mercoledì 21 novembre 2012


C’è una macchina del piacere - Si agita nella corteccia del cervello

Dall’innamoramento all’attrazione per l’arte: le avventure 
della neuroestetica
Ecole Normale Superieure - CNRS
L’intenso piacere che proviamo nell’ascoltare la musica preferita o nell’ammirare un’opera pittorica particolarmente bella è legato ad una serie di risposte neurochimiche del cervello, omologhe a quelle scatenate durante l’innamoramento. Infatti, sia l’amore romantico sia l’estasi di fronte ad un lavoro artistico attivano le aree cerebrali associate al rilascio di dopamina, l’ormone del piacere. Questa stretta relazione tra l’esperienza estetica, il desiderio ed il piacere è studiata da una disciplina nota come neuroestetica. In particolare, la neuroestetica è impegnata nel caratterizzare i meccanismi cerebrali coinvolti nell’esperienza edonica. 
Dunque, cosa piace al cervello? Le tecniche di visualizzazione dell’attività cerebrale, come la risonanza magnetica funzionale, indicano che la bellezza nella musica o nelle arti visive mette in azione meccanismi specifici: assieme alle aree del piacere, l’arte stimola la parte sensorimotoria, emozionale e cognitiva, aggiungendo così all’esperienza estetica ulteriori dimensioni, come per esempio la simulazione involontaria delle azioni, vale a dire sensazioni ed emozioni che osserviamo nelle creazioni artistiche. 
In situazioni particolari un’esperienza estetica di forte impatto emotivo, e che altrimenti verrebbe indicata come positiva, può essere causa di stati di ansietà, tachicardia e allucinazioni: una condizione psicosomatica conosciuta come «sindrome di Stendhal». In generale, un indicatore delle preferenze del cervello è l’attività della corteccia orbitofrontale, un’area localizzata nella parte frontale, la cui attività cresce assieme all’apprezzamento estetico. Tuttavia, nel cervello umano vi è un articolato network funzionale dedicato all’esperienza edonica, che coinvolge territori neurali differenti. Ad esempio, mentre l’insula media la percezione oggettiva della bellezza, l’amigdala è coinvolta nel giudizio soggettivo. Poiché l’insula ha un ruolo importante nella regolazione dell’equilibrio fra l’intero organismo e gli stimoli ambientali, la sua attività potrebbe corrispondere ad una valutazione di come gli oggetti soddisfino (o meno) i bisogni del corpo. 
Rimane perciò da chiarire se nel corso dell’evoluzione l’uomo abbia sviluppato dei centri cerebrali specializzati per il piacere estetico oppure se le aree del piacere siano state successivamente cooptate dall’esperienza estetica. Un recente studio supporta la prima ipotesi: le proprietà di una creazione artistica sembrano, infatti, avere un’influenza peculiare sull’attivazione della corteccia orbitofrontale, che non è osservabile per un oggetto comune. Eppure, anche un oggetto di uso quotidiano può assumere un valore estetico, quando le indicazioni dei critici d’arte, la conoscenza del valore economico dell’oggetto e del nome dell’artista riescono a modulare l’attività di queste aree del cervello. Per esempio, è stato dimostrato che l’attività della corteccia orbitofrontale ed il valore estetico di un oggetto aumentano quando questo è collocato in un contesto artistico (basti pensare ai «ready made»). 
Dunque, ciò che piace al cervello non è solo quel tipo di informazione sensoriale che stimola un complesso sistema di meccanismi cerebrali, alcuni dei quali già identificati. Infatti, a determinare il grado di attività del network cerebrale dedicato all’estetica c’è un insieme complicato di diversi fattori, tra i quali il contesto culturale a cui siamo stati esposti fin dall’infanzia. Questa conoscenza, di certo, non ci nega il mistico piacere al cospetto di un’opera d’arte. Anzi, parafrasando Richard P. Feynman, aggiunge all’esperienza estetica la consapevolezza che dietro a una simile e gradevole sensazione c’è un complicato mondo ancora tutto da esplorare. 

Nessun commento:

Posta un commento