martedì 24 maggio 2011

Malta vota sul divorzio Un test per l'Europa di Massimo Introvigne, 24-05-2011, da http://www.labussolaquotidiana.it

Con tutto il rispetto per l’elezione dei sindaci di alcune importanti città italiane, il voto più importante in Europa il 28 maggio sarà quello di Malta. Qui gli elettori dell’arcipelago, l’unico Paese dell’Unione Europea dove la legge non autorizza il divorzio, voteranno su un quesito referendario che propone d’introdurre il divorzio dopo quattro anni di separazione fra i coniugi. La proposta di legge è di un deputato del Partito Nazionalista, di governo e di tendenza centrista, Jeffrey Pullicino Orlando, ma non è sostenuta dal suo partito i cui maggiori esponenti hanno anzi criticato l’iter procedurale seguito dal deputato, mentre lo è dal leader dell’opposizione di centro-sinistra. Pullicino Orlando, nel 1997, scriveva contro il divorzio. Poi ha cambiato idea, secondo lui a causa delle mutate condizioni sociali ma certamente anche a causa di un suo problema personale.


L’elezione di Malta ha un rilievo europeo. Non sono infatti mancate le pressioni – sottili e talora non troppo sottili – di ambienti e media stranieri perché cessasse lo «scandalo» di un Paese dell’Europa comunitaria che non si è ancora dotato di un’istituzione così «moderna» come il divorzio. La lobby divorzista è scesa in campo con dovizia di mezzi e comprende la maggioranza dei giornali di lingua inglese – in teoria non schierati ufficialmente, ma che svolgono spesso una propaganda almeno indiretta –, buona parte della sinistra politica, esponenti del mondo della cultura e dell’economia. Contro il divorzio è schierata la Chiesa Cattolica, insieme alla linea ufficiale e ai maggiori esponenti del Partito Nazionalista.


I vescovi di Malta il 21 maggio hanno pubblicato una lettera pastorale in cui affermano, a proposito del rischio di astensionismo nel referendum, che «ogni persona che deciderà di non  partecipare mostrerà una carenza di maturità civile e religiosa». Se al divorzio tutti gli uomini di buona volontà possono opporsi «in nome della ragione», proseguono i vescovi, «il cittadino cattolico ha un particolare contributo da dare. Gli insegnamenti di Gesù Cristo, espressi attraverso la legge morale della Chiesa, non lasciano alcun dubbio sul fatto che il divorzio è la soluzione sbagliata – una soluzione su cui una società stabile non può essere costruita». Votare a favore della famiglia è dunque «un obbligo morale»: «una scelta a favore del matrimonio permanente è un atto di fede nella famiglia, costruita su un legame di amore che non può essere sciolto; mentre una scelta a favore del divorzio porta all’ulteriore distruzione del matrimonio e della famiglia e, come conseguenza, alla distruzione dei valori e della qualità della vita».


Quello che succede a Malta richiama alla mente di tanti italiani l’analogo referendum sul divorzio che si tenne in Italia il 13-14 maggio 1974. Quel referendum fu perso da coloro che si opponevano al divorzio per due ragioni. La prima è che una grande confusione fu creata da cattolici divorzisti i quali si presentavano come cattolici «moderni», eredi del Concilio Ecumenico Vaticano II, mentre i cattolici contrari al divorzio sarebbero stati «arretrati». I vescovi italiani  ricordarono che proprio il Vaticano II aveva definito il divorzio «una piaga sociale per le sue rovinose conseguenze nei riguardi del matrimonio, della famiglia e della società» (Gaudium et Spes, n. 47). Ma i grandi giornali – tutti schierati a favore del divorzio – riuscirono a convincere gli italiani della tesi falsa secondo cui c’erano sul tema nella Chiesa due opinioni, entrambe ugualmente «cattoliche».


A Malta sta succedendo lo stesso. I divorzisti vanno a caccia di cattolici – fra cui anche qualche sacerdote – che si esprimono in modo favorevole al divorzio o almeno ambiguo. L’opinione cattolica maltese non dovrà lasciarsi ingannare. I vescovi hanno ribadito nel modo più formale e solenne che non ci sono due opinioni cattoliche ugualmente legittime sul divorzio. C’è una sola tesi cattolica, che considera il divorzio una «piaga sociale» con «rovinose conseguenze». E – come avviene purtroppo anche su altri argomenti – ci sono alcuni cattolici ribelli al Papa e ai vescovi che non accettano l’insegnamento del Magistero, il quale però è di per sé chiaro, è univoco, non lascia spazio a nessuna incertezza. Un cattolico non può essere a favore del divorzio.


I «cattolici del dissenso», oggi a Malta come ieri in Italia, ripetono un argomento che conosciamo bene: «Io sono cattolico, sono moralmente contrario al divorzio e non divorzierò mai. Ma non posso imporre di non  divorziare a quelli che non sono cattolici». Alla fine, l’esito del referendum di Malta si gioca dunque sulla capacità degli anti-divorzisti cattolici di spiegare – in un Paese che ha il record del mondo di cittadini che si dichiarano cattolici praticanti – la distinzione fra legge naturale e legge della Chiesa.

