giovedì 12 dicembre 2013

Tredici motivi per dire no alla legge sull'omofobia di Gianfranco Amato 12-12-2013 - http://www.lanuovabq.it/

Parlamento italianoIl 3 dicembre scorso il senatore Carlo Giovanardi dirama il seguente comunicato stampa: «Ho chiesto oggi al Governo in Commissione Giustizia, dove è in discussione a marce forzate (notturna compresa) il disegno di legge che criminalizza le opinioni in tema di omosessualità, su quali dati viene denunciata una “emergenza nazionale” di omofobia, per contrastare la quale si vorrebbe far passare questa legge liberticida. Ho citato a proposito casi eclatanti spacciati negli ultimi mesi per omofobia con grande clamore mediatico, risultati poi totalmente infondati. Il Governo, rappresentato dal Sottosegretario Ferri, si è impegnato a fornire i dati eventualmente in suo possesso, e il senatore Sergio Lo Giudice del PD ha candidamente ammesso che sarà la stessa legge a prevedere un monitoraggio, per verificare se esiste  quella emergenza che viene invocata come presupposto per farla approvare in tempi record dal Parlamento». 

Il punto è, come abbiamo accennato su questo giornale, che un'emergenza omofobia nel nostro Paese semplicemente non esiste. Nonostante ciò, ad occupare il primo posto nella scala delle priorità della politica e del parlamento non è la crisi economica ed istituzionale, non sono i problemi del lavoro, dei disoccupati e degli esodati, delle imprese che chiudono, della salute dei cittadini. No, il problema dei problemi in Italia è l’omofobia. Questo grazie ad una massiccia e ben orchestrata campagna mistificatoria che vuole convincere l’opinione pubblica della necessità di procedere a tappe forzate e sedute parlamentari notturne per l’approvazione di una legge che ponga immediatamente fine all’ingiusta discriminazione patita dagli omosessuali, quasi fossero gli afroamericani nell’Alabama degli anni Sessanta, o i black people nel Sudafrica dell’apartheid boero.

In realtà il disegno di legge in discussione al Senato mostra una pericolosa natura liberticida e apre a inquietanti prospettive giuridico-sociali. Meritano di essere ricordati i motivi per cui occorre opporsi a questo sciagurato intervento normativo.

1) Le norme in discussione si inquadrano in una mera prospettiva ideologica, del tutto inutile sul piano legale, poiché gli omosessuali e i transessuali già godono degli strumenti giuridici previsti dal codice penale per i tutti i cittadini, contro qualunque forma di ingiusta discriminazione, di violenza, di offesa alla propria dignità personale. Ogni individuo, infatti, in quanto tale è protetto dal sistema penale di fronte a qualsiasi azione lesiva. Per quando riguarda, in particolare, la tutela da qualunque forma di discriminazione, l’art.3 della Costituzione italiana recita testualmente che «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». Sesso e condizioni personali sono quindi già contemplati dalla Costituzione come elementi specifici rispetto ai quali non sono ammissibili forme di discriminazione. E solo frutto di una prepotente campagna di mistificazione della realtà come si è detto, l'idea che sussista oggi nel nostro Paese una condizione di discriminazione tale da giustificare una specifica – e quindi privilegiata – tutela giuridica, in ragione di scelte sessuali personali e arbitrarie.

2) Le fattispecie di reato delineate nel disegno di legge in discussione sono accomunate dal fatto di porre omosessualità e transessualità quali valori collettivi da tutelare in sé, attraverso una tutela speciale per i soggetti che ne sono portatori, al di là di quella che il sistema penale assicura a qualunque comune cittadino. Appare del tutto evidente che siamo di fronte ad una proposta assurda, oltre che giuridicamente infondata, perché analoga protezione potrebbe essere invocata da una serie infinita di soggetti in ragione di proprie condizioni personali, quali quelli di essere cultori di caccia e pesca, di essere obesi, fumatori, di appartenere a tifoserie calcistiche, di essere amanti del gioco d'azzardo e delle corse di cavalli, oppure magari anche cattolici ortodossi e praticanti. Appare a tal proposito del tutto pertinente la domanda posta da Piero Ostellino, un giornalista di estrazione laica e liberale, in un controverso editoriale pubblicato dal Corriere della Sera: «Non riesco a capire perché picchiare un omosessuale sarebbe un’aggravante, mentre picchiare me — che sono “solo” un essere umano senza particolari, selettive e distintive, qualificazioni sessuali — sarebbe meno grave. Picchiare qualcuno è un reato. Punto, basta e dovrebbe bastare». In mancanza di reali esigenze concrete, qualunque ampliamento delle garanzie giuridiche già esistenti produrrebbe l'effetto paradossale di sconvolgere e rovesciare l'ordine etico della società umana. Infatti, l'inevitabile punto di approdo di qualunque intervento normativo –com’è già avvenuto in altri Paesi europei – è costituito dal matrimonio omosessuale, dall'adozione di bambini da parte di coppie omosessuali, nonché dalla loro “produzione” attraverso la pratica della maternità surrogata.

