martedì 31 gennaio 2012


31/01/2012 - Engelhardt: senza Dio bioetica in scacco - Il filosofo americano: prive di un fondamento divino tutte le morali sono socialmente e storicamente condizionate, http://www3.lastampa.it

«Secolarizzazione e bioetica» è il tema della relazione che il filosofo americano Tristram H. Engelhardt, uno dei più importanti bioeticisti del mondo, direttore del Journal of Medicine and Philosophy, tiene oggi a Torino, alle ore 18 presso il Salone della Casa Valdese (corso Vittorio Emanuele II, 23) in occasione della presentazione del suo libro Viaggi in Italia. Saggi di bioetica (ed. Le Lettere, pp. 428, e38). Intervengono Gianni Vattimo e Maurizio Mori, modera l’incontro Luca Savarino. Anticipiamo uno stralcio dell’intervento di Engelhardt.

Che senso possiamo dare all’affermazione secondo cui «tutti gli uomini sono stati creati uguali» in una cultura «dopoDio» e post-metafisica? Se Dio non viene riconosciuto come colui che crea gli uomini in un qualche senso uguali, in che senso gli esseri umani sarebbero uguali? Quale sarebbe la forza morale canonica della pretesa dell’uguaglianza, a fronte delle enormi disparità e disuguaglianze tra esseri umani, e dell’irriducibile pluralismo morale?

Verso la fine del XX e all’inizio del XXI secolo, Richard Rorty (1931-2007) e altri si sono confrontati con il radicale venir meno della morale. Essi hanno riconosciuto l’inevitabile riformulazione delle forze della morale secolare. In particolare, Rorty ha riconosciuto il motivo per cui è impossibile fornire una fondazione alla morale, o, per quel che ci riguarda, della bioetica.

Rorty sostiene che è necessario riconoscere «che non esiste la possibilità di fuoriuscire dai diversi vocabolari che sono stati utilizzati e di trovare un metavocabolario che in qualche modo renda conto di tutti i possibili vocabolari, di tutti i modi possibili di sentire e giudicare. Una cultura storicista e nominalista come quella che ci sta di fronte si accontenterebbe piuttosto di narrative che connettano il presente al passato, da una parte, e alle utopie future, dall’altra».

Rorty conclude che «possiamo conservare la nozione di “morale” solo nella misura in cui possiamo smettere di pensare la morale come la voce del divino dentro di noi e possiamo pensare a essa come la voce di noi stessi in quanto membri di una comunità, portavoci di un comune linguaggio. Possiamo conservare la distinzione tra morale e prudenza se non la pensiamo come la differenza tra il richiamo all’incondizionato e il richiamo al condizionato, ma come la differenza tra il richiamo agli interessi della nostra comunità e il richiamo ai nostri privati, confliggenti, interessi».

La difficoltà della morale e della bioetica secolari, riconosce Rorty, è che non possiamo stabilire quali siano la morale e la bioetica canoniche, se anche esistessero. Ma si potrebbe andare al di là delle posizioni di Rorty. Senza petizioni di principio, che finiscono in un circolo vizioso, o senza impegnarsi in un regresso all’infinito, non si può neppure affermare la priorità morale di una comunità di individui anonimi (il cosiddetto punto di vista morale) nei confronti delle pretese della comunità particolare di coloro a cui siamo intimamente legati da un punto di vista socio-culturale, la comunità della nostra famiglia, dei nostri amici, dei nostri vicini prossimi.

Senza fondamenti, e senza una prospettiva divina, non si può dimostrare che abbiano una priorità razionale cogente né la comunità anonima di tutti gli individui, né la comunità di coloro che amiamo e a cui restiamo fedeli. Il tentativo di Rorty di preservare qualcosa della priorità tradizionale della morale sulla prudenza è destinato al fallimento. Si resta con una pluralità di morali come strutture normative (alcune delle quali rifiutano persino un punto di vista morale), sostenute da discorsi morali differenti supportati da differenti condizioni narrative socio-culturali. Come ha fatto notare Immanuel Kant (1724-1801) due secoli prima di Rorty, la morale non può mantenere la propria pretesa tradizionale di un contenuto singolare canonico e la priorità della morale sulla prudenza se non agendo, quantomeno, come se esistessero Dio e l’immortalità.

Una volta separate dal proprio ancoraggio in Dio e/o nell’essere (il che significa in una metafisica), tutte le morali e le bioetiche secolari diventano più o meno chiaramente narrative morali particolari, socio-storicamente condizionate, che affermano configurazioni particolari di intuizioni morali che si muovono nella dimensione del finito e dell’immanente. A differenza delle affermazioni di obblighi morali fondati su una comune origine divina, che potrebbero essere riconosciute persino da un ateo come putativamente fondate nell’essere - nonostante l’ateo consideri falsa tale pretesa - la morale secolare contemporanea è necessariamente contingente e storicamente condizionata. Tale sradicamento e tale contingenza hanno implicazioni drammatiche riguardo alla forza delle pretese normative avanzate dalla teoria morale contemporanea dominante di stampo secolare su questioni come il significato morale di autonomia, uguaglianza, uguaglianza di opportunità, diritti umani, giustizia sociale e dignità umana.

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