venerdì 20 gennaio 2012


Origini teologiche dei diritti umani, Il Foglio, 19/1/2012, http://www.libertaepersona.org

Nel loro “Filosofia”, vol. I, C. Esposito e P. Porro raccontano come nei primi secoli del cristianesimo i pagani cresciuti alla scuola dei filosofi antichi non comprendevano soprattutto due idee innovative proprie della teologia cristiana: la creazione e l’Incarnazione.
Sono concetti filosofici che in qualche modo, come dimostra la battaglia continua sulla bioetica, non sono compresi neppure oggi. Si sono persi, dopo essersi imposti per secoli, sconfiggendo il pensiero filosofico antico.
La creazione biblica è “creazione dal nulla”: essa comporta l’affermazione secondo cui l’Essere assoluto non coincide con il mondo. Un’idea che risultava inconcepibile a chi, come Aristotele, riteneva che l’universo non fosse mai cominciato e fosse destinato a durare in eterno, in quanto senza un inizio e senza fine. Un’ idea che oggi, che sappiamo che il mondo è cominciato e finirà, rimane purtuttavia incomprensibile, per un altro motivo: ciò che è mondano è divenuto l’unico orizzonte in cui ci muoviamo. Sono i valori che la cultura contemporanea impone che rendono di fatto eterna la finitudine del mondo.
Il concetto di creazione porta con sé, soprattutto, una nuova antropologia: dove vi è un Dio Creatore, infatti, l’uomo non è più annullato nella materia, parte cangiante di essa, da sempre e per sempre esistente (monismo materialista), e neppure parte della divinità, frammento di essa, negato come individuo (monismo panteista). No, nella concezione della creazione, l’uomo non coincide con una particella di Dio, non si annulla in Lui, e neppure nella materia: è a immagine e somiglianza di Dio, unico, irripetibile, individuale, nell’anima e nel corpo.
E’ da questa visione che è derivato il concetto cristiano di dignità del singolo e di diritti umani in senso cristiano. Se l’uomo è creatura, infatti, non è padrone della vita, né sua né del suo prossimo, in quanto, appunto, creato: in questo caso i diritti delle persone derivano anzitutto dal dovere di ogni uomo verso Dio, dal suo limite ontologico. L’uomo non può fare tutto ciò che vuole, perché non è padrone della realtà, e quindi del bene e del male. In secondo luogo, però, i diritti umani provengono non solo da un limite, ma anche da un attributo positivo: la dignità dell’uomo sta soprattutto nel suo essere creato “a immagine e somiglianza di Dio”.
A ciò si aggiunga l’Incarnazione. Questo dogma non fa che accrescere l’ importanza dell’uomo, lo eleva ulteriormente: Dio ha scelto di farsi come noi, per redimerci; ha voluto vestire la condizione umana, elevando l’uomo al cielo, riscattandolo dal peccato originale. L’uomo è degno dell’ amore immenso di Cristo.
Si può ben comprendere allora perché sant’Ambrogio nel suo commento al libro della Genesi, l’Esamerone, attribuisca all’uomo, nel pieno rispetto del pensiero biblico, un posto e un ruolo nell’universo assolutamente nuovo. Per Ambrogio la creazione si conclude “con la formazione di quel capolavoro che è l’uomo”, “gloria di Dio”, “culmine dell’universo e suprema bellezza di ogni essere creato”. Per Ambrogio la creatura umana riassume, ricapitola, contiene in sé la complessità degli esseri creati, ed è il senso e il fine di tutto l’universo. Il santo vescovo di Milano arriva a scrivere: “Creò il cielo, e non leggo che si sia riposato; creò la terra, e non leggo che si sia riposato; creò il sole, la luna, le stelle, e non leggo che nemmeno si sia riposato; ma leggo che ha creato l’uomo e che a questo punto si è riposato, avendo un essere cui rimettere i peccati”.
Da questa visione cristiana, che fa del limite e della grandezza dell’uomo due facce della stessa medaglia, l’origine e il perché della sua dignità, è nato il riconoscimento della dignità degli schiavi, delle donne, dei bambini, dei malati….Qualcosa di nuovo, che non era mai accaduto prima dell’avvento di Cristo e della Chiesa.
Ma questa dignità è oggi nuovamente negata per i bambini malformati, o “inopportuni”, o per gli embrioni rinchiusi nella provetta o uccisi per esperimenti di clonazione, e lo sarà, a breve, per i malati terminali e chissà ancora per chi. L’origine di questa nuova visione sta nel capovolgimento dei dogmi cristiani ricordati: l’uomo non si riconosce più creatura dipendente, e quindi nega ogni limite, imposto dall’alto, nella sua azione rispetto ai propri simili; i quali, non essendo dotati di una dignità immensa, perché non più “a immagine e somiglianza di Dio”, non più amati, né voluti né redenti da Lui, possono essere soppressi dal più forte.
Il medico che uccide un bambino o un malato e lo scienziato che clonano l’uomo, dunque, non riconoscono la propria creaturalità, e cioè il proprio limite, in nome di una cultura che si presenta, falsamente, come emancipatrice dell’uomo. Ma così facendo, nel contempo, finiscono per negare anche quella grandezza dell’uomo, compresa la loro, che credono di affermare. “Se è grave alterare l’opera di Dio (cioè l’uomo, ndr)- scrive sempre Ambrogio-, che diremo di coloro che uccidono l’opera di Dio, che versano sangue umano, che tolgono la vita che Dio ha dato?”. Il Foglio, 19/1/2012

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