lunedì 4 luglio 2011

La fecondità europea è in caduta libera perché non ci si sposa quasi più di Roberto Volpi, il Foglio quotidiano, 3 luglio 2011

Le ultime notizie da Eurostat danno la popolazione europea alla sua massima espansione attorno al 2040, per poi scivolare in un leggero declino che la porterà nel 2060 a 517 milioni di abitanti, ben sopra i 501 di adesso. Oltre il 2060 l’Eurostat non azzarda. Fa bene. Anche perché sono già un azzardo le stime in questione, per le quali la Germania perderà quasi 16 milioni di abitanti e l’Inghilterra ne guadagnerà altrettanti, mentre l’Italia, con 65 milioni, sarebbe uno dei paesi col maggiore incremento. La previsione Eurostat che riguarda l’Italia è superiore alla previsione “alta” dell’Istat, ma surclassa anche la previsione “centrale” (che prevede 63 milioni di abitanti, tra gli anni Trenta e Quaranta, per poi cominciare un lento cammino discendente), ritenuta più affidabile. In precedenza, Eurostat dava l’Europa sotto il mezzo miliardo di abitanti già prima del 2050 e l’Italia a 59 milioni, previsione allora in linea con quella “bassa” dell’Istat. Va a capire che cosa ha fatto cambiare idea a Eurostat, visto che nel frattempo la fecondità italiana è diminuita.

La fecondità, appunto. E’ evidente che l’Europa non ce la fa neppure alla lontana ad assicurare il semplice rimpiazzo delle generazioni (2,1 figli in media per donna). E hai voglia di andarti a inventare chissà quali cause profonde. Il fatto puro e semplice, rispetto a non più di quattro decenni fa, è che si hanno meno rapporti sessuali nelle età feconde.

Una tesi straordinariamente diffusa al riguardo vuole che il matrimonio non più per sempre, il successo del divorzio, la maggiore libertà sessuale, unitamente alla pratica dei rapporti sessuali non più condizionati, neppure alla lontana, dalla procreazione (se non per evitarla), non abbiano fatto che determinare un aumento assoluto dei rapporti sessuali tra uomini e donne rispetto alle epoche in cui quei rapporti erano molto meno liberi. Non è così. Negli anni in cui il matrimonio era in salute, gli italiani non soltanto si sposavano pressoché tutti ma lo facevano a età decisamente giovanili. In particolare, l’età media al matrimonio della donna è passata dai 24 di allora ai 30 anni di oggi. Sei anni cruciali, in cui si è nel pieno della vitalità, anche sessuale. Cosicché appare non improbabile ma del tutto impossibile che le donne di oggi, che si sposano assai poco e lo fanno a età già avanzate, abbiano mediamente un numero di rapporti sessuali pari alle loro coetanee sposate degli anni Sessanta. Godono, è indiscutibile, di maggiore libertà, anche e proprio sotto un profilo strettamente sessuale, cambiano un maggior numero di partner, ma questo non si traduce affatto in un maggior numero di rapporti sessuali. Una venti-trentenne nel matrimonio ha senz’altro, mediamente parlando, un numero di rapporti sessuali molto superiore a quelli di una donna di pari età non sposata – e, com’è nella maggioranza dei casi a quelle età, neppure convivente con un uomo.

Secondo un’altra tesi che va per la maggiore la riproduzione sessuale risulterebbe facilitata piuttosto fuori del matrimonio che non dentro il matrimonio in considerazione del fatto, che ben presto la vita sessuale nel matrimonio diventa abitudine e finisce per trasformarsi in svogliato rituale. E’ vero che la proporzione dei nati fuori dal matrimonio sul totale dei nati non fa che aumentare. Anche in Italia, dove pure questa proporzione è più bassa che nei paesi dell’Europa del centro-nord, un nato su quattro viene da coppie di fatto, e ha visto una crescita considerevole a partire dalla metà degli anni Settanta, a legislazione sul divorzio ormai sicura. In alcuni paesi dell’Europa nord occidentale questa proporzione sfiora il livello di un nato su due e si prefigura addirittura un sorpasso negli anni a venire: più nati fuori che dentro il matrimonio. L’errore di questa tesi è quello di non capire che queste cifre rappresentano più il riflesso della crisi del matrimonio che non il successo in sé e per sé, riproduttivamente parlando, delle coppie non matrimoniate. E’ la crisi del matrimonio a rivalutare ed esaltare oltre i suoi meriti il “fuori matrimonio”. Non soltanto, infatti, nell’Europa continentale e settentrionale il matrimonio è assai poco frequente – solo quattro matrimoni annui ogni mille abitanti – ma è anche sottoposto a un tasso di divorzialità pari alla metà del tasso di nuzialità, assai alto in sé e più alto di quello italiano. Cosicché il contributo al totale delle nascite di una vita matrimoniale limitata nella diffusione e anche nella durata non può che essere assai poco soddisfacente, cosa che di riflesso porta all’innalzamento della proporzione delle nascite che si verificano fuori dal matrimonio sul totale delle nascite.

Ma da questo stato di cose non si può ricavare affatto la conclusione che mentre il matrimonio non è più così “efficiente” per la procreazione sono proprio le unioni che ne prescindono a rivelarsi le più prolifiche. Entrambe queste affermazioni sono sbagliate. Relativamente al matrimonio, in quanto sta diventando una fattispecie minoritaria e instabile. E relativamente alle altre unioni perché non sono prolifiche in se stesse, bensì semplicemente in crescita quantitativa, conseguentemente all’arretramento del matrimonio.

Stiamo dunque assistendo, non soltanto a livello europeo ma occidentale in senso pieno, a uno spostamento marcato della riproduzione dall’ambito matrimoniale a quello extra matrimoniale. Questo spostamento – è il punto su cui riflettere – non ha attenuato l’indebolimento della riproduzione sessuale ma, tutto il contrario, ne è stato un fattore, e forse il più decisivo, di aggravamento. Caduto il matrimonio caduti i rapporti sessuali caduta la fecondità caduta la riproduzione sessuale. E’ questa l’unica tesi che abbia il suffragio dei dati, checché se ne pensi del matrimonio.
© - FOGLIO QUOTIDIANO

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