martedì 15 novembre 2011


Una grande battaglia culturale contro l'aborto di Riccardo Cascioli 15-11-2011, http://www.labussolaquotidiana.it

“Militanti nel cuore, accoglienti nei fatti”. Così Paola Bonzi, fondatrice e presidente del Centro di Aiuto alla Vita della Clinica Mangiagalli a Milano, descrive nell’intervista che pubblichiamo in primo piano, il punto di partenza di una battaglia culturale contro l’aborto o, meglio, per la vita. E’ una battaglia che La Bussola Quotidiana combatte dalla sua nascita, giusto un anno fa.

Ma in occasione del primo compleanno del nostro quotidiano online vogliamo fare un passo ulteriore, rendere questa battaglia più evidente, più decisa. Sabato 3 dicembre festeggeremo il primo anno di vita di BQ con un convegno a Milano, secondo il programma che pubblicheremo nei prossimi giorni (gli utenti registrati alla newsletter lo hanno già ricevuto), ma alle 16 ci sarà il momento dedicato proprio a lanciare questa battaglia culturale contro l’aborto. Con noi ci saranno il direttore del Foglio Giuliano Ferrara, dalla cui provocazione sul ruolo dei cattolici è anche nata l’idea di questo appuntamento; Paola Bonzi, con la sua splendida testimonianza in prima linea, il direttore del settimanale Tempi Luigi Amicone. Poi sul nostro sito dedicheremo una sezione apposita a questa battaglia, dove raccoglieremo gli articoli più importanti pubblicati su questo tema.

Perché insistiamo sulla battaglia culturale? Perché ci troviamo di fronte alla più grande tragedia del nostro tempo: non solo ogni anno nel mondo vengono sacrificati 50 milioni di bambini (soprattutto femmine) nell’indifferenza generale, ma c’è anche un potentissimo movimento che vuole far passare questa strage come un diritto umano delle donne, e a tale scopo cerca di strappare riconoscimenti nelle sedi internazionali, come l’Onu o l’Unione Europea. In Italia, come nelle sedi europee, per poter garantire maggiori possibilità di abortire, si sta anche cercando di limitare il diritto dei sanitari all’obiezione di coscienza, un caposaldo della civiltà occidentale, mentre con la diffusione della pillola abortiva RU 486 (e ora anche la pillola dei 5 giorni dopo) l’eliminazione dei figli viene addirittura banalizzata e fatta scomparire anche dalle statistiche.

Di fronte a questi dati spaventosi, a questo progressivo imbarbarimento, nelle nostre società c’è il silenzio, si tende ormai a dare quasi per scontata questa realtà, come fosse normale. Eppure con sempre maggiore evidenza le ricerche ci dimostrano che alle vittime nel grembo vanno aggiunti il dolore e la sofferenza delle madri, nella cui coscienza il peso di quel gesto disgraziato rimarrà per tutta la vita. Come dice Giovanni Paolo II nell'enciclica Evangelium Vitae, “oggi, nella coscienza di molti, la percezione della sua gravità è andata progressivamente oscurandosi. L'accettazione dell'aborto nella mentalità, nel costume e nella stessa legge è segno eloquente di una pericolosissima crisi del senso morale, che diventa sempre più incapace di distinguere tra il bene e il male, persino quando è in gioco il diritto fondamentale alla vita”.

C’è bisogno di risvegliare le coscienze, anche all’interno della Chiesa cattolica, dove è molto più facile trovare una mobilitazione contro il nucleare e contro la gestione privata degli acquedotti che non a favore della vita. L’indifferenza, l’assuefazione è penetrata anche qui. E’ vero, come ci dimostra Paola Bonzi, c’è anche un piccolo esercito di volontari che senza clamore lavora quotidianamente per rendere possibile l’accoglienza di nuove vite e strappa alla morte migliaia di bambini ogni anno. Ma spesso conducono questa battaglia da soli, a volte mal sopportati anche dal resto della comunità.

Noi vogliamo raccontare le loro storie, far conoscere quell’abisso di disumanità in cui matura la decisione dell’aborto, ma anche quella scintilla che fa risvegliare la coscienza e ridonare la vita. Ma non solo: come diceva ancora Giovanni Paolo II nella Evangelium Vitae, è importante ritrovare il coraggio di chiamare le cose con il loro nome, descrivere la realtà per quello che è, perché è proprio con “la diffusione di una terminologia ambigua  come quella di ‘interruzione della gravidanza’, che si tende a nascondere la vera natura dell’aborto e ad attenuarne la gravità nell’opinione pubblica”.

E allora bisogna guardare in faccia la realtà: “L'aborto procurato è l'uccisione deliberata e diretta, comunque venga attuata, di un essere umano nella fase iniziale della sua esistenza, compresa tra il concepimento e la nascita.(…) Chi viene soppresso è un essere umano che si affaccia alla vita, ossia quanto di più innocente in assoluto si possa immaginare: mai potrebbe essere considerato un aggressore, meno che mai un ingiusto aggressore! È debole, inerme, al punto di essere privo anche di quella minima forma di difesa che è costituita dalla forza implorante dei gemiti e del pianto del neonato. È totalmente affidato alla protezione e alle cure di colei che lo porta in grembo”.

Un “delitto abominevole”, lo ha definito il Concilio Vaticano II; un delitto che non riguarda solo le vicende personali. Dice ancora Giovanni Paolo II: “E' una ferita gravissima inferta alla società e alla sua cultura da quanti dovrebbero esserne i costruttori e i difensori. (…) Ci troviamo di fronte ad un'enorme minaccia contro la vita, non solo di singoli individui, ma anche dell'intera civiltà».

E’ la stessa consapevolezza che aveva la Beata Teresa di Calcutta che, nel ricevere il Premio Nobel per la Pace nel 1979, disse chiaramente che l’aborto “è oggigiorno il più grande distruttore di pace perché è una guerra diretta, una diretta uccisione, un diretto omicidio per mano della madre stessa. [...]  Perché se una madre può uccidere il suo proprio figlio, non c'è più niente che impedisce a me di uccidere te, e a te di uccidere me”.

Non si può pensare di rendere la società più umana, più giusta, più pacifica, se non si comincia da qui. Per questo una battaglia culturale è importante, per questo vogliamo fare di tutto perché questa vergogna dell’aborto finisca.

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