La legge sull’omofobia, dopo l’approvazione alla Camera, sta procedendo nel suo iter al Senato, ma a tappe forzate e per giunta senza che il governo abbia presentato i dati promessi e necessari per giustificare la procedura d’urgenza. Il tutto si sta svolgendo frettolosamente e senza discussioni. Nonostante la mancanza di informazioni, infatti, il termine per presentare gli emendamenti è stato fissato al 20 dicembre.
ACCUSE GENERICHE. La norma prevede fra le pene addirittura il carcere, un misura estrema per combattere un reato di opinione che secondo i sostenitori del ddl rappresenterebbe ormai una vera e propria emergenza in Italia. A provare però che non esiste alcun allarme reale è un documento dell’Avvocatura per i diritti Lgbt, associazione di avvocati che si occupano della tutela giudiziaria delle persone con tendenze omosessuali. Nel report, intitolato Realizzazione di uno studio volto all’identificazione, analisi e al trasferimento di buone prassi in materia di non discriminazione nello specifico ambito dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere (2007-2013), si accusano gli italiani di omofobia solo per il fatto che hanno ancora un giudizio negativo su matrimonio gay e adozione per le coppie omosessuali. Non ci sono invece dati precisi su episodi di violenza o discriminazioni di altro tipo. Invece vi si può leggere quanto segue: «Si può dunque sostenere che l’intolleranza nei confronti delle persone con impulsi omosessuali e bisessuali sembrerebbe nella maggior parte della popolazione fondata non su un immotivato odio omofobico, ma sull’adesione al preciso modello familiare di tipo nucleare eterosessuale». Secondo l’Avvocatura Lgbt dunque basta “aderire” a un modello familiare eterosessuale per essere considerati intolleranti? E di conseguenza, una volta in vigore la legge sull’omofobia, basterà esprimere contrarietà alle nozze o alle adozioni gay per ricadere nella fattispecie di reato per cui è previsto il carcere?
«NON CI SONO RICERCHE». Nonostante nel documento non compaiano denunce circostanziate di minacce, derisioni o calunnie, né rilevazioni numeriche sulla casistica di questi fenomeni, il 50 per cento degli intervistati si dice comunque convinto che bisogna fare di più contro l’omofobia. Diverso il caso delle discriminazioni nei confronti dei transessuali: qui dei dati ci sono, si parla di numerosi episodi di violenza fisica (subiti dal 24 per cento degli intervistati) e molestie (18 per cento), ma è lo stesso rapporto a specificare che il 62 per cento del campione è composto da soggetti legati alla prostituzione, una categoria di per sé a rischio di violenza. L’Avvocatura Lgbt, infatti, prosegue affermando che «esistono pochissimi dati sulla discriminazione delle persone Lgbt» e «ad oggi sono state condotte pochissime ricerche scientifiche, specificamente mirate a valutare e misurare questo fenomeno».
I SUICIDI. Un altro argomento generalmente utilizzato a riprova dell’esistenza di una “emergenza omofobia” è il tasso di suicidi, più alto nella popolazione con tendenze omosessuali che nella restante. Sono diverse le ricerche condotto in tutto il mondo che confermano quest’ultima tendenza. Relativamente all’Italia, in Omosessuali moderni. Gay e lesbiche in Italia, scritto da Marzio Barbagli e Asher Colombo per il Mulino, si legge che un terzo dei gay e un quarto delle lesbiche hanno pensato almeno una volta di togliersi la vita. E nel 6 per cento dei casi ci hanno anche provato. La colpa – si sente ripetere – è della società omofobica che non accetta l’omosessualità. Ma anche questa affermazione non è suffragata da dati certi, e anzi, le poche informazioni a disposizione spesso la smentiscono.
NEI PAESI “GAY FRIENDLY”. Alcune ricerche svolte nei paesi cosiddetti “gay friendly” dimostrano infatti che la sofferenza di chi ha impulsi omosessuali non è correlabile all’omofobia. Ad esempio in Danimarca, dove le unioni gay sono legali dal 1990, è emerso che da allora fino al 2001 il tasso di suicidi tra le coppie di uomini era otto volte superiore a quello registrato per gli uomini uniti a donne. Lo studio The association between relationship markers of sexual orientation and suicide: Denmark, 1990-2001, condotto da ricercatori dell’Università di Oxford, riporta inoltre un tasso di suicidi più alto tra gli uomini uniti civilmente ad altri uomini, rispetto al resto della popolazione con tendenze omosessuali. Un’altra ricerca, Marriage, cohabitation and mortality in Denmark: national cohort study of 6.5 million persons followed for up to three decades,1982-2011, pubblicata nel 2009 sulla rivista scientifica Social Psychiatry and Psychiatric Epidemiology ed estesa a un campione di ben 6,5 milioni di persone, lungo un arco di tempo di 29 anni, dimostra lo stesso: il tasso di suicidi fra gli uomini sposati con altri uomini è quattro volte maggiore di quello fra uomini sposati con donne. Del resto già nel 1978 i ricercatori Alan P. Bell e Martin S. Weinbergdimostrarono che la causa principale del suicidio delle persone con impulsi omosessuali derivava da rotture, litigi e relazioni problematiche con il compagno/a, non dai presunti pregiudizi della società. Nel loro libro, Homosexualities: A study of diversity among men and women, sono gli stessi gay intervistati a spiegarlo.
@frigeriobenedet
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