3) Le norme che si intendono approvare mirano, in realtà, ad introdurre attraverso la forza pedagogica della legge, l’idea che eterosessualità ed omosessualità siano condizioni naturali paritarie, anzi che l’omosessualità meriti un plusvalore a livello giuridico, un quid aggiuntivo a livello di tutela legale rispetto all’eterosessualità;

4) La legge in discussione al Senato introduce una nuova figura di reato su un presupposto – il concetto di “omofobia” e “transfobia” – che non viene definito. L’omofobia e la transfobia, infatti, non sono patologie conosciute dalla scienza medica. Nessuna legge dell’ordinamento giuridico italiano definisce i concetti di omofobia e transfobia. Nessun magistrato in nessun provvedimento giudiziale ha mai definito il concetto di omofobia e transfobia. In assenza di un’espressa definizione normativa di tale concetto, il rischio che si corre è quello di creare una sorta di “reato giurisprudenziale”, il cui contenuto precettivo verrà rimesso all’autorità giudiziaria chiamata a pronunciarsi sul singolo caso, con buona pace del principio di oggettività del reato. Il punto è che negli Stati di diritto a impronta liberale il cittadino deve sempre conoscere preventivamente quali sono le conseguenze del suo comportamento, soprattutto se queste possono determinare effetti di carattere penale. Il contrario è tipico degli stati totalitari e dittatoriali. E’ noto l’esempio del famigerato e indefinito “reato di attività antisocialista” vigente nell’ex Unione Sovietica.

5) In gioco non c’è soltanto la libertà religiosa ma la stessa libertà di opinione, poiché la proposta di legge, così come formulata, non potrà non avere gravi ripercussioni sui diritti fondamentali dell’uomo riconosciuti dalla nostra Costituzione, tra cui il diritto alla libertà di pensiero (art.21) e alla libertà religiosa (art.19).

6) La legge in discussione al Senato si pone in contrasto con un altro principio fondamentale del nostro ordinamento giuridico. Questo, infatti, non prevede che si possa essere puniti per un fattore puramente interiore, indeterminato e indeterminabile, quale il motivo che muove l’azione. I motivi sono rilevanti soltanto come circostanze e servono per graduare la pena. Se così non fosse, ci troveremmo nell’orizzonte di quel diritto penale che non punisce tanto il fatto quanto l'atteggiamento soggettivo, e che ha tristemente caratterizzato i regimi totalitari nella loro esiziale opera di controllo delle coscienze e di imposizione dell'ideologia di Stato. Infatti, solo la legge penale che punisce i fatti lesivi, le azioni dell’uomo e non la loro matrice psicologica, pur utile in certe circostanze a colorare le modalità dell'azione e quindi a misurare la gravità del reato, pone il singolo al riparo dalla invasione del potere pubblico nella propria sfera intima e da ogni possibile arbitrio. 

7) Un altro degli errori di fondo contenuti nella proposta di legge in discussione è il fatto di aver utilizzato per la – ingiustificata – tutela di omosessuali e transessuali lo strumento normativo della cosiddetta legge Mancino, recante misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa, ovvero la legge italiana che condanna gesti, azioni e slogan legati all’ideologia nazifascista, e aventi per scopo l’incitazione alla violenza e alla discriminazione per motivi razziali, etnici religiosi o nazionali. 

La ratio delle norme della legge Mancino, in realtà, è quella di assicurare la convivenza pacifica tra gruppi divisi da forti sistemi di pensiero anche religioso. Ed è in omaggio a questo interesse superiore che anche la limitazione della libertà di manifestazione del pensiero può invocare qualche giustificazione. Mentre tutt'altra valutazione spetta ai reati commessi per motivi di «omofobia» e «transfobia», che non trovano alcun fondamento né in una diffusa ostilità capace di creare un clima oggettivamente persecutorio, né in una situazione di obiettivo svantaggio da ricomporre. Semmai una sorta di successo mediatico, alimentato dalla sapiente orchestrazione, ha posto paradossalmente il fenomeno omosessuale al centro dell'interesse politico e lo ha imposto ad una società culturalmente sempre più disarmata.

