domenica 16 marzo 2014

L'offensiva europea contro i medici obiettori di Alfredo Mantovano, 16-03-2014, www.lanuovabq.it

Per riprendere una espressione di moda, sarà il caso di farsene una ragione: la campagna contro i medici obiettori di coscienza è ripartita in grande stile. Per carità, nulla di nuovo sotto il sole quanto alla carica di fastidio, se non di odio, della quale, fin dai mesi successivi alla entrata in vigore della legge 194, gli obiettori sono stati destinatari. Più volte Asl e Aziende ospedaliere hanno bandito concorsi per l’assunzione di personale medico espressamente riservati a non obiettori: le aziende sanitarie sono state richiamate a più miti consigli dalle pronunce dei Tar, ma ogni tanto qualcuno ci riprova. Non ieri, ma 35 anni fa il prof. Stefano Rodotà sosteneva come “per rendere concreto il diritto delle donne all’aborto” fosse “indispensabile disporre che, da un certo momento in poi, i medici assunti nelle strutture pubbliche non potranno più obiettare (…). Così il laureato in medicina difenderà le sue convinzioni, in materia di aborto, non andando a fare il medico nelle strutture pubbliche” (sic! Panorama, 23 luglio 1979, p. 45). Quest’ultima non è stata una mera ipotesi di scuola, se è vero che l’on. Aldo Aniasi, uno dei primi ministri della Sanità chiamati ad applicare la 194, aveva manifestato il proposito di “spostare l’aborto negli ambulatori pubblici” per non avere “più bisogno di ricovero, non ci sarà più il problema dell’obiezione di coscienza perché in questo nuovo servizio si assumeranno solo ginecologici non obiettori” (Panorama, 30 marzo 1981, p. 87).

La decisione adottata in materia dal Ceds-Comitato europeo dei diritti sociali del Consiglio d’Europa, pubblicizzata – guarda un po’! – l’8 marzo rischia però di far passare dalle invettive, pur autorevoli, e dalle minacce, pur istituzionali, a qualcosa di più impegnativo sul piano giuridico, se non si adottano quelle contromisure che, forse con qualche leggerezza, finora sono mancate. Riassunta dai media, la pronuncia guarda con preoccupazione all’elevato numero di medici obiettori di coscienza che esisterebbero in Italia, e per questo accusa il nostro Stato di violare i diritti delle donne che intendono abortire. Per il momento il battage è tutto mediatico: se consultate il sito del Consiglio d’Europa ed esaminate i documenti relativi alla vicenda-medici obiettori troverete l’intero iter della decisione, con il testo integrale dei documenti introduttivi e di quelli depositati nel corso della procedura, ma non vedrete ancora pubblicato il provvedimento conclusivo. Aver permesso che esso fosse reso noto prima, almeno quanto alle conclusioni, per il tramite di Ong abortiste, ha un significato inequivoco, in occasione della giornata della donna. Che la banda attendesse il “la” per riprendere con la solita musica non è una illazione; è sufficiente sfogliare la rassegna-stampa:

• come per altre “gloriose” campagne sui “diritti civili”, spunta subito il “caso pietoso”: dopo un paio di giorni dedicati a pompare la notizia della pronuncia del Ceds, da martedì 11 sui quotidiani è comparso il resoconto del dramma di una giovane donna, della quale sono stati forniti nome cognome identità del coniuge e fotografia, che a causa di medici obiettori sarebbe stata costretta ad abortire da sola e al quinto mese di gravidanza nel bagno del reparto ostetricia dell’ospedale Pertini di Roma. Quando? il 9 o il 10 marzo, visto che i servizi compaiono dall’11? No, quattro anni prima! La signora o il marito avranno avviato un’azione di danni verso l’ospedale o verso i medici che non l’hanno assistita? No, eppure in quattro anni ne hanno avuto tempo e modo. La denuncia ha trovato conferme? No, il Pertini, dopo una veloce indagine interna, ha comunicato che la signora al momento dell’ivg era assistita da due medici non obiettori, e ha escluso che l’aborto sia avvenuto in un bagno; la smentita non ha avuto repliche. Conta qualcosa sapere che la prima informazione dei fatti, nella giornata di lunedì, è avvenuta in una conferenza stampa organizzata dall’Associazione Luca Coscioni?
• come per altre “gloriose” campagne sui “diritti civili”, al “caso pietoso” (che, pur con la smentita, ha raggiunto il suo effetto; e state pur certi che non resterà isolato) vengono affiancati i numeri: le strutture sanitarie di intere Regioni italiane non garantirebbero il “diritto all’aborto”, gli obiettori supererebbero il 90% dei ginecologi, e ciò costringerebbe le gestanti che intendono interrompere la gravidanza a una triste peregrinatio da provincia a provincia. Una puntuale e dettagliata nota dell’attuale ministro della Salute ha fornito i dati corretti, ovviamente distanti dalla vulgata: Lorenzin ha illustrato, con cifre certificate, come nel corso degli anni la costante riduzione della quantità degli interventi abortivi abbia compensato la stabile elevata percentuale di obiettori;
• come per altre “gloriose” campagne sui “diritti civili”, al “caso pietoso” e alle false statistiche seguono interventi scandalizzati dei soliti noti: dal prof. Carlo Flamigni, che ha attribuito agli obiettori la responsabilità per la morte di 100.000 donne all’anno per aborto clandestino (sic! su l’Unità, 9 marzo 2014, p. 16; inutile ricordare che il numero totale di donne in età fertile che muore ogni anno in Italia per le cause più varie è notevolmente inferiore), a Corrado Augias : “la scena avvenuta nel bagno di un ospedale con i medici che rifiutavano ogni aiuto per obiezione di coscienza ha aspetti così selvaggi (…)” (la Repubblica del 13 marzo 2014, p. 34). Il messaggio è rilanciato: dagli all’obiettore! 
         
