Rick e Karen Langhart hanno rifiutato l’accordo sottoscritto dalla Merck per chiudere centinaia di cause legate al NuvaRing. «Vogliamo mettere in guardia ogni mamma e ogni figlia a non utilizzare il prodotto che ha ucciso la nostra Erika»
NuvaRingEra stato pubblicizzato come l’anello della libertà, ma per Erika Langhart si è rivelato essere l’anello della morte. O per lo meno è questa la convinzione dei genitori della ragazza, colpita e uccisa nel 2011, quando aveva 24 anni ed era una studentessa universitaria in perfetta salute, da una serie di attacchi di cuore seguiti a un’improvvisa e massiccia embolia polmonare. Papà Rick e mamma Karen sicuri, infatti, che a provocare la morte della loro figlia sia stato proprio il NuvaRing, contraccettivo prodotto dalla Merck tra i più gettonati negli Stati Uniti, e per questo – come racconta il Daily Mail – hanno deciso di rigettare ogni accordo economico con la compagnia e portarla in tribunale per costringerla ad assumersi le proprie responsabilità e segnalare l’anello come pericoloso.
LE CAUSE. Sono attualmente quattromila le cause intentate negli Stati Uniti contro il colosso del farmaco proprio per gli effetti collaterali del NuvaRing, un dispositivo contraccettivo femminile per uso interno che rilascia una combinazione di due ormoni accusati di essere responsabili di diverse migliaia di ricoveri per coaguli e trombosi e addirittura di 224 decessi. Così, come accaduto in precedenza alla Bayer per la pillola Yasmin, anche per la Merck un giudice distrettuale del New Jersey ha stabilito un risarcimento collettivo per “chiudere” l’ondata di cause: 100 milioni di dollari in tutto. I Langhart, però, hanno detto ai giornali che per loro «non è mai stata una questione di soldi». Rick e Karen vogliono che la Food and Drug Administration (Fda, l’agenzia del farmaco degli Stati Uniti) costringa la Merck a segnalare con il ”black box warning” il rischio di morte collegato al NuvaRing.
IL SOSPETTO. Nei giorni scorsi i due hanno raccontato alla Cnn che il giorno in cui Karen collassò nel suo appartamento di Washington, il medico che li raggiunse al telefono a Phoenix, Arizona, domandò subito se la ragazza, vittima di embolia polmonare, «usasse qualche anticoncezionale e di che tipo»; e quando la madre gli disse dell’utilizzo del NuvaRing da parte della figlia, confermò solo il sospetto del dottore: «Mi disse che era già stato osservato un legame tra il NuvaRing e gli embolisimi polmonari», ha ricordato Karen alla Cnn.
686 MILIONI. La donna ha annunciato che non intende smettere di lottare con la Merck per «mettere in guardia ogni mamma e ogni figlia a non utilizzare il prodotto che ha ucciso la mia bambina». Solo l’anno scorso, la compagnia farmaceutica ha incassato 686 milioni di dollari grazie al NuvaRing, una cifra che rappresenta meno del 2 per cento delle vendite totali e che fa ulteriormente impallidire il risarcimento di 100 milioni di dollari stabilito. «È terribile che vogliano comprarsi così la via d’uscita per sbarazzarsi di ogni responsabilità. Vogliono ottenere la nostra omertà», ha commentato Joe Malone, il papà di Brittany, un’altra vittima del contraccettivo morta a 23 anni.
LE OMISSIONI DEL BUGIARDINO. La madre di Erika Langhart, tuttavia, teme che difficilmente riuscirà ad avere ragione perché in molti «siamo convinti che la Merck controlli la Fda». A sostenere la stessa tesi è Kristine Kraft, fra gli avvocati che rappresentano l’accusa nel processo. Kraft ha ricordato che nel 2000, l’anno successivo alla commercializzazione dell’anticoncezionale, la Fda voleva includere la trombosi fra i rischi, dato che aveva colpito tre donne dopo alcuni giorni di utilizzo sperimentale. L’azienda però «non ha agito responsabilmente, facendo pressione affinché il bugiardino non parlasse chiaro». E quando nel 2003 il foglio illustrativo del NuvaRing è stato revisionato, la Merck si è rifiutata di prendere in considerazione lo studio di Ojvind Lidegaard pubblicato dal British Medical Journal, che dimostrava come il rischio di trombosi legate ai contraccettivi di quel tipo fosse duplicato rispetto a quelli di seconda generazione, comunque pericolosi.
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