! E’ fatica sprecata, non servirà a nulla e il
disegno di legge finirà nel cestino della prima commissione che lo
esaminerà!”.
Tutto vero, ma per
intanto si cambia la direzione dello scontro (e si fa opinione): non
più stretti a catenaccio nella difesa della legge 40 per paura che
cambi in peggio, ma tesi ad attaccare il nemico. In tal modo saranno
i pro-choice ad essere costretti a difendere questa legge e non i
cattolici.
Infatti tali derive della
Consulta sono anche l’esito della posizione rinunciataria di ampi
settori della cultura cattolica volti sempre, come accennato prima,
alla difesa del male esistente – pensato ormai come realtà
inestirpabile e irreversibile – e mai protesi all’attacco.
Se chiedi cento magari
dieci ottieni, ma se difendi il tuo dieci che ti tieni gelosamente
stretto al petto vedrai che anche quel dieci ti verrà tolto.
La storia sui principi
non negoziabili ce lo insegna.
Tommaso Scandroglio
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