venerdì 13 giugno 2014

La Corte Costituzionale decide per tutti di Alfredo Mantovano e Tommaso Scandroglio, 13-06-2014, http://www.lanuovabq.it/

Corte Costituzionale
Dopo le motivazioni della sentenza che ha imposto la fecondazione artificiale eterologa, ecco un'altra sentenza che "impone" al Parlamento di approvare una legge che regoli le unioni civili rendendole di fatto assimilabili al matrimonio. Il caso in questione è quello di una coppia sposata: lui dopo quattro anni decide di cambiare sesso e diventa così ufficialmente donna, per legge il matrimonio viene sciolto ma l'ex lui e lei vogliono restare sposati. Da qui la battaglia in tribunale arrivata fino alla Corte Costituzionale, che ha detto che è giusto lo scioglimento del matrimonio, ma che i due ex coniugi hanno diritto a vivere le stesse garanzie che il matrimonio provvedeva. da qui l'ordine al Parlamento di approvare una legge sulle unioni civili. Se questa non è invasione di campo....

CONSULTA, LA TERZA CAMERA DEL PARLAMENTO
di Tommaso Scandroglio

La sentenza sul cambio di sesso conferma una tendenza ormai consolidata. La Corte Costituzionale non giudica più soltanto la costituzionalità o meno di una legge, ma sui temi etici si trasforma in potere legislativo. Una deriva molto pericolosa.

Nel 2005 Alessandro Bernaroli sposa Alessandra. Quattro anni dopo vola in Thailandia e cambia sesso. Il comune di Bologna allora si vede costretto ad annullare le nozze nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 4 della legge 164/82 sulla rettificazione di attribuzione del sesso: il cambiamento di sesso “provoca lo scioglimento del matrimonio” (agli occhi della Chiesa invece il vincolo matrimoniale rimane valido). I due non ci stanno a subire questo “divorzio di Stato” e ingaggiano battaglia legale. In primo grado il tribunale dà loro ragione ma solo per cavilli burocratici. Il Ministero dell’Interno allora fa ricorso e vince perché, secondo la Corte di Appello, la diversità di sesso è presupposto indispensabile per l’esistenza del vincolo coniugale. Nel giugno dell’anno scorso la causa approda in Cassazione la quale rimanda il tutto alla Corte Costituzionale perché secondo gli ermellini non si può imporre il divorzio a nessuno. Ieri [11 giugno] la Consulta si è infine pronunciata.

Sentenza attesa con molta ansia non solo ovviamente dai due ex coniugi ma anche da molte sigle dell’associazionismo gay che tra l’altro avevano tentato invano di costituirsi in giudizio. Infatti la posta in gioco era alta così come lo stesso Alessandro aveva sottolineato qualche giorno fa: “Se la Corte Costituzionale ci darà ragione sarà il precedente per introdurre anche in Italia il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Saremo le prime spose gay”.

La Corte da una parte ha confermato lo scioglimento del matrimonio, motivato dall’"interesse dello Stato a non modificare il modello eterosessuale del matrimonio (e a non consentirne, quindi, la prosecuzione, una volta venuto meno il requisito essenziale della diversità di sesso dei coniugi)". Dall’altra però dichiara incostituzionale quella parte della legge 164/82 sulla rettificazione del sesso in cui non prevede, “ove entrambi lo richiedano, di mantenere in vita un rapporto di coppia giuridicamente regolato con altra forma di convivenza registrata”. Insomma il matrimonio è annullato però si deve prevedere per casi come questi un’alternativa forma di convivenza non matrimoniale “che tuteli adeguatamente i diritti ed obblighi della coppia medesima, con le modalità da statuirsi dal legislatore”. Ciò affinchè "l'esercizio della libertà di scelta compiuta dall'un coniuge con il consenso dell'altro, relativamente ad un tal significativo aspetto della identità personale, non sia eccessivamente penalizzato con il sacrificio integrale della dimensione giuridica del preesistente rapporto". La Consulta dunque sollecita il legislatore "con la massima sollecitudine" a trovare una "forma alternativa (e diversa dal matrimonio) che consenta ai due coniugi di evitare il passaggio da uno stato di massima protezione giuridica ad una condizione di assoluta indeterminatezza", forma di convivenza che però deve garantire tutte le tutele previste dal precedente vincolo coniugale. La palla ora ritorna alla Cassazione che nel pronunciarsi dovrà tenere conto delle indicazioni della Corte costituzionale.

