La gen(d)eratione di Sylviane Agacinski - Quale (s)ragione naturale unisce le nozze gay e l’idea di scartare l’altro sesso dalla procreazione e dalla filiazione dei bambini? - Il Foglio - MERCOLEDÌ 15 MAGGIO 2013
Un tempo si cominciava un
discorso pubblico rivolgendosi all’uditorio con la formula: “Signore e
Signori”. Oggi questo rischia di diventare problematico, in un contesto in cui
svariati ragionamenti mettono in crisi non solo la gerarchia dei sessi, ma la
differenza sessuale stessa, al punto che la distinzione uomo/donna sembra non essere
più pertinente. E’ proprio dell’attualità del discorso sulla differenza
sessuale che mi occuperò qui, chiedendomi perché siamo obbligati oggi a parlare
di tale differenza e richiamando correnti di pensiero e movimenti che mirano a
sostituire la dualità dei sessi con la diversità delle sessualità, e a
istituire forme di procreazione o di parentela senza riferimento alla
dissimmetria sessuale. (…) La differenza
sessuale è oggi rimessa in discussione e sottoposta a un tentativo di
neutralizzazione. Talvolta viene ridiscussa in nome di un umanesimo astratto, preoccupato
del genere umano tout court. Ma la differenza sessuale è relativa. In un senso
preciso, essa divide la specie umana, come la maggior parte delle altre specie,
ma non la nostra comune umanità (humanity, Menschheit). In modo più grave, la stessa
realtà della differenza uomo/donna è contestata e considerata da alcuni una
“costruzione sociale” di ordine culturale e artificiale, di cui sarebbe
preferibile fare a meno. La maggior parte degli approcci femministi al genere,
precisiamolo, non nega la realtà dei due sessi. Ciò che viene contestato è la
disuguaglianza sociale dei sessi e i sistemi di pensiero che valorizzano il
maschile e umiliano il femminile. Invece, altri approcci più recenti al genere,
come la queer theory, della quale l’americana Judith Butler è la principale
rappresentante, rimandano la differenza uomo/donna all’ordine di fatti “mal
stabiliti”, sospettando anche che “i fatti del sesso pretesi naturali” sarebbero
“prodotti attraverso discorsi scientifici che servono altri interessi, politici
e sociali”. La differenza sessuale apparterrebbe così a un’ideologia
politicamente sospetta! Un tale approccio, paradossale e poco noto al grande
pubblico, incontra, anzi ispira, una corrente di pensiero radicalmente
“costruttivista” e “ultraculturalista” che tende a imporre l’idea che l’essere umano
sia integralmente il prodotto della propria costruzione (sociale, culturale e tecnica).
Senza ricostruire qui la storia di tale corrente, diciamo almeno che essa
sottrae le società umane a qualunque condizione naturale e ignora il fatto,
ricordato da Claude Lévi-Strauss, che “l’uomo è innanzitutto un essere
vivente”. (…) In nome di cosa, e con
quali argomenti? L’idea direttiva è promuovere un’altra differenza, la
“diversità delle sessualità”, come la sola pertinente. Lungi dall’essere
universale, la differenza sessuale sarebbe allora effetto di una cultura
dominata dalla “norma eterosessuale” e dovrebbe essere cancellata a favore
della diversità delle sessualità. Possiamo certo ammettere che la norma
eterosessuale tradizionale pesi su chi non può riconoscersi in essa e che sia
quindi necessario interrogarla per rompere il vecchio tabù che pesa
sull’omosessualità e per rispettare gli orientamenti sessuali di ognuno. Ma la
diversità degli orientamenti sessuali non sopprime la dualità dei sessi: la
conferma, anzi. In effetti, possiamo parlare di orientamenti – eterosessuali,
omosessuali o bisessuali – solo se supponiamo fin dall’inizio che esistano
almeno due sessi. Che si desideri l’altro sesso, o che al contrario non lo si
