Lo psicoanalista Jacques Arènes: «il cristianesimo è realista e
liberante», 5 novembre, 2011, http://www.uccronline.it
Ogni tanto capita di leggere i
pensieri di qualche sedicente “libero pensatore” nel quale si accusa il
cristianesimo e la Chiesa di aver “buttato” addosso all’uomo innocente il peso
di una colpa ancestrale derivante dall’errore commesso da Adamo ed Eva”.
Bisogna sottolineare che in realtà il peccato originale è la più valida
spiegazione per la debolezza umana per cui “anche volendo fare il bene si
sceglie il male”. Proprio questo insegna la Chiesa, ovvero una fragilità
intrinseca della natura umana che porta l’uomo all’inclinazione verso il male.
E’ una visione assolutamente realista.
Lo conferma anche il noto
psicoanalista e psicoterapeuta francese Jacques Arènes: «Nel mondo cristiano,
fin dall’inizio, si credeva al peccato originale. Si condivideva più o meno
questa “colpa”. Era impossibile esserne esenti, anche se si era comunque
assolti. Trovo questo profondamente liberante. Il senso di colpa, quando non
scade in un aspetto morboso, è libertà. Il fatto di avere un rapporto personale
e soggettivo con la colpa, davanti all’altro – il prossimo e/o Dio – è molto
importante per la libertà di ciascuno. Ma oggi siamo in una società che si
vuole de-colpevolizzata. Invece di cercare “colpe” personali, si rinvia a
“colpe” collettive identificando dei gruppi di “cattivi”». Per Arènes, ciò che
è sbagliato è l’idea che «ci si possa premunire contro la “colpa”, essere dalla
parte dei puri, di coloro che sono in buoni rapporti con gli altri, è molto
“imprigionante”. Molte persone pensano ad esempio che si possa evitare di
commettere errori se appena si è un po’ informati. Così, sono sprovvedute di
fronte alla violenza, a volte alla loro violenza, e di fronte ai conflitti in
generali. Ora, bisogna avere il realismo della fallibilità. C’è una opacità
della vita umana che fa sì che non si possa sempre evitare di commettere
errori».
Questo realismo è ben presente
nel cristianesimo: «la vita non è quello che si percepisce immediatamente. C’è
anche un realismo sulla sofferenza, sui limiti della vita, sulla fragilità e
sulla vulnerabilità, anche sulla colpa. Certo, vogliamo essere persone “buone”,
ma non ci riusciamo sempre. È la vita. Le religioni sono particolarmente
realiste in rapporto alle questioni ampiamente rimosse oggi, come la fine della
vita e il lutto. Tutti affronteremo questo problema. Ma la nostra società non
propone che soluzioni dell’ordine della potenza. In quanto l’idea è di
invecchiare restando giovani, o di scegliere una “buona morte”. È un tranello.
Il cristianesimo ci insegna anche che si può scegliere una maggiore libertà
interiore…, anche a costo di una certa sofferenza. Penso che non si debba
eliminare completamente l’idea che nelle nostre vite ci siano mancanze. La vita
cristiana postula che si possa attraversare la sofferenza con una forza che
accompagna la persona».
La psicanalisi convive benissimo
con la religione, come affermava similmente qualche mese fa il neuroscienziato
Matthew S. Stanford, «non ho visto ostilità nel mondo universitario. Vent’anni
fa, ci sarebbe stata un’accoglienza più fredda», continua lo psicoanalista. «È
vero che il concetto di guarigione in psicanalisi è abbastanza vicino a quello
del giudeo-cristianesimo. Ma la psicanalisi e la religione sono in parte
irreconciliabili, soprattutto in Europa, dominata dalla psicanalisi freudiana.
Per Freud, nato in un secolo positivista, l’inconscio è puramente laico. Per
molto tempo, gli psicanalisti tendevano a dire: dell’interiorità dell’essere
umano, tocca a noi occuparci, è il nostro territorio ed è puramente laico.
L’essere umano diventa così in fondo padrone e possessore di se stesso. Ma
subito si scontra con ciò che è sconosciuto dentro se stesso. Del resto, è per
questo motivo che le persone vanno dagli psicologi/psicanalisti. Oggi, gli
psicanalisti diffidano meno delle religioni. Il vero pericolo per gli
psicanalisti non sono più le religioni, ma tutte le concezioni di pensiero
puramente materialiste. Come certe derive naturaliste delle neuroscienze, che
ci spiegano che lo spirito umano è un po’ come un hardware, come un “cablaggio”
neuronico e che noi saremmo tutti determinati dai nostri neurotrasmettitori».
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