FATTORE FAMIGLIA/ Violini: dalla Lombardia
il rimedio alle ingiustizie dello Stato, INT. Lorenza Violini, giovedì 16
febbraio 2012
FATTORE FAMIGLIA. Milano.
Poniamo, ad esempio, che una famiglia abbia a carico cinque figli e un nonno, o
tre figli di cui uno disabile, o che un genitore sia rimasto da solo, o che,
ancora, una coppia abbia un solo bambino. Per lo stato italiano, fa poca differenza.
La tassazione è uguale per tutti. Che poi, se si tengono in debito conto
solamente i fattori relativi a reddito e patrimonio, l’uguaglianza sbandierata
si riversa nel principio opposto. Applicare, infatti, la medesima aliquota,
senza tener conto dell’effettivo carico familiare, viene considerata una grave
forma di iniquità. Almeno dalla Lombardia. Che ha deciso di supplire alle
carenze dello Stato in proprio. E, ieri notte, ha approvato una legge regionale
che introduce il fattore famiglia. Si tratta di un parametro in virtù del quale
il costo dei servizi sociali e sanitari erogati ai cittadini non sarà più
proporzionale ai classici quoziente fiscali, ma dipenderà anche dal numero di
figli minori, dal numero di disabili e di anziani non autosufficienti a carico
e dal fatto di essere una famiglia monogenitoriale. Per un anno, la misura sarà
attuata in via sperimentale in alcuni
Comuni della regione. Su tutto il territorio, invece, il nuovo fattore sarà
impiegato nel calcolo per l’assegnazione del buono scuola, il contributo per
chi manda i figli in scuole paritarie. Lorenza Violoni ci illustra le
caratteristiche fondamentali del provvedimento ideato dalla Giunta Formigoni.
Può spiegarci, anzitutto, in cosa
consiste esattamente?
Il Fattore Famiglia Lombardo
consiste in una rimodulazione dei criteri che determinano le fasce/soglie di
reddito tramite le quali si fa la selezione di chi richiede l'accesso a servizi
e se ne valuta l'idoneità a ottenere finanziamenti, titoli sociali (buoni,
voucher) e contributi (come l' applicazione al Fondo sostegno affitti).
Attualmente tali soglie di reddito
vengono determinate tramite il cosiddetto Indicatore della situazione
economica equivalente (ISEE) che calcola la situazione reddituale familiare
sulla base principalmente del reddito dichiarato e del patrimonio ed è
stabilito a livello nazionale; con una precisazione: sono poi i comuni a
stabilire con quale livello di ISEE si
accede ai servizi, con ciò creando forti differenze sul territorio nazionale.
Il Fattore Famiglia Lombardo modifica l’indicatore nazionale inserendo come
elementi ulteriori (oltre al reddito e al patrimonio) anche il numero dei figli
e ulteriori situazioni di bisogno cui la famiglia fa fronte (esistenza di
disabili, soggetti non autosufficienti, ecc….)
Quindi?
In sostanza, come è stato in più
sedi dichiarato, per la prima volta viene così preso in considerazione il
carico familiare nel suo complesso, attraverso la definizione di scale di
equivalenza che garantiscano e tutelino le famiglie a seconda della loro
condizione concreta. La scala di equivalenza, che costituisce in sostanza il
FFFL, fa riferimento al costo dei figli e del coniuge a carico, alle situazioni
particolare quali la non autosufficienza, la disabilità, la monogenitorialità,
la vedovanza e a eventuali parametri che si possono inserire per meglio
quantificare il carico familiare.
Quali sono le differenze rispetto
al quoziente Parma?
Intanto il quoziente parmense è
stato istituito tramite un provvedimento amministrativo mentre in Lombardia si
tratta di una legge regionale che determinano modalità di calcolo
potenzialmente eguali per tutti (anche se poi saranno i comuni a determinare in
concreto le soglie). Sul piano pratico, le differenze riguardano i coefficienti
con cui si valutano le situazioni sopra citate, cioè quanto “pesano” nel
calcolo il numero dei figli, la presenza di disabili, la monogenitorialità, lo
stato di disoccupazione ecc… ma la filosofia di fondo è analoga: valorizzare la
famiglia nel suo insieme, tutelarla e sostenerla se porta in sé situazioni di
disagio o di bisogno; passare insomma ad una valutazione meno astratta di che
cosa è e che cosa fa la famiglia che accede ai servizi sociali.
Perché la Regione, in questa
particolare congiuntura economica, scommette su un provvedimento che ha dei
costi relativamente elevati?
Sono molti i motivi che
giustificano il cambiamento: il sistema ISEE è, in sé, iniquo da molti punti di
vista ed è in via di modifica anche a livello statale; inoltre, come sappiamo,
in Italia sul piano fiscale la famiglia è da sempre potentemente penalizzata
mentre si tratta di una risorsa fondamentale, soprattutto in tempi di crisi.