possa desiderare, significa che i due sessi non sono equivalenti. L’assenza di
equivalenza è confermata anche dalla sofferenza di coloro, maschi o femmine,
che esprimono un imperativo bisogno di cambiare sesso. La queer theory sostiene
però che la differenza sessuale non sia data, che sia in fin dei conti sfumata,
forzata e instabile e che i corpi sessuati siano di fatto il prodotto di un
“modellamento disciplinare” socialmente imposto. Gli umani, sessualmente
indeterminati o fluidi, sarebbero costretti a piegarsi a norme sociali di
genere e a svolgere un ruolo sessuato. Avrebbero così, a posteriori,
l’illusione di essere sessuati. Judith Butler può quindi scrivere che “il
‘sesso’ è una costruzione culturale alla stessa stregua del genere”. Questa
riduzione dei sessi ai generi sembra svelare un approccio superficiale ai
sessi: superficiale nel senso che resta alla superficie del fenomeno. Se è
vero, infatti, che i generi maschili e femminili, cioè gli attributi sociali e
culturali dei di Sylviane Agacinski sessi, sono davvero socialmente istituiti –
si tratti di attributi estetici, morali, intellettuali, o anche dei ruoli e
degli statuti distribuiti a uomini e donne – tali attribuzioni non aboliscono
la sessuazione, che è di un altro ordine. Di che ordine si tratta e a che registro
appartiene?
Il ruolo della generazione
La distinzione di sesso è implicata nelle relazioni
sociali, ma non proviene da esse. L’antropologa Françoise Héritier sottolinea giustamente
che è la fecondità a fondare la distinzione maschile/ femminile. Dirò, nello
stesso senso e in modo appena diverso, che la distinzione maschio/ femmina si
basa sullo schema della generazione. Essa dipende da una differenza funzionale,
messa in gioco nella generazione, e non da un confronto tra gli aspetti o le
forme anatomiche degli individui. Ciò che è dato è l’esperienza di una
relazione generatrice tra due categorie d’individui non equivalenti e non intercambiabili.
E’ solo a partire da questa relazione che si possono descrivere certi tratti
che caratterizzano sessualmente gli individui (organi interni o esterni, morfologia,
caratteri sessuali secondari…). Così, come ha mostrato Gaston Bachelard, è
l’ipotesi di una fecondità a suggerire una differenza sessuale. Là dove non ve
ne è, non vi è differenza sessuale. Tutto ciò non ha niente di nuovo. Già
Platone scrive nella “Repubblica” che la differenza sessuale è relativa alla
generazione e Aristotele, nei suoi scritti sui viventi, dice che il maschio genera
al di fuori di lui, mentre la femmina genera in se stessa. Non richiamo questi
discorsi come argomenti di autorità, ma per dire che restano veri. Nella
maggior parte degli individui viventi, i sessi designano poteri di generare non
simmetrici, non equivalenti, e quindi non intercambiabili. Se osserviamo la
logica del vivente, con François Jacob, scorgiamo due tipi di ruoli sessuali,
maschio e femmina, e due soli. Per contestare tale osservazione, alcuni accentuano
all’estremo la componente biologica. Considerando la complessità del processo
della sessuazione dell’embrione e i casi eccezionali di individui intersessuati
(dall’identità sessuale biologicamente ambigua), si sostiene che esista una
continuità biologica tra gli individui “più o meno maschi” e quelli “più o meno
femmine”. Ma tale approccio quantitativo alla sessuazione deriva da una
biologia riduzionista che trascura l’individuo nella sua totalità. Non è
infatti dalla scala delle cellule o dei dosaggi ormonali, anche se sono
importanti, che si può cogliere il ruolo dell’individualità sessuata nella
generazione. Di conseguenza, l’altra differenza, cioè la differenza di
sessualità, nel senso di orientamento sessuale, non neutralizza la differenza sessuale,
