venerdì 12 ottobre 2012


Watson: “Il cancro? Lo batteremo così” - Lezione all’Ircc di Candiolo: “Terapie mirate su geni e cellule” - gabriele beccaria - torino - 12 ottobre 2012 - http://www.lastampa.it

Concentrate i soldi sui cervelli, non sui pazienti!». James Watson fissa la platea e abbozza una risata. «Quarant’anni fa avevo spiegato alle autorità sanitarie americane come gestire i fondi per la lotta al cancro, ma i titoli dei giornali furono pessimi». E nessuno - aggiunge - gli diede retta. 
Lo scopritore del Dna - si sa - ama le provocazioni. È arrivato all’Ircc di Candiolo, l’Istituto per la ricerca e la cura del cancro alle porte di Torino, che l’ha invitato per un seminario dal titolo ambizioso: «Come riuscire a vincere la guerra al cancro». E una battuta la regala subito: «Se c’è un conflitto, ci vuole un generale, che decida dove sbarcare le truppe, a Calais oppure in Normandia». Perché battere quello che il bestseller di Siddhartha Mukherjee definisce «L’imperatore del male», secondo lui, è possibile, ma ci vuole una nuova visione creativa, intrisa di coraggio, prima di tutto intellettuale. 
A 84 anni sa di essere un monumento vivente. È lo scienziato più famoso del mondo e la sua esistenza è una corsa che ha il respiro della Storia. Da adolescente si fece conquistare dal libro-culto «Che cos’è la vita?» del fisico Erwin Schrödinger, poi neanche diciottenne studiò Biologia all’Università di Chicago con il futuro Nobel Salvador Luria e subito dopo cominciò a esplorare le mutazioni genetiche all’Indiana University. «Era un luogo straordinario - mi racconta prima della conferenza -. La ragione, molto probabilmente, è che lì, a differenza degli altri atenei d’America, c’erano molti ebrei».  
A 25 anni scopre con Francis Crick la doppia elica del Dna, nel 1962 vince il Nobel, nel 2000 partecipa alla decifrazione del Genoma e ora, circonfuso della carica di «Honorary chancellor» dei laboratori di Cold Spring Harbor, a tre quarti d’ora d’auto da Manhattan, si è concentrato sull’ossessione del XX e del XXI secolo, il cancro. 
«La mia fortuna - racconta sulla strada per Candiolo - è stata la frequentazione di persone estremamente intelligenti. La vita è questione di IQ». Il torinese Luria gli è rimasto nella testa e nel cuore e ha deciso di visitare la città dove nacque il suo mitico Prof. «Sono a Torino per ragioni sentimentali». E ha voluto visitare l’Ircc di Candiolo perché anche qui, come nei laboratori sulla East Coast, si studia il processo che rende molti tipi di cancro intrattabili e mortali: le metastasi.  
«Oggi lui è uno dei simboli dei nuovi approcci della ricerca - spiega il direttore scientifico dell’Ircc, Paolo Comoglio -: le terapie mirate che agiscono selettivamente sui geni che scatenano il tumore». Watson si è fatto accompagnare dalla moglie Elizabeth e dalla sua ex allieva (che prima era stata nel team di Comoglio), Raffaella Sordella, diventata, giovanissima, professoressa di Cancer Science proprio a Cold Spring Harbor. 
«Là si è fatta la storia della biologia - racconta lei -. Jim ha trasformato la ricerca, andando a cercare i ragazzi più promettenti. E negli anni si sono fatte scoperte straordinarie. Tra le tante, mi viene subito in mente quella di un oncogene. Merito di Mike Wigler». 
E allora a che punto è la guerra? A buon punto, ma tra luci e ombre. «I pessimisti dicono che ce la faremo in 20 anni, io dico 5-10. La decifrazione del Genoma è stata una tappa fondamentale - sottolinea Watson - e oggi sappiamo leggere le caratteristiche genetiche del tumore di ciascun individuo, ma sono ancora troppo pochi i farmaci “intelligenti”». Bisogna accelerare i tempi e «concentrarci sulla biologia e sulla chimica».  
Insomma, non basta svelare le mutazioni del Dna, ma si deve iniziare un viaggio d’esplorazione dentro le caratteristiche delle cellule malate. Si è scoperto, per esempio, che contengono anomali livelli di radicali liberi. «E quindi agire sugli antiossidanti sarà una strada per farmaci efficaci e non tossici». 
Le «slide» si susseguono e il professore e l’oratore si alternano. «Spesso la medicina è fatta da chi non conosce abbastanza scienza». E anche la scienza - aveva confessato poco prima - «ha bisogno di eroi. Di “Mr. Brain”, come Steve Jobs, mentre Google è un team e non suscita emozioni». Lui è uno di questi eroi, gioiosamente provocatorio: «So che molti hanno paura della genetica, a cominciare dalla gente di sinistra. E mi odiano. Non accettano che, a volte, nella vita si fallisca perché si hanno pessimi geni». 

Nessun commento:

Posta un commento