Infine – e questo è un elemento di estremo interesse – il nuovo sistema sarà
oggetto di sperimentazione per valutarne l’adeguatezza e la sostenibilità; si
tratta di una sperimentazione di un anno in alcuni comuni, al termine della
quale si potranno fare modifiche alla scala di equivalenza per renderla ancora
più corretta ed equa.
Tassare diversamente le famiglie
a seconda dei carichi familiari può rappresentare un fattore di sviluppo?
Favorire fiscalmente la famiglia
– in generale – è stato provato essere un fattore di incremento, ad esempio,
della natalità, come è successo e succede in Francia, che ha un sistema fiscale
molto favorevole per la famiglia. In questo senso, oltre che equo, un sistema
che miri ad una redistribuzione del reddito verso le famiglie e, in
particolare, verso famiglie numerose o che fanno fronte a situazioni di
bisogno, potrebbe senz’altro contribuire a migliorare la difficile situazione
sociale in cui ci troviamo. Va detto tuttavia che il Fattore Famiglia non è una
riforma fiscale e non funziona come leva fiscale bensì una riforma che consente di accedere a
benefici e servizi secondo criteri ritenuti più equi, bilanciando
compartecipazione alla spesa ed esenzioni in base alla situazione reale in cui
versano le singole famiglie; pertanto, se mandare un figlio al nido costerà
meno rispetto all’applicazione dell’ISEE per famiglie numerose o con situazioni
di disagio, si liberano risorse di cui la famiglia può disporre per migliorare
la propria situazione. Non è proprio la stessa cosa rispetto a fattori di
sviluppo propriamente detti ma sicuramente potrà aiutare a stare meglio chi
porta carichi familiari finora ignorati dal sistema fiscale nazionale.
Si dice che Formigoni aiuta chi
già, avendo più figli, è ricco. Cosa risponde?
Si è già risposto in altra sede a
questa obiezione, molto simile a quella che si fece quando fu introdotto il
buono scuola, che invece si è rivelato alla prova dei fatti un provvedimento
cui accedevano molte famiglie a redditi relativamente bassi. Che poi chi ha più
figli sia, per definizione, ricco, è un assioma tutto da dimostrare. E,
comunque, è indubitabile che chi ha più figli dovrebbe aver diritto a veder
riconosciuto l’apporto, anche in termini sociali, che viene dato dalla
famiglia. Altri Paesi non considerano reddito tassabile quello che serve a
mantenere i figli, il che è più che giusto mentre è ingiusto che una coppia con
uno e due figli sia soggetta allo stesso regime fiscale di una con un numero
maggiore di figli; del resto, anche la tassa sulla casa prevede facilitazioni
in relazione al numero di componenti del nucleo famigliare. Ma, ancora, il
fattore famiglia non entra nella questione fiscale ma si limita a favorire un
ricalcolo delle spese per servizi che tiene conto di molti fattori relativi
alla famiglia (e non solo al numero dei figli).
Perché in Italia non c’è stato un
solo governo in grado di introdurre il coefficiente familiare?
Credo si possa dire che si è
trattato di una miopia politica molto forte e di un immobilismo che è stato
tipico di molti aspetti dell’attività della nostra classe dirigente, anche
perché i sistemi fiscali degli altri stati europei hanno dimostrato che forme
di tassazione meno inique si sono rivelate fattori di sviluppo. Del resto non
solo le famiglie sono penalizzate in Italia: è invece un sistema da riformare e
l’esempio lombardo può essere di stimolo a proseguire su questa strada.
A suo avviso il modello è
esportabile in altre regioni?
Perché no? E non deve essere
necessariamente una esportazione; si potrebbero sperimentare sistemi di calcolo
anche parzialmente diversi. Nulla vieta, infatti, di fare sperimentazioni;
anzi, questo sarebbe un modo intelligente per fare benchmark ed arrivare ad uno
scambio di esperienze utile a tutti
Come potrebbe interfacciarsi la
proposta Lombarda con il governo?
La Lombardia si sta muovendo in
modo corretto e prudente, decidendo la strategia ma lasciando poi il tempo alle
realtà locali di fare esperienza. Credo che questo schema un governo accorto
non possa che guardarlo con favore e provare ad applicarlo dove lo ritenga più
opportuno e conveniente.
Come valuta l’idea di attuare su
tutto il territorio, in via sperimentale, soltanto l’ampliamento della platea
degli aventi diritto al buono scuola?
Lo valuto molto positivamente.
L’esperienza del Buono Scuola prima e poi della Dote Scuola, con tutte le sue
componenti e modulazioni, è stata una esperienza che ha fatto emergere un
bisogno grande e anche una grande disponbilità delle famiglie a investire, se
adeguatamente sostenute, sul capitale umano dei propri figli. Come ho detto, il
Buono Scuola non riguarda i ricchi ma, in grande prevalenza, famiglie con
redditi medio-bassi che desiderano però un certo tipo di educazione per i
propri figli. I tagli del governo alle Regioni avevano fortemente penalizzato
questa politica regionale, creando disagi e problematicità cui va posto rimedio
al più presto in nome della continuità scolastica e della qualità dell’intero
sistema.
(Paolo Nessi)
© Riproduzione riservata.
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