dato che non modifica lo schema della generazione. Il desiderio e l’amore
omosessuali oggi sono riconosciuti, ma la procreazione implica sempre il
concorso dell’altro sesso. Le cose sono cambiate grazie alle tecniche di
procreazione assistita? Non realmente, dato che anche in laboratorio la
partecipazione dei due sessi è necessaria. Solamente, può essere rimpiazzata
dall’uso di materiali e di corpi anonimi. E’ per questo motivo che il ruolo
della differenza sessuale si trasforma nell’immaginario e apre la via al
desiderio di istituire come coppia di genitori due persone dello stesso sesso
grazie alle biotecnologie, ma anche all’adozione congiunta di un bambino da
parte di due persone dello stesso sesso. Si osserva, in effetti, che i legami
sociali non sono legami naturali, bensì convenzionalmente istituiti, come
l’unione coniugale e i legami di parentela: perché allora le istituzioni non
potrebbero considerare i due sessi equivalenti? Un primo elemento di risposta è
dato dall’osservazione dell’istituzione della parentela, che non ci porta a
opporre in generale l’ordine naturale e l’ordine istituzionale. Lo stabilirsi
dei legami di filiazione mostra piuttosto che esistono diversi modi di
costruire legami sociali a partire dai legami biologici. Non si tratta né di
determinismo biologico né di ignoranza dei legami biologici. Un essere umano si
colloca socialmente in un ordine simbolico che lo connette ai suoi genitori. Si
sottolinea spesso il fatto che quest’ordine non coincide necessariamente con i
suoi ascendenti naturali o genitori biologici, perché è istituito (in francese
il termine abituale per indicare i genitori è parents, mentre géniteurs indica
coloro che generano, e infatti viene utilizzato in ambito animale per indicare
i maschi da riproduzione. Si è quindi tradotto géniteur con “genitore
biologico”; parenté, tradotto con “parentela”, indica in modo primario la
funzione genitoriale, NdT). Ma la parentela stabilita trova di fatto un
sostegno nella generazione naturale, poiché conserva almeno l’ordine di
successione delle generazioni, la struttura bilaterale e non simmetrica della
generazione e la differenza di età tra i genitori e i loro figli, maschi e
femmine. Ogni volta che un bambino è riallacciato socialmente a due lignaggi
(maschile e femminile), la parentela è tributaria, almeno nella sua struttura,
della rappresentazione che una società si fa della generazione. Gli antropologi
sottolineano il posto centrale attribuito da tutte le culture ai genitori
sociali, e quindi alla parentela istituita, e mostrano che i “genitori
biologici” non sono sempre i “genitori”. Ma ciò non significa che la parentela
naturale sia messa da parte, come dimostra la proibizione dell’incesto, che si
applica alle relazioni tra genitori e figli naturali, come a quella tra
genitori e figli legittimi. La parentela naturale sussiste come relazione
personale, quando è nota, e come struttura. Claude LéviStrauss ha dichiarato,
in una conferenza pronunciata a Tokyo nel 1986, che “i legami biologici
forniscono il modello sul quale sono costruiti i legami di parentela”. Ora, secondo
tale modello biologico, i genitori biologici non sono equivalenti. Le posizioni
del genitore e della genitrice biologici, sottolineano altri antropologi, sono
universalmente distinte in tutte le terminologie di parentela. L’assenza di
simmetria e di equivalenza fra i genitori biologici si traduce socialmente in
una costruzione anch’essa dissimmetrica della parentela. Ad esempio, nel
diritto romano vengono distinte una parentela attraverso le donne, che è sempre
naturale (cognatio), e una parentela attraverso gli uomini (agnatio), sempre costruita
