mercoledì 22 maggio 2013


Infanticidio, chi lo fa e chi lo teorizza di Renzo Puccetti - 22-05-2013 - http://www.lanuovabq.it/

Infanticidio non è più un tabù

    
Midolli spinali recisi, crani fracassati, cervelli aspirati, a centinaia, era la procedura con cui il dottor Kermit Gosnell (di cui la Nuova BQ ha già parlato) praticava gli aborti tardivi nella sua clinica. I bambini venivano messi dove capitava, nei sacchi della spazzatura, nelle scatole da scarpe, uno è stato ritrovato dall’FBI congelato in un bottiglione per l’acqua. Talora le donne abortivano nel water ed i bambini venivano lasciati morire affogati. Aborti effettuati ben oltre il termine legale delle 24 settimane, i bambini abortiti che erano ancora vivi erano lasciati morire e, quando serviva, il dottor Gosnell li assassinava direttamente; il bravo dottor Gosnell, l’amico delle donne. Era furbo il dottore, cancellava i registri, ma per tre di questi bambini l’accusa è riuscita ad incastrarlo per omicidio volontario. Si è beccato l’ergastolo, è scampato alla pena di morte perché i suoi legali hanno rinunciato a presentare appello. Come si dice dalle nostre parti, la verità giudiziaria ha stabilito la sua colpa. 

“La clinica degli orrori del dottor Gosnell” è il titolo del resoconto del Corriere della Sera; si parla di “metodi agghiaccianti”. Tutti a condannare Gosnell, nemmeno una voce a difenderlo e questo è strano, molto strano. Perché a ben vedere il medico di Philadelphia non ha fatto altro che mettere in pratica le teorie che occhialuti professori seduti su prestigiose cattedre universitarie indicano da anni come la condotta del buon medico. Il dottor Gosnell effettuava aborti oltre le 24 settimane di gestazione. Ma non si è detto fino allo sfinimento che l’aborto tardivo deve essere consentito? Il premio Nobel per la pace Barak Hussein Obama, attuale presidente degli Stati Uniti, non è forse vero che si oppose da senatore alla legge di Gorge Bush che proibiva l’aborto a nascita parziale? 

Il dottor Gosnell non rianimava i feti dopo l'aborto tardivo. Ma tante linee guida neonatologiche ancora oggi insegnano a non rianimare i feti nati pretermine a 22-23 settimane. Non è forse vero che anche in Italia si è tentato (provvidenzialmente senza riuscirci) di privare il neonato fortemente pretermine del diritto sacrosanto ad avere una chance di vita? Il dottor Gosnell uccideva i neonati che sopravvivevano all’aborto. Non è il professor Mori, docente di bioetica a Torino e presidente della Consulta di Bioetica onlus, ad avere difeso la dignità scientifica della tesi di Giubilini e Minerva sull’infanticidio, ribattezzato “aborto post-nascita”? Suvvia signori, un po’ di coerenza! Perché siete improvvisamente diventati muti vedendo l’applicazione delle teorie abortiste? Non si può gettare il sasso e poi nascondere la mano. 

Il dottor Gosnell sarà criticabile per i metodi rudi, per la mancanza di asepsi, per le anestesie dozzinali, ma si abbia il fegato di riconoscere in lui un attento allievo della bioetica libertaria. Se il buon medico non obietta, allora almeno in quello il dottor Gosnell doveva essere un buon medico. Peter Singer, il famoso bioeticista dell’Università di Princeton, ha scritto infatti che “Né un neonato né un pesce sono persone, uccidere questi esseri non è moralmente così negativo come uccidere una persona”. Gli sono compagni nell’ammettere l’infanticidio le filosofe Helga Kuhse e Nicole Hassoun, il bioeticista Hugo Tristam Enghelardt Junior, professore alla Rice University di Houston e molti altri. Il professor Richard Dawkins, icona dell’ateologia militante, ha dichiarato su twitter che “ogni feto è meno umano di un maiale adulto”. 