La legge della Chiesa impone di andare a Messa alla domenica. Se ci fosse una legge che impone di andare a Messa alla domenica – in analogia a quanto succede in Arabia Saudita, dove esiste una «polizia religiosa» che va a prendere chi non va in moschea al venerdì – sarebbe sbagliata, perché non si può imporre una legge della Chiesa ai non cattolici o ai non credenti. Né la Chiesa ha mai preteso leggi simili, che sono estranee alla sua visione dei rapporti fra Chiesa e Stato.


Il precetto «non rubare» si trova nei Dieci Comandamenti. Ma è anche un precetto della legge naturale, quella legge che la ragione può conoscere anche senza mai aprire la Bibbia. Perché allora si trova anche nei Dieci Comandamenti? Perché Dio sapeva che dopo il peccato originale la ragione fa molta fatica a discernere la legge naturale, e ha voluto offrire ai credenti una via rapida per arrivare facilmente agli stessi risultati che la ragione può raggiungere, ma con difficoltà. Ma questo non toglie che «non rubare» sia un precetto della legge naturale. I credenti lo rispetteranno sia perché lo dice loro la ragione sia perché lo trovano nei Dieci Comandamenti.  I non credenti lo rispetteranno solo sulla base della ragione, che discerne la legge naturale. Il risultato non cambia.

Immaginiamo che un ladro che si dichiara ateo sia sorpreso a rubare un portafoglio in piazza. E immaginiamo che alla polizia che lo arresta dica a gran voce: «Ma io non sono credente e non ho nessun dovere di rispettare il settimo comandamento “Non rubare”. Questo comandamento vale per i credenti ma io sono ateo. Io non impedisco ai credenti di non rubare, così come loro non devono impedire a me di rubare. Se la Chiesa vuole imporre a me che sono ateo di rispettare il comandamento “non rubare” si sta ingerendo nelle leggi dello Stato e sta violando la mia libertà».


Se l’ipotetico ladro ateo argomentasse davvero così dopo essere stato colto sul fatto mentre ruba un portafoglio, tutti si metterebbero a ridere. Giustamente. Ma la risata tradurrebbe una profonda verità. «Non rubare» è un precetto della legge naturale: cioè di una legge accessibile alla ragione, che di per sé non è né atea né cattolica né musulmana. Il fatto che sia anche uno dei Dieci Comandamenti non ne cambia lo statuto di precetto della legge naturale. Dunque è giusto che la legge imponga di non rubare, mentre sarebbe sbagliato se la legge imponesse di andare a Messa.


Ora, che il matrimonio sia indissolubile e dunque il divorzio sia sbagliato non è solo una verità della legge della Chiesa. È anche una verità della legge naturale. La cellula fondamentale della società è la famiglia, ordinata al bene mutuo dei coniugi ma anche a quello prevalente dei figli. L’essere figlio è un dato permanente e naturale. Io sono figlio di mio padre e di mia madre. Non posso decidere di cambiare e di essere figlio di mio padre e di un’altra signora, anche nel caso in cui la seconda signora ora piacesse a mio padre più di mia madre. L’essere figlio di due specifici genitori è un dato permanente che non posso cambiare. Dunque per proteggere veramente i figli anche il matrimonio di mio padre e di mia madre deve essere un dato permanente.


Lo slogan dei divorzisti maltesi «date all’amore una seconda chance» gioca sui sentimenti e sui casi pietosi, ma io non posso avere «una seconda chance» e voler essere figlio di altri genitori che non siano mio padre e mia madre. La paternità e la maternità sono per sempre. La natura stessa, che fa nascere un figlio da un uomo e da una donna, esige la responsabilità e la continuità del legame fra i genitori. Se poi anche si consentisse il divorzio solo nei matrimoni senza figli, s’indebolirebbero fatalmente anche quelli con figli, minando l’istituto della famiglia in genere, che è un bene irrinunciabile per la società. Senza famiglia, la società non può esistere.


La legge naturale si ricava dalla riflessione della ragione, non dalle statistiche. La maggioranza dei Paesi del mondo ha leggi sul divorzio, è vero. Ma questo non rende il divorzio naturale, così come il fatto che nella storia un numero molto grande di culture abbia riconosciuto la poligamia e la schiavitù non rende naturali la poligamia e la schiavitù. I divorzisti maltesi – fra cui alcuni sedicenti cattolici – che affermano l’inesistenza della legge naturale dovrebbero riflettere su un argomento di Benedetto XVI: in un mondo dove convivono persone di religioni diverse le regole comuni del gioco chiamato società o sono affidate alla ragione – che discerne appunto una legge naturale – oppure alla violenza, all’arbitrio del più forte, alla prevaricazione di Stati che diventano totalitari. Non c’è una terza alternativa. O la legge naturale o l’arbitrio e la tirannide.