giuridicamente. La paternità legittima è istituita civilmente dal matrimonio
(il matrimonium, destinato a rendere una donna madre – mater), o dall’adozione (che
è aperta solo agli uomini e non comporta nessun legame tra l’adottato e la
sposa dell’adottante). La dissimmetria risultava dal fatto che la maternità era
detta certa, rivelata dal parto, mentre la paternità era sempre incerta (pater
semper incertus est). Nondimeno, istituito dal legame e dalla fedeltà della
sposa, il matrimonio era fatto per garantire che il padre fosse davvero il
genitore (e da ciò le eccezioni e i disconoscimenti possibili, se la coppia
sposata era separata di fatto all’epoca del concepimento). In altre parole, la
legittimità della filiazione paterna si basava su (e supponeva) la
verosimiglianza di legami biologici – e questo è ancor più vero oggi con la
moderna possibilità della ricerca di paternità grazie ai test del Dna – che
sono legami non equivalenti: presunti per il padre, certi per la madre. Quando
si dice, come fosse un fatto evidente, che la parentela civile ha la priorità sulla
parentela naturale, si dimentica che tale primato significava anche quello
della paternità istituita sulla maternità naturale. In ogni caso, la parentela
civile e legittima non è una costruzione arbitraria, indifferente alla
filiazione naturale e alla dissimmetria sessuale. Altri antropologi,
d’altronde, mettono in risalto, contro il privilegio assoluto della filiazione
sociale, il fatto che il matrimonio non basta sempre a stabilire la paternità e
che un genitore biologico, diverso dal marito, può far valere i suoi diritti. E
questo accade ancora oggi nelle nostre società. Così, lo stabilirsi dei legami
di parentela civile, o sociale, non ignora i legami naturali di un figlio con i
suoi genitori biologici e permette di dire che le relazioni tra la coppia
genitore-genitrice e la prole costituiscono in definitiva l’elemento
fondamentale del legame di filiazione. L’istituzione della parentela non ha
quindi luogo in una sfera giuridica indipendente ed estranea a quella dei
legami naturali tra ascendenti e discendenti. Essa è piuttosto un modo di tessere e comporre,
in maniere diverse, i legami sociali a partire dalle realtà delle relazioni naturali
e i legami biologici oggi prodotti dalle tecnologie. Se la parentela non si
basa semplicemente sulla natura o sulla biologia, dobbiamo comunque
denaturalizzare la parentela e farne una pura costruzione del diritto secondo
un’opzione integralmente costruttivista? La seconda opzione è propria di
giuristi, come Marcela Iacub, che si rallegra di vedere in un futuro prossimo
la parentela (ribattezzata “parentalità”) sganciarsi del tutto dalla
procreazione naturale fino al punto di emanciparsi dalla dissimmetria dei
sessi, soprattutto se si può sperare la realizzazione prossima dell’utero
artificiale. Questo sganciamento sembra possibile, addirittura auspicabile, perché
si potrà finalmente “fare a meno del corpo per procreare”. Siamo però ancora
lontani dal fare a meno del corpo per procreare. L’uso delle tecnologie per la procreazione
dimostra esattamente il contrario: è infatti per essere almeno parzialmente i
genitori biologici dei propri figli che alcuni vi fanno ricorso. Vogliono
contribuire personalmente al concepimento, ora con i propri gameti, ora, per le
donne, facendo almeno la madre surrogata del figlio concepito con l’aiuto di
altre persone. Ciò che ha scombussolato la situazione è, in effetti, proprio la
possibilità di generare senza relazioni sessuali, grazie alle biotecnologie. E’
quindi di questa nuova situazione che adesso ci dobbiamo occupare, poiché essa
è fonte di una possibile neutralizzazione della differenza sessuale.
