Uno dei più longevi miti dell’abortismo è quello secondo cui un accesso agevolato alla contraccezione riduce le gravidanze indesiderate e, dunque, gli aborti. «Dobbiamo puntare molto sulla contraccezione come momento di prevenzione», affermava non a caso la politica abortista Maria Magnani Noya (cit. in La questione femminile, Marsilio 1976, p. 62).
La contraccezione come prevenzione all’aborto, dunque. Ma le cose stanno proprio così? Che cosa dice al riguardo la ricerca scientifica? A questa diffusa convinzione corrispondono degli effettivi riscontri oppure si tratta, per quanto popolare e radicata, di una leggenda metropolitana? La sola risposta attendibile può giungerci prendendo in esame i Paesi che sulla contraccezione hanno deciso, per così dire, di scommettere.
Prendiamo per esempio il caso inglese: la Gran Bretagna è un Paese dove da alcuni anni si è deciso di investire massicciamente nella diffusione di contraccettivi. Una scelta non casuale ma pensata in risposta all’allarmante fenomeno abortivo tra le adolescenti e alla crescita del numero complessivo delle interruzioni volontarie di gravidanza. Più contraccezione meno aborti, le aspettative erano queste. Ebbene, dopo qualche tempo dall’avvio di questo programma si è verificato un fatto totalmente inaspettato: le cose sono peggiorate. Il numero degli aborti, anche se di poco, ha infatti continuato a crescere – nel 2011 sono stati 189.931, mentre nel 2010 furono 189.574 – ma soprattutto tra le giovanissime sono aumentati drammaticamente gli aborti multipli: nel 2010 in 485 hanno abortito per la terza volta, in 57 per la quarta, in 14 per la quinta, in 4 per la sesta e in 3 per la settima. Orbene, non occorre molto per capire che in un Paese dove quasi 500 adolescenti all’anno abortiscono per la terza volta è in corso un disastro educativo di vaste proporzioni e, quel che è peggio, destinato a crescere.
A questo punto si potrebbe ribattere facendo osservare che quello inglese è comunque un caso singolo e dunque sarebbe affrettato impiegarlo per decretare il fallimento sociale della contraccezione. Le cose non stanno così dato che quanto accade in Gran Bretagna si è verificato anche altrove. Pensiamo alla Spagna dove, secondo quanto riferisce uno studio pubblicato un paio di anni fa, nell’arco di una decade all’aumento del 63% dell’uso dei contraccettivi è corrisposto una crescita ancora maggiore, pari addirittura al 108%, del tasso di aborto (Cfr. «Contraception» 2011; 83(1):82-7). Oppure pensiamo al caso della Svezia dove, tra il 1995 ed il 2001, durante un periodo di facilitazione della diffusione dei contraccettivi, il tasso di aborto delle adolescenti è lievitato del 32% (Cfr. «Sexually Transmitted Infections» 2002; 78 (5):352-356). E potremmo continuare a lungo, se non fosse già chiaro non c’è correlazione tra contraccezione e riduzione delle gravidanza indesiderate (Cfr. «Journal of Health Economics» 2002; 21(2):207-25).
Non solo: i dati che abbiamo ricordato, unitamente ad altre risultanze, rafforzano l’ipotesi opposta, e cioè che la contraccezione sia causa o almeno concausa dell’aumento degli aborti (Cfr. «Working Paper, Duke University Department of Economics» 2008: 1-38 at 31). Ipotesi supportata anche dal fatto che oltre la metà delle donne intenzionate ad abortire – secondo quanto emerso in alcune ricerche – in precedenza faceva regolare ricorso alla contraccezione (Cfr. Guttmacher Institute 2008, Facts on Induced Abortion in the United States).
Come mai tutto questo? Le spiegazioni del fenomeno – precisato che qualora vi sia stato concepimento prodotti non di rado spacciati come contraccettivi (Norlevo, Ru-486, EllaOne) producono effetti abortivi – sono principalmente di due tipi. La prima è di ordine etico e riguarda il fatto che giammai un male, in questo caso l’aborto, può essere fronteggiato e men che meno superato ricorrendo a strategie a loro volta immorali, quali certamente sono le scelte di promozione della contraccezione; il fine, insomma, non giustifica i mezzi. Anche perché ricorrendo a mezzi ingiusti – come in questo caso – difficilmente si persegue il fine prefissato.
Passiamo così ad una seconda spiegazione dell’inefficacia della contraccezione, derivante da quella che potremmo definire una “incompatibilità di livelli”. Se infatti il fenomeno delle gravidanze, in particolare quelle tra le giovanissime, come sappiamo è del tutto reale, non è tuttavia detto che sia esso sia di natura squisitamente materiale. Al contrario, tutto lascia pensare che dietro vi siano forti carenze educative. Il che spiega come mai, se si predispone una risposta materiale – la distribuzione di contraccettivi – ad una domanda valoriale – il bisogno di autentica educazione all’affettività ed alla sessualità –, detta domanda non trova alcuna risposta adeguata e continua ad ingrandirsi. Esattamente con il tasso di aborto tende a crescere (o comunque certamente non decresce) con la diffusione dei contraccettivi.
Ne consegue che solo sostituendo la corrente apologia della contraccezione con una sana introduzione all’affettività e potenziando l’implementazione di interventi di gruppo che indirizzino il comportamento sessuale degli adolescenti si può ridurre l’incidenza del fenomeno delle gravidanze indesiderate (Cfr. «American Journal Of Preventive Medicine» 2012; 42(3): 272–294). Viceversa, insistendo con la politica contraccettiva si seguiterà a rimandare o, come abbiamo visto, a peggiorare la dimensione di un problema che già oggi è di proporzioni allarmanti.
Giuliano Guzzo
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