giovedì 26 maggio 2011

La mia salute riguarda tutti. Lo dice la Costituzione di Emanuela Vinai - La vita di ciascuno è interesse della collettività: basta leggere (senza omissioni) l’articolo 32 della nostra Carta fondamentale per capire che non c’è spazio nella legislazione italiana per autorizzare l’autodeterminazione assoluta. Perché nessuna azione ha conseguenze solo per chi la compie E la difesa del più debole trascende sempre il singolo - Avvenire, 26 maggio 2011

Qual è il rapporto tra il diritto dell’individuo e l’interesse della collettività? Come si pone la tutela del valore della vita nei confronti dell’autodeterminazione del singolo, specie nel momento della sua massima fragilità? In attesa che riprenda la discussione alla Camera della legge sulle Dichiarazioni anticipate di trattamento (Dat), e alla luce di quanto ricordato lunedì dal cardinale Angelo Bagnasco nella prolusione all’assemblea della Cei, è opportuno evidenziare alcuni punti essenziali del dibattito. Il tema è di complessa definizione; per dipanarlo al meglio abbiamo interpellato un giurista, un medico e una bioeticista: tre diverse prospettive per focalizzare un’indagine a tutto campo.
Partiamo da una premessa necessaria: il rilievo della vita come fatto non solo privato, ma di interesse collettivo, così come delineato nell’articolo 32 della nostra Costituzione, non trae le sue radici dalla concezione della vita del singolo propria dei regimi totalitari, ma, anzi, da un contesto di carattere solidaristico. Lo spiega Luciano Eusebi, ordinario di Diritto penale all’Università Cattolica di Milano: «Il rispetto della vita costituisce il presidio del mutuo riconoscimento tra gli individui umani come uguali – spiega –. I diritti umani fondamentali non sono una concessione dello Stato. Non sono attribuiti, ma riconosciuti, perché connaturati all’esistenza umana». Da questo presupposto discende il fatto che «la tutela della vita e della salute è un bene di interesse generale, perché soltanto nel momento in cui l’organizzazione giuridica garantisce il soggetto, la vita è tutelata».
La vita di ciascuno quindi è interesse di tutti, e la tutela del più debole e del più fragile è tutela di un valore più generale che trascende il singolo. Nessuna azione, pertanto, ha conseguenze solo per chi la compie. «Non c’è autonomia dell’individuo se non in relazione con l’altro – riflette dal canto suo Marianna Gensabella, professore straordinario di Filosofia morale all’Università di Messina e componente del Comitato nazionale per la bioetica –. L’autonomia va sempre intesa come autonomia relazionale. Tutto quello che faccio e decido ricade non solo su di me e sulle persone che sono a me legate ma anche sulla collettività. Se io considero la mia vita come non più degna di essere vissuta, formulo contestualmente anche un giudizio su quel tipo di vita, giudizio che non può non riverberarsi su tutti coloro che versano nelle mie condizioni».
Nessun uomo è un’isola. Siamo parte di una società – continua la Gensabella – : se apriamo la breccia all’eutanasia del singolo, se ammettiamo questo anche per una sola persona, poi questa breccia ricadrà anche su altri considerati non degni». Concorda Franco Balzaretti, segretario nazionale dell’Associazione medici cattolici (Amci): «Ci sono momenti in cui la fragilità della persona la porterebbe a scegliere contro se stessa e contro la collettività di cui non si sente più parte. Una società in cui viene legalizzata l’eutanasia, però, va verso l’autodistruzione non solo fisica ma anche morale perché sovverte la piramide dei valori subordinando la vita umana al benessere, all’economia, al profitto, all’utilitarismo».
Ecco perché la tutela della salute deve essere tanto più forte quanto più è debole il soggetto. «La difesa della salute è dovere dell’individuo nell’ambito della solidarietà sociale – rammenta Luciano Eusebi – perché c’è un valore nel mio pormi nelle condizioni migliori per poter dare il mio contributo agli altri.
L’altro ha un’aspettativa nei miei confronti.
Quando parliamo di diritto alla vita come dovere civile c’è una logica solidaristica: sono responsabile della mia vita perché sono significativo nei rapporti con gli altri». Quindi è necessaria una legge come quella sul fine vita? Per Balzaretti «la legge deve essere approvata al più presto per evitare che il magistrato si sostituisca al medico, interrompendo la sua relazione col paziente senza la quale non ci può essere la necessaria alleanza terapeutica». Non solo: è in gioco la nostra stessa visione dell’uomo: «Non ci possiamo arrendere – spiega la Gensabella – a un’antropologia riduttivistica, dove la vita vale solo in base alle sue funzioni».

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