Sessualità e tecnologie della riproduzione
Le tecniche di procreazione assistita, o artificiale,
sono oggi ben note, a partire dall’inseminazione artifi ciale praticata da tempo
dagli allevatori, e poi dai medici fino alla tappa decisiva della fecondazione in
vitro o Fiv. Inizialmente, si utilizzavano per la fecondazione le cellule di
una coppia di genitori che soffriva di infertilità. Ma in seguito si sono
utilizzate cellule sessuali provenienti da donatori esterni alle coppie, per
formare un embrione e impiantarlo nel corpo della madre. Questa parziale esternalizzazione
ha comportato importanti conseguenze. La prima è la spersonalizzazione della
procreazione. Infatti, una parte dei genitori biologici si è trasformata in
donatori impersonali di gameti, e a volte la madre si è trasformata in “madre surrogata”
o “gestante autorizzata”. L’altro sesso, necessario alla generazione, in tal caso
non è più una persona ma un complemento di materiali biologici, offerto all’uso
dei “genitori biologici intenzionali”, come si dice in California.
La procreazione segreta
La seconda conseguenza è
l’organizzazione di una procreazione segreta, opaca, o semi-opaca, a causa
dell’anonimato dei donatori. A questo punto, viene spezzato ogni legame, nei
due sensi, tra ascendenti e discendenti. Perché l’anonimato? Perché si procede
per il dono di gameti come per un dono di sangue. Si applica, giudiziosamente,
il principio di gratuità dei doni e, in modo non ponderato, quello
dell’anonimato. In effetti, i genitori richiedenti preferiscono spesso
nascondere ai loro congiunti, e anche al loro figlio, il ruolo di un terzo
nella sua nascita. La cancellazione del donatore o della donatrice di gameti permette
loro di simulare una naturale fecondazione coniugale. I donatori stessi preferiscono
generalmente restare anonimi per non rischiare che un giorno venga loro
richiesto di assumere un ruolo parentale, o anche di genitori biologici. Per
come viene concretamente praticata, la procreazione assistita esonera i
donatori da qualunque responsabilità nei confronti dei figli così “prodotti”.
Questo è un fatto inedito. Senza deroga o convenzione contraria, infatti, gli autori
di un bambino sono, in genere, moralmente e socialmente obbligati a prendersi
cura di lui. Per il filosofo Hans Jonas questo obbligo costituisce anzi quel
che egli chiama “l’archetipo di ogni agire responsabile”. Mi sembra dunque
importante interrogarsi su un modo di procreare che instaura l’irresponsabilità
degli ascendenti e li separa a priori dai loro discendenti. In tal caso,
infatti, si trattano gli esseri umani in modo totalmente differente: da un
lato, il futuro genitore – che contribuisce personalmente alla procreazione
(con i propri gameti o facendo da madre surrogata al proprio figlio) – e,
dall’altro, il genitore biologico o la madre sostitutiva che vengono usati come
impersonali fornitori di materiali. E si trattano in modo altrettanto disuguale
i figli: quelli che conoscono i genitori che hanno dato loro la vita e quelli
che non hanno il diritto di conoscerli. Non ci si è per nulla preoccupati degli
effetti che questo segreto organizzato potrebbe produrre nei figli stessi.
Adesso li conosciamo meglio, poiché molti di questi figli rifiutano, più tardi,
di essere prodotti fabbricati con l’aiuto di provette congelate e vorrebbero
sapere a quale uomo o a quale donna, in altre parole a quali persone, debbano
la vita, per potersi iscrivere in una storia umana. Su cosa si basa oggi il
legislatore per respingere la loro domanda? Invoca il dogma del primato della
filiazione affettiva e sociale sulla filiazione genetica. Ma non si tratta
affatto dei geni che hanno ereditato (e che, come sappiamo, non determinano
meccanicamente l’identità individuale e personale): si tratta di persone.
Coloro che si lamentano di un vuoto, di un’assenza di volto umano nella propria
storia, vogliono essere anch’essi persone venute da altre persone, e non dei
prodotti. La loro richiesta è conforme alla distinzione fondamentale tra cose e
persone, e quindi tra il diritto reale e il diritto personale. Ed è conforme
altresì alla Convenzione dei diritti del bambino (entrata in vigore nel 1997)
che riconosce a ogni bambino “per quanto possibile, il diritto di conoscere i
propri genitori e di venire allevato da essi”. Il termine “genitore” rimanda
evidentemente qui a coloro che gli hanno dato la vita. L’antropologia può,
anche stavolta, illuminarci e aiutarci a uscire da un dualismo forzato.