Qualche considerazione. Da una parte la Consulta formalmente non ha aperto alle “nozze” gay perché ha confermato il divorzio automatico laddove uno dei due coniugi decida di cambiare sesso. Su altro fronte però ha proposto la creazione dell’istituto della convivenza tra persone dello stesso sesso (Alessandro è e rimarrà per sempre maschio, ma per il diritto è ormai una “donna”) e lo ha equiparato dal punto di vista sostanziale all’istituto del matrimonio perché i giudici chiedono che a tale nuova forma di convivenza vengano riconosciuti gli stessi diritti (e i doveri?) che vi sono in capo ai coniugi. Sostanzialmente un matrimonio di fatto omosessuale. Già nel 2010 i giudici della Consulta avevano dichiarato che a due persone dello stesso sesso “spetta il diritto di vivere liberamente una condizione di coppia ottenendone – nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge – il rinascimento giuridico con i connessi diritti e doveri”. Anche in quell’occasione chiesero al legislatore di intervenire in materia.

In secondo luogo la Consulta è ormai diventata la Terza Camera del Parlamento italiano. La sua competenza non è più solo quella di dichiarare se una norma è incostituzionale oppure no, ma ormai comprende anche il potere di proporre al Parlamento veri e propri disegnini di legge. Una indipendenza quella dei giudici a senso unico: svincolati dalle pressioni dei legislatori, ma liberi al contrario di fare pressing giurisprudenziale su questi ultimi.

Più in particolare pare ormai che le norme da varare per la convivenza civile siano divise tra Parlamento e Consulta ratione materiae: al primo spettano questioni come l’economia, il lavoro, le relazioni internazionali, il voto democratico, etc. Alla Consulta invece tutti i principi non negoziabili: la fecondazione artificiale (è di un mese fa l’apertura all’eterologa), l’identità sessuale, il matrimonio, etc.

Infine, come verificato anche nelle motivazioni della sentenza sull’eterologa pubblicate un paio di giorni fa, la legittimazione da parte del Parlamento di scelte di vita personalissime nasce dalla semplice constatazione che è così voluto dai soggetti interessati. Perché considerare legittima l’eterologa? Perché – così si esprimevano i giudici della Corte Costituzionale - esiste la libertà della coppia di essere genitori, scelta libera nata negli anfratti più reconditi della coscienza individuale e dunque da rispettare con sacra deferenza in sede legislativa. E in modo analogo: perché riconoscere giuridicamente la convivenza omosessuale? Perché “l’esercizio della libertà di scelta” di cambiare sesso – scelta che interessa un “tal significativo aspetto dell’identità personale” – non deve comportare la perdita di quei privilegi che avevano come coniugi. Impedire alla coppia di vedersi riconosciuto lo stesso status sociale che avevano prima dello scioglimento del matrimonio, tramite forme particolari di convivenza, sarebbe violenza di Stato bella e buona. E’ la solita musica: i desideri, gli aneliti, i sogni sono diventati diritti. O forse sarebbe meglio dire che gli incubi di qualcuno sono diventati “diritti” per tutti.



PER I GIUDICI I FIGLI NON ESISTONO
di Alfredo Mantovano

Nelle sentenze della Corte costituzionale si parla di unioni omosessuali, di libertà di autodeterminarsi, di diritti da non comprimere, ma non compare neanche una volta la parola “figli”. Neanche la pur minima considerazione. E invece si usa un caso più unico che raro per imporre una legislazione che valga per tutti.

Lui cambia sesso, il matrimonio resta valido: in questi termini larga parte delle testate, televisive e della carta stampata (con rare eccezioni, come il quotidiano Libero), hanno riassunto la sentenza della Corte costituzionale n. 174, dell’11 giugno. È una sintesi sbagliata: porre così la questione ne fa perdere di vista il senso. Per coglierlo va fatto un passo indietro: nel 1982 è approvata la legge n. 164 in materia di rettificazione di attribuzione di sesso. Le sue disposizioni stabiliscono che la modifica del sesso, rispetto a quello enunciato dall’atto di nascita, avviene con sentenza del tribunale, con due precisazioni, poste dall’articolo 4: la sentenza non ha effetto retroattivo (restano valide le situazioni giuridiche maturate prima della modifica dei caratteri sessuali); “essa provoca lo scioglimento del matrimonio o la cessazione degli effetti civili” del matrimonio religioso, con conseguente applicazione della disciplina del codice civile e del divorzio.