Tra gli zelanti esecutori di tali teorie pare non vi fosse solo il dottor Gosnell. Spunta infatti un’intervista realizzata dall’organizzazione “Life Dynamics” a tre assistenti di una clinica per aborti di Houston diretta dal dottor Douglas Karpen in cui si racconta che ad ogni seduta di aborti tre o quattro bambini nascevano vivi e venivano uccisi dal medico, a volte torceva loro il collo con le proprie mani, altre volte li soffocava chiudendo con il dito la trachea. Le autorità hanno avviato le indagini anche per questo caso. Cose dell’altro mondo? Cose da americani? Cose che da noi non possono succedere? Sembrerebbe di no.  

Anche l’Italia ha avuto la sua clinica degli orrori. La Corte di Cassazione, VI sezione penale, con la sentenza numero 6141 del 17 febbraio 2007 ha confermato la condanna dei ginecologi Ilio e Marcello Spallone a 18 anni e 4 mesi di reclusione per omicidio volontario nell’ambito degli aborti clandestini eseguiti a Villa Gina. Anche lì il processo racconta che non si andava per il sottile, forse perché, abituati ad ammazzare i bambini nel ventre della madre diventa più facile ammazzarli anche fuori. Come riporta un quotidiano, un dipendente della clinica raccontò al magistrato: “Quando Ilio Spallone alzò la bacinella che aveva davanti vidi un feto formato, con braccia e gambe di circa 25 centimetri. Vidi Spallone girarsi e andare verso il lavandino tritatutto, ebbi un mezzo svenimento e fui invitato ad uscire”. 

Qualcuno è pronto a mettere la mano sul fuoco per escludere che altri casi simili esistano? Se la macelleria umana suscita orrore, non meno ribrezzo una società appena decente deve avere per le teorie poste a giustificazione dell’orrore. È l’idea che si possa sopprimere un essere umano del tutto innocente e indifeso ad essere orrenda e l’averla legalizzata non la rende meno schifosa. E lo schifo non viene meno neppure se lo si copre della rispettabilità scientifica. 

Il Journal of Medical Ethics ha dedicato un intero numero monografico a discutere la bontà o meno dell’infanticidio. L’editor della rivista, il professor Savulescu, benché non concorde con gli autori sul contenuto, ha giustificato la scelta di pubblicare l’articolo sull’aborto post-nascita dicendo che la rivista non scarta i lavori per il solo fatto che le conclusioni sono controverse, ma pubblica sulla base della qualità dell’argomentazione che deve poggiare su premesse non erronee ed essere priva di lacune logiche. Bene, proponiamo un paio di argomentazioni che, stante il livello, ad occhio e croce dovrebbero essere degne della rivista diretta dal professor Savulescu. La prima è questa: poiché un rispettabilissimo docente dell’Università San Raffaele ritiene che il confine tra essere umano e persona possa essere stabilito “per convenzione”, allora può essere che sia moralmente legittimata la strage in Rwanda purché ciascuna delle due etnie abbia stabilito “convenzionalmente” che l’altra è composta di non-persone. 

E questa è la seconda: poiché è tesi consolidata che non si sia persone in mancanza di auto-coscienza, allora se io nel sonno russassi, come “non-persona” potrei lecitamente essere fatto fuori dalla “persona” di mia moglie che avrebbe diritto a tutelare la propria salute. Di queste cavolate ne posso produrre una bella sfilza, metterle in un perfetto inglese e sottoporle al professor Savalescu da cui mi aspetterei fedeltà ai criteri enunciati per accettare le pubblicazioni. Forse il mio rating accademico come bioeticista crescerebbe a dismisura, ma ho l’impressione che il valore oggettivo del mio pensiero bioetico si ridurrebbe a quello di paramecio. Ma tant’è, viviamo nel tempo predetto da Chesterton, dove si deve sguainare le spade per dimostrare che le foglie sono verdi in estate ed accendere fuochi per difendere che due più due fa quattro. Ed allora è contro il putridume abortista che ogni anno, anche in Italia, uomini, donne, vecchi e bambini hanno cominciato a marciare, dando voce a quegli innocenti silenziati e annichiliti a cui persino il lamento e la protesta gli abortisti vogliono impedire.

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