Secondo uno studio recentemente compiuto da scienziati danesi, i bimbi nati in provetta hanno una probabilità di andare incontro a tumori un terzo più alta dei loro “colleghi” nati naturalmente; soprattutto leucemie e tumori del sistema nervoso.
Si sospetta che sia coinvolto il sistema detto “imprinting genomico”, che riguarda i geni (legati allo sviluppo di tumori, in questo caso) espressi o inespressi nel nascituro. Un’altra ipotesi punta l’indice sulla somiglianza chimica tra i farmaci con cui si trattano le aspiranti mamme e il cancerogeno dietilstilbestrolo. I sostenitori della fecondazione artificiale (scienziati inglesi, principalmente) attribuiscono la aumentata incidenza di tumori non ai trattamenti specifici della IVF, ma alla condizione in partenza non perfetta di queste coppie sterili.
Parallelamente, scienziati catalani hanno rilevato nei bambini nati in provetta un ispessimento delle arterie paragonabile a quello dei piccoli diabetici o obesi.
Anche gli aspetti sociologici della fecondazione artificiale sono controversi: nella fecondazione omologa (che è legale in Italia) ogni ciclo di terapia ha circa solo il 15% di probabilità di successo, ancora meno se si ricorre a quella Spoon River degli embrioni che è il congelamento. Spesso gli aspiranti genitori peregrinano da un centro specializzato ad un altro, illudendosi e spendendo moltissimi soldi, mentre sospendono i loro atti d’amore, poiché ormai per loro sesso significa siringhe, laboratori, provette, delusione, dolore.
C’è poi la galassia delle fecondazioni eterologhe, dove i genitori del nascituro non sono due sposi, ma possono essere chiunque, non c’è limite alla “creatività” del biologo che gioca a fare Dio: c’è la fecondazione triparentale (per ora illegale ovunque) alla quale concorrono un papà e due mamme, una delle quali per motivi sanitari non vuole trasmettere il proprio DNA mitocondriale; c’è il sistema ormai diffuso degli uteri in affitto, dove una ragazza spesso indiana e invariabilmente assai povera porta dentro di sé per nove mesi un bambino altrui che consegnerà alla nascita; coppie di lesbiche (con maschio anonimo donatore di sperma) di cui una fornisce l’ovulo e l’altra porta avanti la gravidanza e via così, una galleria di stranezze se non di orrori che si ripercuoterà sulla psiche dei bambini se, una volta cresciuti, apprenderanno che, oltre a non conoscere uno o più genitori, non sono stati concepiti secondo le leggi della natura.
Miriam Zoll, dopo aver tentato più volte, invano, di concepire un figlio attraverso la fecondazione artificiale, ha deciso di raccontare in un libro la terribile verità sulle cliniche (e sul business) della fertilità intitolato “Cracked Open”. Ha parlato di trattamenti che «falliscono quasi sempre», racconta le angosce nascoste dietro «la vendita di false speranze» da parte di un’industria miliardaria che ha gettato sul lastrico diverse famiglie e che «ha fini eugenetici». Infine racconta la scoperta che la maternità non è la «produzione di un essere secondo le tue idee» ma «qualcuno da amare», fino alla presa di coscienza che «il mistero del concepimento non deve essere manipolabile». Oggi Zoll è finalmente mamma. Grazie all’adozione.
Linda Gridelli
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