giovedì 30 maggio 2013

Che medicina è se il malato è «potenziale»? di Vittorio A. Sironi, Avvenire, 30 maggio 2013


Dopo il caso Jolie: la conoscenza del proprio destino genetico può essere destabilizzante nella vita di persone con predisposizione genetica a malattie gravi

La scelta di Angelina Jolie di farsi asportare entrambi i seni perché portatrice di una variante del gene Brca-1 che aumenta di molto (oltre l'80%) il rischio di sviluppare un cancro mammario aggressivo e spesso fatale ha fatto scalpore e ha creato sconcerto. Così come la decisione di un manager inglese cinquantenne di sottoporsi alla rimozione della prostata per la stessa ragione, poiché anch'egli aveva un gene che avrebbe favorito lo sviluppo di una lesione tumorale di quell'organo. La possibilità che si verifichi un boom di interventi di chirurgia preventiva, spesso non giustificati, anche per un "effetto imitazione" inevitabile quando sono di mezzo le celebrità, è alta. Il dibattito è aperto. Oggi la possibilità di conoscere il proprio destino medico mediante l'analisi del patrimonio genetico, ha portato alla nascita alla medicina predittiva, in grado di identificare il rischio di malattia e di cercare di prevenirla o di porvi rimedio quando si è ancora in tempo per cambiarne la naturale storia clinica. È un aiuto per la salute o un ostacolo per una tranquilla e serena esistenza? Il rischio è quello di medicalizzare la vita, facendo sentire ammalato chi è sano.

Ogni individuo non si esaurisce nel proprio corpo: egli è anche e soprattutto una persona. Ed è questa l'oggetto (il soggetto in realtà) vero della medicina. Proprio qui si situa il ruolo fondamentale del medico, che deve essere attento, sensibile e disponibile, insieme affidabile e affabile. Deve valutare, insieme al suo paziente, quale può essere la scelta migliore, considerando la molteplicità degli aspetti esistenziali (di cui la componente genetica è solo una parte) di quella persona nella sua totalità, fornendo tutte le informazioni adeguate per metterlo nelle condizioni di compiere consapevolmente la scelta migliore e più appropriata: che può essere, nel caso dei tumori, l'asportazione radicale preventiva dell'organo bersaglio in alcuni casi ben selezionati, ma anche in molti altri quella di uno stretto monitoraggio clinico per intervenire con l'adeguata terapia solo in caso di comparsa della malattia. In tal modo la medicina predittiva potrà rappresentare un vero elemento di progresso sanitario senza diventare un fattore di turbamento psichico e di devastazione fisica.

Per lungo tempo la medicina ha avuto una funzione soprattutto "palliativa" nei confronti del malato, per il quale aveva scarse risorse curative da offrire. Con la nascita della medicina scientifica grandi progressi diagnostici e terapeutici hanno consentito non solo di conoscere meglio la malattia ma anche di curarla in modo più efficace, cercando anzi di intervenire nella sue fasi precoci (medicina preventiva secondaria), quando il malato non è ancora consapevole della sua patologia. Il passaggio ulteriore è ancora più ambizioso: individuare il "malato potenziale", tale perché è esposto a fattori di rischio patogeni: ha stili di vita sbagliati, vive in un ambiente insano, possiede un patrimonio genetico con particolari modificazioni. Intervenire su questi fattori per eliminarli può ridurre o azzerare il pericolo di ammalarsi (medicina preventiva primaria).

Oggi questo eccesso di conoscenze rischia però di creare più dubbi che certezze. In medicina non si usa il linguaggio della certezza, ma quello della probabilità. Anche la medicina predittiva, in presenza di particolari geni che predispongono al cancro o all'insorgenza di gravi malattie neurodegenerative e metaboliche, esprime semplicemente l'alta possibilità che tali condizioni patologiche si sviluppino in quell'individuo, non che la malattia si manifesterà certamente. Qual è allora il confine tra vera prevenzione e ossessione della malattia?

La conoscenza del proprio destino genetico può essere un elemento destabilizzante, e i soggetti ad alto rischio genetico per tumore che scelgono la chirurgia preventiva compiono un gesto di mutilazione volontaria per evitare la probabilità che insorga una patologia potenzialmente anche letale. Si tratta di una decisione autonoma del paziente, giustamente rivendicata, ma che deve essere verificata e valutata all'interno di un corretto e leale rapporto tra il curato e il curante.

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