8) Con le nuove norme in discussione al Senato potrà essere considerato comportamento omofobo punibile penalmente anche quello di un privato cittadino che pubblicamente sostenga che è giusto impedire agli omosessuali e ai transessuali l’accesso al diritto di sposarsi e a quello di adottare minori; che l’omosessualità rappresenta una «grave depravazione», citando le Sacre Scritture della religione cristiana (Gn 19,1-29; Rm 1,24-27; 1 Cor 6,9-10; 1 Tm 1,10), o che gli atti compiuti dagli omosessuali sono «intrinsecamente disordinati», «contrari alla legge naturale», poiché «precludono all’atto sessuale il dono della vita e non costituiscono il frutto di una vera complementarietà affettiva e sessuale» (art. 2357 Catechismo cattolico); che omosessualità e transessualità appartengono oggettivamente alla sfera etico-morale, e possono quindi essere sottoposte ad un giudizio di riprovazione; che vi sono ambiti nei quali non può considerarsi ingiusta discriminazione il fatto di tener conto della tendenza sessuale (per esempio nell’adozione o nell’affidamento di minori).

9) Non va peraltro dimenticato l’orientamento giurisprudenziale della Corte di Cassazione (Sez. I, n. 47894 del 22 novembre 2012), che ha ritenuto di qualificare come «propaganda» ai sensi della Legge Mancino la semplice esternazione pubblica di un’idea, ribaltando entrambe le sentenze di primo e secondo grado, che avevano, invece, dato della norma un’interpretazione tale da evitare una compressione eccessiva della libertà di manifestazione del pensiero.

10) Includere l’orientamento sessuale fra le considerazioni sulla base delle quali è illegale discriminare può facilmente portare a ritenere l’omosessualità quale fonte positiva di diritti umani, ad esempio, in riferimento alla cosiddetta affirmative action, ovvero lo strumento politico che mira a ristabilire e promuovere principi di equità razziale, etnica, di genere, sessuale e sociale. In altre parole, nel momento in cui si riconosce che la categoria degli omosessuali e transessuali è stata ingiustamente discriminata al punto da meritare una privilegiata tutela giuridica, occorre rimediare agli effetti della discriminazione attraverso misure compensative, quali ad esempio quote riservate. E’ ciò che è successo con gli afroamericani negli USA. Gli obiettivi della affirmative action sono raggiunti, normalmente, attraverso quote riservate nelle assunzioni, nelle cariche istituzionali, nell’assegnazione di alloggi pubblici, nell’erogazione di servizi e così via. Già qualcuno comincia a parlare di “quote viola”, in analogia rispetto quanto accaduto con le cosiddette “quote rosa”. 

11) Non regge l’eccezione introdotta nelle norme in discussione al Senato per cui «non costituiscono discriminazione, né istigazione alla discriminazione, la libera espressione e manifestazione di convincimenti od opinioni riconducibili al pluralismo delle idee, purché non istighino all’odio o alla violenza, né le condotte conformi al diritto vigente ovvero anche se assunte all’interno di organizzazioni che svolgono attività di natura politica, sindacale, culturale, sanitaria, di istruzione ovvero di religione o di culto, relative all’attuazione dei princìpi e dei valori di rilevanza costituzionale che connotano tali organizzazioni». Dal che si deduce che la manifestazione di idee omofobiche d’ora in poi sarà punita soltanto in ambito domestico, nelle assemblee condominiali, allo stadio e negli stabilimenti termali. Non occorre, del resto, possedere le formidabili capacità premonitrici di Nostradamus per capire che l’eccezione prevista nel disegno di legge non scamperà alla mannaia inesorabile della Corte Costituzionale. La discriminazione non può funzionare a corrente alternata: o è, o non è. E non si può neppure pensare che un comportamento sia considerato reato se posto in essere da un singolo, mentre sia ritenuto perfettamente lecito nel caso in cui il singolo si associ con altri.