Oggi la Consulta interviene sull’automatismo fra la sentenza di rettificazione del sesso di uno dei coniugi e lo scioglimento del matrimonio previsto dall’art. 4: ad avviso della Cassazione, che ha sollevato la questione di legittimità costituzionale, ciò violerebbe il “diritto alla conservazione della preesistente dimensione relazione, quando essa assuma i caratteri della stabilità e della continuità propri del vincolo coniugale”. La Corte costituzionale mostra di non condividere questa posizione, e richiama in proposito una sua precedente sentenza del 2010 per confermare che il matrimonio, secondo l’ordinamento italiano, è possibile solo fra persone di sesso diverso; per questo non ritiene “configurabile un diritto della coppia non più eterosessuale a rimanere unita nel vincolo del matrimonio”, né ritiene di sostituire il divorzio automatico con un divorzio a domanda, “poiché ciò equivarrebbe a rendere possibile il perdurare del vincolo matrimoniale tra soggetti del medesimo sesso, in contrasto con l’art. 29 Cost.”. I titoli di quasi tutti i quotidiani di ieri sono pertanto da correggere: lui cambia sesso, il matrimonio non resta valido.    

La Consulta però va oltre, e ricorda che l’unione omosessuale rientra nella categoria delle “formazioni sociali” tutelate dall’articolo 2 della Costituzione: tale tutela non ha come unico terreno di realizzazione la parificazione fra unione omosessuale e matrimonio. Forme di riconoscimento e di garanzia di tali unioni per la Corte competono al Parlamento: nel caso specifico, esse – se esistenti – eviterebbero “il sacrificio integrale della dimensione giuridica del precedente rapporto”. Da ciò – ed è il passaggio più significativo della sentenza – l’indicazione, come “compito del legislatore”, di “introdurre una forma alternativa (…) che consenta ai coniugi di evitare il passaggio da uno stato di massima protezione giuridica a una condizione (…) di assoluta indeterminatezza”. Dunque, l’illegittimità della legge del 1982 sul cambiamento di sesso è non in quello che essa prescrive, bensì in quello che essa omette: “mantenere in vita un rapporto di coppia giuridicamente regolato con altra forma di convivenza registrata”. È un “compito del legislatore”, cui adempiere “con la massima sollecitudine”.

Il ragionamento solleva qualche interrogativo. Il primo; quanti sono in Italia, su 60 milioni di abitanti, i casi che hanno le caratteristiche di quello dal quale ha preso le mosse la Corte costituzionale? è rilevabile statisticamente la quantità di coppie regolarmente sposate (in Chiesa!), al cui interno un coniuge cambi sesso, e che però intendono restare unite in matrimonio pur dopo gli interventi del chirurgo e del giudice? Una vicenda così particolare giustifica l’ingiunzione al Parlamento di un obbligo di fare, e di fare rapidissimamente, valido per tutti? Il secondo; la Consulta pone un’alternativa fra la “massima protezione giuridica”, che sarebbe garantita ai coniugi dal regime matrimoniale, e la “condizione di assoluta indeterminatezza”, che riguarda invece i componenti di una unione di fatto; è una alternativa così radicale? Mettiamo su due colonne, gli uni a fianco agli altri, i diritti di cui godono i coniugi e i diritti riconosciuti ai componenti di una unione di fatto, esito di leggi ordinarie, di pronunce della stessa Corte costituzionale e di giurisprudenza consolidata. È più facile dire per costoro che cosa resta fuori rispetto a ciò di cui invece possono godere: restano fuori la quota di legittima nelle successioni, la possibilità di adottare un bambino e la reversibilità del trattamento pensionistico, tutto il resto è riconosciuto! Va approvata una legge sulle unioni civili per disciplinare quello che è già previsto o per inserire legittima, adozioni e reversibilità? se la risposta è la seconda, conviene essere onesti fino in fondo, e ammettere che la legge così perentoriamente sollecitata avrà per titolo “unioni civili”, ma per sostanza il matrimonio fra persone dello stesso sesso.

Due annotazioni conclusive: a) quando nel 1982 passò la legge sul cambiamento di sesso si era, come oggi, alla vigilia di un campionato del mondo di calcio, ma le firme in calce al provvedimento erano quelle di Pertini, Spadolini, Darida e Rognoni, rispettivamente capo dello Stato, capo del Governo e ministri della Giustizia e dell’Interno. Dubito che in quel momento taluno di loro immaginasse quali problemi sarebbero sorti 32 anni dopo: è la conferma del pieno vigore di una legge, mai pubblicata sulla Gazzetta ufficiale, i cui effetti sono però implacabili, soprattutto se la si ignora, che è quella – più volte evocata dal cardinale Sgreccia – del “piano inclinato”; quando si abbandona il rispetto del dato naturale, nulla più sorprende; b) nella sentenza n. 170 della Corte costituzionale si parla di unioni omosessuali, di libertà di autodeterminarsi, di diritti da non comprimere, ma non compare neanche una volta la parola “figli”. Sono lasciati fuori dalla porta, privi di qualsiasi considerazione. Sono lasciati anche fuori dalla Nazione, come il dato statistico – questa volta rilevante – tragicamente denuncia.

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