I divorzisti a Malta ripetono che il divorzio non ha conseguenze sociali di carattere generale. Qualunque sociologo sa che queste sono bugie elettorali. Da quando in Italia è stato introdotto il divorzio, è crollato il numero di coloro che si sposano, in costante diminuzione dal 1974 a oggi. Ormai in Italia il 21,7% dei bambini nasce fuori del matrimonio (dati ISTAT riferiti al 2009), con drammatiche conseguenze sulla loro educazione e un impressionante aumento della criminalità giovanile, della droga e degli insuccessi scolastici, tutte «piaghe sociali» contro le quali la famiglia stabile sarebbe l’unica possibile protezione. L’argomento secondo cui a Malta ci sono percentualmente più matrimoni «che falliscono» che in altri Paesi, usato dai divorzisti, andrebbe sottoposto a una verifica statistica: ma occorre anche tenere conto che a Malta ci sono in percentuale molti più matrimoni, per esempio, che in Italia. Un matrimonio che non è mai nato non può «fallire», ma un’unione che non ha il coraggio di trasformarsi in matrimonio da un certo punto di vista è già un fallimento.


Occorre quindi rifiutare il sofisma «Io non divorzio ma non posso impedire a chi non è cattolico di divorziare», oggi a Malta come ieri in Italia. Lo si rifiuta mostrando che non appartiene alla stessa categoria di affermazioni di «Io vado a Messa ma non posso impedire a chi non è cattolico di non andarci». Queste sono affermazioni giuste, ma si riferiscono alla legge della Chiesa. Invece, siccome la stabilità del matrimonio indissolubile fa parte della legge naturale – per quanto faccia parte anche della legge della Chiesa – lo slogan proposto per sostenere il divorzio è simile a quello, evidentemente sbagliato, «Io non rubo ma non posso impedire a chi non è cattolico di rubare». Se si accetta questa logica relativista al posto di «rubo» posso mettere «divorzio» ma anche «abortisco», «mi drogo», «sopprimo con l’eutanasia il mio familiare anziano o malato quando non serve più», e così via.


I divorzisti a Malta affermano pure che il divorzio non ha niente a che fare con la legalizzazione dell’aborto, cui la stragrande maggioranza dei maltesi secondo i sondaggi è contraria. Lo dicevano anche i divorzisti in Italia nel 1974 per rassicurare gli elettori cui chiedevano di votare per il divorzio nel referendum. Ma mentivano. Appena vinto il referendum sul divorzio, le stesse organizzazioni, a partire dal Partito Radicale – e spesso le stesse persone – si misero subito a chiedere a gran voce una legge sull’aborto, anche se prima del referendum avevano assicurato che non lo avrebbero fatto. Ottennero la legge sull’aborto solo quattro anni dopo il referendum sul divorzio, nel 1978. Quando si comincia a scivolare sul piano inclinato della negazione dei valori naturali della vita e della famiglia non c’è più modo di fermarsi. Ci sono di sicuro a Malta dei divorzisti che non sono abortisti: ma la cultura di cui sono, talora inconsapevolmente, portatori spiana inevitabilmente la strada all’aborto.


I maltesi sono certamente incoraggiati dalle parole di Benedetto XVI, che nel suo viaggio apostolico a Malta il 18 aprile 2010 ha esortato a non farsi prendere da complessi d’inferiorità e smanie di adottare quanto l’Europa propone come più avanzato e moderno. «Non tutto quello che il mondo oggi propone – ha detto il Papa – è meritevole di essere accolto dai Maltesi. Molte voci cercano di persuaderci di mettere da parte la nostra fede in Dio e nella sua Chiesa e di scegliere da se stessi i valori e le credenze con i quali vivere». Ma queste voci vanno respinte. «La vostra Nazione – aveva detto Benedetto XVI il 17 aprile 2010 – dovrebbe continuare a difendere l’indissolubilità del matrimonio quale istituzione naturale e sacramentale». E con questa difesa – se il miracolo del 28 maggio dovesse realizzarsi – Malta proverebbe all’Europa che Davide può battere Golia, che le ricchissime lobby che attaccano la famiglia e la vita non sono invincibili.


«Ricordate – ha detto il Papa nell’omelia del 18 aprile – che lo scambio di beni tra queste isole ed il resto del mondo è un processo a due vie. Quello che ricevete, valutatelo con cura, e ciò che possedete di valore sappiatelo condividere con gli altri». I sondaggi indicano che vincere il 28 maggio a Malta è difficile, ma non è impossibile. Se vincerà la famiglia contro il divorzio, da Malta comincerà a soffiare il vento di un cambiamento di tendenza che scuoterà tutta l’Europa. Per questo dobbiamo tutti pregare: per i cattolici di Malta, per la loro eredità cristiana in pericolo, per la famiglia.

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