Lévi-Strauss osserva che, in numerose società, i legami naturali possono
sussistere e coesistere con le relazioni di filiazione istituite. Fornisce
diversi esempi di casi in cui lo statuto sociale di un figlio si determina in
funzione del padre legale, ma aggiunge che “il bambino conosce comunque
l’identità del suo genitore biologico ed esistono legami affettivi che li uniscono”.
Contrariamente alle nostre, quelle società ignorano l’angosciosa alternativa
tra legami naturali e legami sociali. Invece di drammatizzare l’opposizione,
esse giustappongono i due tipi di legami, ma in modo trasparente, e la
trasparenza sembra loro essenziale. Ci si può allora chiedere se non sarebbe
più saggio anche per noi accogliere tale trasparenza, anche in materia di
procreazione assistita. Essa permetterebbe, infatti, di ripersonalizzare i
legami tra ascendenti e discendenti, evitando al tempo stesso la
spersonalizzazione degli ascendenti e la desessualizzazione della procreazione.
Vediamo bene infatti che, ad esempio, l’inseminazione anonima, usata da una
donna sola o da una coppia di donne, fa completamente sparire la parte
dell’altro sesso nella nascita di un figlio. Crea la finzione di un atto
generativo monosessuato, che non è verosimile. Possiamo chiederci in nome di
cosa e di chi una società possa imporre a un bambino la finzione di una nascita
desessualizzata, che rischia inoltre di compromettere la costruzione della sua
identità sessuata. La stessa questione si pone per stabilire la parentela. Istituire
due genitori dello stesso sesso significa rompere con il modello strutturale dissimmetrico
dei legami biologici, che si mantiene anche in laboratorio. L’istituzione della
parentela deve forse abbandonare ogni rapporto, sia pure analogico, con l’ordine
reale della generazione sessuata degli esseri umani? La legittimità dei legami
omosessuali non è in discussione. E’ riconosciuta dalle unioni civili in
Francia e in altri paesi. Potrebbe essere rafforzata da un matrimonio civile,
se il significato di tale istituzione venisse cambiato. Ma il desiderio
individuale di unirsi civilmente, di stipulare un contratto coniugale con una persona
dello stesso sesso, giustifica il progetto di scartare l’altro sesso dalla
procreazione e dalla filiazione dei bambini? Giustifica una ricostruzione della
parentela basata sull’equivalenza dei sessi? Questo meriterebbe almeno di
essere oggetto di riflessione e di dibattito, tanto più che una tale ricostruzione
creerebbe una disuguaglianza tra i figli futuri, compresi i figli adottati: gli
uni, iscritti in una filiazione bilaterale non simmetrica, con una madre e un
padre; gli altri, privi sia di un padre sia di una madre. Il problema dei
bambini a venire, cioè delle future generazioni, è che nessuno li rappresenta
sulla scena politica democratica: non possono manifestare, né essere ricevuti
né essere ascoltati. Non costituiscono alcuna forza. Il legislatore deve però
preoccuparsi delle condizioni della loro venuta. Ed è per questo che, prima di
prendere decisioni precipitose in materia di procreazione e di parentela, egli
dovrebbe svolgere una riflessione antropologica ed etica, approfondita e
condivisa, sullo statuto dei figli, sui loro diritti e sulla nostra
responsabilità nei loro confronti. (Traduzione di Mario Porro)
Pubblichiamo la parte centrale e
conclusiva del saggio “La metamorfosi della differenza sessuale” della filosofa
francese Sylviane Agacinski, che compare nel nuovo numero (marzoaprile 2013)
della rivista Vita e Pensiero.
Nessun commento:
Posta un commento