12) Problemi non meno gravi di compatibilità con l’intero sistema normativo pone anche la previsione nelle norme che si intendono approvare al Senato, della aggravante contemplata nella legge Mancino, estesa a tutti i reati «puniti con pena diversa da quella dell’ergastolo», se commessi per motivi di omofobia o transfobia. Una pennellata di arcobaleno a tutto il nostro codice penale. Ora, occorre precisare che le circostanze aggravanti, così come le attenuanti, incidono sulla gravità del reato (e di conseguenza sulla entità della pena concretamente inflitta), o perché il fatto risulta oggettivamente più o meno grave (es. la speciale tenuità del danno patrimoniale nei delitti contro il patrimonio), o perché nell‘azione si riflette il sostrato psichico che l’ha mossa (es. motivi futili e abietti, o di particolare valore morale o sociale), fornendo al giudice anche elementi per la valutazione della capacità a delinquere e della personalità dell’autore. La circostanza modifica quantitativamente la gravità del reato, mentre il valore tutelato rimane identico.

Invece, una volta elevato il motivo “omofobico” o “transfobico”, in ragione del suo contenuto, a circostanza aggravante di un qualunque reato, è proprio questo suo contenuto ideale a dare una particolare colorazione al reato comune, che ne rimane qualitativamente modificato. L’oggetto della tutela, poniamo l’incolumità fisica, subisce uno slittamento e l’incidenza della circostanza si fa da quantitativa a qualitativa. 

Come circostanza comune, il motivo omofobico può accompagnare qualsiasi reato, cosicché la rosa dei reati potenzialmente interessati dall’aggravante di omofobia si estende pressoché all’intero codice penale, dall’abigeato alla turbativa d’asta. Per riassumere, se il motivo omofobico diventa capace di aggravare il reato comune ciò sta a significare che il fenomeno omosessuale viene considerato un plusvalore che si aggiunge al bene giuridico leso dal reato comune.

Ma forse l’aspetto più inquietante della previsione dell’aggravante ex Legge Mancino sta nello smisurato aggravio di pena che essa stabilisce (fino alla metà), e che sicuramente è in contrasto con l'articolo 27 della Costituzione, il quale prevede per le pene chiari limiti di contenimento.

13) Con le norme che si intendono approvare al Senato il motivo omofobico e transfobico, lungi dal presentarsi come elemento accessorio, introduce un valore aggiuntivo a quello tutelato dalla norma base e, assumendo il ruolo di elemento costitutivo, crea una serie indeterminata quanto surreale di reati di incerta configurazione. In ogni caso rimane aperto, e non è poco, il problema dell’accertamento. Come dimostrerà il giudice l'esistenza del motivo omofobico e soprattutto come potrà difendersi l'imputato? Questioni che non hanno turbato minimamente i promotori, e ancora meno gli estensori del disegno di legge.
Come se non bastasse, per tutti i reati viene stabilita la procedibilità di ufficio. Una trovata che deve essere sembrata di straordinaria efficacia dissuasiva in vista della eliminazione di ogni sacca di resistenza omofoba. Ma nonostante la bontà delle intenzioni, le norme in discussione non tengono conto di un possibile prevalente interesse dell’offeso ad evitare lo strepitus fori.

In conclusione con la fantomatica “omofobia” e “transfobia” non si punisce un fatto oggettivamente lesivo di un valore meritevole di tutela penale e caratteristiche personali che abbiano un interesse per l'intera collettività. Non si puniscono neppure comportamenti che mettono in pericolo categorie particolari di persone, dal momento che queste persone godono oggettivamente e in concreto delle libertà e della garanzie assicurate a tutti i cittadini e che, semmai, godono attualmente di una esposizione mediatica e politica e usufruiscono di spazi di libertà spesso capaci di deprimere esigenze educative e culturali altrui. Basti pensare a manifestazioni ostentatamente oscene che, anche in spregio alle norme di buon costume costituzionalmente garantite, vengono ingiustificatamente tollerate dalle pubbliche autorità.

Quella che viene punita con l’omofobia e la transfobia, in realtà, è la stessa libertà di pensiero ancora prima della sua manifestazione. Siamo allo psicoreato, quello che la neolingua orwelliana definiva crimethink, il più pervasivo strumento repressivo delle istituzioni totalitarie descritte in 1984. Se passano le norme in discussione al Senato, anche a noi potrà capitare, come ai disgraziati cittadini dell’immaginaria Oceania di Orwell, di essere incriminati di psicoreato, ogni volta che oseremo soltanto elaborare un pensiero omofobo o contrastante con le teorie del nuovo Socing e le direttive del Grande Fratello. Davvero un capolavoro!

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