mercoledì 24 ottobre 2012


“Farmaci super, sottopelle” - http://www.lastampa.it

Grandi come una moneta, le ”NanoGhiandole” promettono nuove logiche terapeutiche. Non solo nello spazio
Le “NanoGhiandole” di due italiani hanno già convinto la Nasa: ecco perché
DANIELE BANFI
Hanno fatto sensazione le straordinarie immagini della caduta libera di Felix Baumgartner, l’«austriaco volante» gettatosi nel vuoto da quasi 39 km. Nessuno sapeva se il suo corpo avrebbe retto oltre la barriera del suono. Ma la sfida è stata quella di riuscire a reggere per una decina di minuti. Per le imprese ancora più estreme e decisamente più lunghe, come il primo sbarco umano su Marte, gli astronauti dovranno essere al meglio della loro forma per tutta la durata della missione e non potranno permettersi il lusso di «cedere» e tanto meno di ammalarsi. L’ospedale più vicino disterebbe molti mesi di viaggio. Troppi. Ecco perché c’è chi lavora - come il torinese Alessando Grattoni e il friulano Mauro Ferrari, rispettivamente co-presidente e amministratore delegato del dipartimento di nanomedicina presso il «Methodist Hospital Research Institute» di Houston in Texas - allo sviluppo di nano-ghiandole impiantabili, capaci di rilasciare farmaci nel corpo in modo controllato. La data dell’inizio degli esperimenti in orbita è stata già fissata: ottobre 2013. 
«Fino a poco tempo fa - spiega Grattoni - l’interesse della Nasa verso le nanotecnologie era focalizzato sullo sviluppo di nuovi sensori e di materiali ultraleggeri e resistenti a stress meccanici e termici che agissero da schermo protettivo contro le radiazioni e fossero anche capaci di convertire l’energia solare in modo efficiente. Ora, però, spinti dal sogno di raggiungere il Pianeta Rosso, si fa pressante la necessità di garantire l’integrità fisica di chi prenderà parte alle spedizioni. In una missione che prevede il soggiorno per mesi o addirittura anni è necessario garantire in modo preventivo e terapeutico la salute dell’astronauta». Importante, quindi, secondo la Nasa, è lo sviluppo di dispositivi medici capaci di avvertire i primi e impercettibili segnali di una malattia e di rispondere autonomamente con la somministrare del farmaco corretto ancora prima della comparsa evidente dei sintomi. 
Le missioni nello spazio, infatti, non sono immuni da questo genere di problemi. Uno dei principali è rappresentato dalle radiazioni ad alta energia. Queste possono scatenare la formazione di radicali liberi dannosi per il corpo e innescare lo sviluppo di tumori, di complicazioni cardiache e di malattie ereditarie ed ecco perché una delle soluzioni migliori è quella di assumere in modo costante potenti molecole antiossidanti. Questo, per ovvi motivi, non potrà avvenire con una dieta ricca di frutta e verdura. «Per questa ragione - continua Grattoni - il nostro obiettivo è la realizzazione di capsule impiantabili, le nano-ghiandole, in grado di monitorare lo stato di salute dell’astronauta e, all’occorrenza, di rilasciare in modo controllato la quantità di farmaco necessaria. Ovviamente questo strategia sarà applicabile non solo agli antiossidanti, ma anche alla somministrazione di molti farmaci, per esempio per dosare livelli ormonali, controllare la temperatura corporea o regolare la pressione sanguigna». 
L’idea, per quanto appaia fantascientifica, non è poi così lontana dall’essere tradotta in realtà. Il dispositivo è realizzato in silicio, un materiale comune e poco costoso, nel quale vengono disegnati dei «nanocanali», la cui azione ricorda il funzionamento di una clessidra. La sabbia, che in questo caso è il farmaco, fuoriesce in maniera controllata e costante da un compartimento, la «NanoGhiandola», appunto. «Il primo passo - spiega lo scienziato torinese - sarà quello di creare un modello microscopico, mille volte piu grande, delle molecole nei nanocanali e studiarne il comportamento nello spazio in assenza di gravità così da riprodurre in modo più fedele il comportamento delle molecole al livello della nanoscala. Lo studio permetterà quindi di ricavare un modello matematico capace di predire le dimensioni ottimali dei nanocanali per garantire il rilascio controllato di qualunque farmaco da somministrare e per qualunque terapia medica». A Houston non aspettano altro: già nell’ottobre del prossimo anno verranno spedite sulla Stazione Spaziale Internazionale i micromodelli delle «NanoGhiandole», i quali, una volta raggiunta la loro destinazione, saranno messi sotto un microscopio a fluorescenza: così sarà possibile registrare in diretta la diffusione delle microsfere fluorescenti e misurare la loro interazione con i microcanali di silicio. 
E questo sarà solo il primo passo. La promessa è quella di grandi ricadute in campo medico, molto al di là delle esigenze degli astronauti. «E’ ormai chiaro - continua Grattoni - che in molti casi la somministrazione del farmaco tramite pillole o iniezioni è inadeguata e questi metodi tradizionali di somministrazione iniziano a segnare il passo rispetto a tecnologie farmaceutiche più evolute, tra le quali quelle nanotecnologiche. Grazie alle “NanoGhiandole”, delle dimensioni di una moneta e impiantabili sotto la pelle, potremo permetterci il lusso di dimenticarci di assumere una compressa. Per esempio - sottolinea il ricercatore - chi soffre di ipotiroidismo deve assumere a vita compresse che compensano la mancata produzione dell’ormone. Spesso però il dosaggio è problematico e i livelli del farmaco in circolo sono ottimali solo durante un limitato periodo dall’assunzione. Invece, attraverso il sistema a “NanoGhiandola”, sarà possibile somministrare in maniera più raffinata, precisa e costante il farmaco in questione». 
A beneficiare di questa rivoluzione annunciata sarà anche la lotta ai tumori. «Molto spesso gli antitumorali vengono iniettati nella massima dose tollerata, ma ciò ha pesanti effetti collaterali. Diversi studi hanno dimostrato che in alcuni casi la somministrazione costante e a piccole dosi è più efficace della terapia convenzionale e le “NanoGhiandole” potrebbero essere ideali». Se per lo spazio occorrerà aspettare un anno prima dei risultati, sulla Terra sono già in fase di sviluppo le prime «NanoGhiandole». Il team, di cui fa parte la chimica fiorentina Silvia Ferrati, sta lavorando a quelli che rilasciano ormoni. 

Nessun commento:

Posta un commento