martedì 31 maggio 2011

J'ACCUSE/ La Francia uccide gli embrioni e la libertà del medico di Filippo Vari - martedì 31 maggio 2011 – il sussidiario.net

Dopo mesi di dibattito l’Assemblea nazionale francese è sul punto di approvare una nuova normativa in tema di bioetica. Il progetto contiene norme che violano il diritto alla vita e suscitano una vivace e grave discussione: tra di esse la disposizione che consente, sia pure in casi particolari, di svolgere attività di ricerca - anche distruttiva - su embrioni concepiti in vitro mediante procreazione artificiale, che non formano più oggetto di un “projet parental”.
Il paradosso della norma è evidente. Si consente la sperimentazione solo sugli embrioni prodotti in vitro, implicitamente ammettendosi che quelli concepiti in vivo siano uomini. Ma qual è la differenza tra i primi e i secondi? L’uomo, sia pure concepito artificialmente, è ridotto a strumento rispetto al fine della ricerca, a oggetto, secondo una prassi - per riprendere l’analisi di Habermas, ne Il futuro della natura umana - “di reificazione” “oscena” che finisce per trasformare, ulteriormente stravolgendola, “la percezione culturale della vita umana prenatale”.
Altra norma al centro delle polemiche è quella che stabilisce che, nel corso della visita, il medico abbia l’obbligo di proporre alla gestante lo svolgimento di esami al fine di valutare la salute del concepito. La disposizione ha una chiara impronta eugenetica, ordinando uno screening sistematico di tutta la popolazione, in controtendenza rispetto al codice civile francese, che sancisce, invece, il divieto di “toute pratique eugénique tendant à l'organisation de la sélection des personnes”.
Nonostante tale divieto già oggi in Francia il 96% dei bambini con la trisomia 21 (cosiddetta sindrome di Down) è eliminato prima della nascita.
La nuova norma che l’Assemblea potrebbe introdurre - oltre a costituire una violazione della libertà di coscienza del medico e dei suoi obblighi deontologici - dà vita a una grave discriminazione, giacché essa sottende l’ingiusta idea che la vita di un malato valga meno di quella di una persona sana. Tornano, così, alla mente le parole di un grande giurista del secolo scorso, Francesco Carnelutti, il quale, sia pure ad altro proposito, sessant’anni or sono, criticamente annotava: anche “se un malato vale meno di un sano, a fortiori la vita, anche di un malato, vale qualcosa mentre la non vita non vale nulla. E questo, badiamo, non è un gioco dialettico ma il riconoscimento della più alta verità: a prescindere dalle possibilità sempre maggiori di guarire (… su cui ci si impegnerà sempre meno, visto che vi è un rimedio - terribile, nda - che consente di risolvere il problema con minor sforzo) per chi non confonde il male col morbo e col dolore, proprio la vita d’un malato può raggiungere le vette più alte: se Leopardi fosse stato un atleta, mancherebbe, assai probabilmente, al mondo una delle sue bellezze più pure”.
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