Il Ceds del Consiglio d’Europa non è la Corte di Giustizia europea né la Corte europea per i diritti. La sua pronuncia tuttavia non va minimizzata: il Ceds è l’organismo che verifica la conformità alla Carta sociale europea – un trattato del Consiglio d’Europa adottato nel 1961 e ampiamente riveduto nel 1996 – dei comportamenti dei singoli Stati aderenti alla Carta. Quest’ultima è una sorta di applicazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo ai temi di rilievo sociale. Il Comitato è composto da 15 membri eletti a rotazione fra i rappresentanti degli Stati del Consiglio d’Europa: fra essi vi è attualmente un italiano; decide a seguito di reclami proposti da quelle ong che abbiano chiesto a tal fine l’iscrizione in un apposito elenco. Le sue pronunce, che intervengono dopo articolate istruttorie, nel corso delle quali lo Stato chiamato in causa ha la possibilità di formulare rilievi sui reclami presentati, non hanno l’effetto di una sentenza di una delle due Corti. Se tuttavia lo Stato destinatario della decisione non si uniforma alla stessa, ciò costituisce il presupposto perché chi ha interesse si rivolga, sulla base del diritto che si assume violato, alla Corte di Giustizia o alla Corte dei diritti: dunque, il provvedimento del Ceds non è una mera esortazione, produce effetti giuridici.

Se si ha voglia di ripercorrere il lungo iter che ha portato alla pronuncia – lo si ripete, ancora formalmente non pubblicata – del Ceds, si possono ricavare alcuni elementi di fatto, tutti molto istruttivi:
• le lobby abortiste non demordono mai. L’atto iniziale della procedura è stato depositato dalla Ippf-International planned parenthood federation european network, ong nota da decenni nel settore, d’intesa con la Laiga-associazione italiana ginecologi non obiettori. Capita invece raramente che associazioni o movimenti pro life o di tutela della famiglia promuovano in sede europea iniziative analoghe; qualcosa di importante è stato fatto, soprattutto quanto a mobilitazione popolare, con la raccolta di firme Uno di noi, tesa al riconoscimento giuridico dell’umanità del concepito. Sarebbe bello se, rendendosi conto delle ricadute che hanno nei singoli Stati decisioni di organismi dell’Ue o, come è nel caso dei medici obiettori, del Consiglio d’Europa, vi fosse una strategia tesa a proporre periodicamente iniziative anche davanti a questi Comitati. Chiamare in causa l’Italia, per es., per i rischi alla salute della donna derivanti dalla distribuzione senza cautele della Ru486 probabilmente non otterrebbe risultati eguali a quelli delle ong pro choise, ma darebbe l’idea che non esistono solo queste;
• nell’istruttoria della pratica “medici obiettori” altre Ong, oltre a quella che l’ha avviata, avevano la possibilità di presentare memorie e documenti. L’Associazione Luca Coscioni e l’Aied-associazione italiana educazione demografica vi hanno provveduto, ovviamente a sostegno delle tesi della Ippf. Dall’altra parte è meritoriamente intervenuto soltanto il Movimento per la vita italiano: la sua memoria è molto ben fatta, ed è il solo documento – nell’intero iter – che fornisce considerazioni a sostegno del diritto all’obiezione dei medici, ma perché non sono intervenuti altri? Mpv non è il solo in Italia a interessarsi della materia;
• il governo italiano ha depositato memorie due volte: la prima in sede di ammissibilità del reclamo, la seconda in sede di merito. Entrambi gli interventi recano la firma di funzionari – persone che certamente conoscono la materia, ma il cui profilo è soltanto tecnico – e risalgono alla seconda metà del 2012, sotto l’Esecutivo Monti. Paradossalmente le osservazioni inviate sull’ammissibilità sono più articolate di quelle riguardanti il merito. In entrambi i casi chi ha scritto le memorie ha giocato in difesa; non ha rivendicato la fondatezza giuridica dell’obiezione di coscienza in presenza della eliminazione di una vita umana, ma ha nella sostanza riproposto, con qualche commento, il testo dell’articolo 9 della legge 194. Ha cioè fornito ampie assicurazioni sulla pratica degli aborti legali in Italia, che non sarebbe ostacolata dal fatto che la maggioranza dei ginecologi sono obiettori. Come spesso accade quando ci si chiude in difesa, ha perso.

E adesso? Al merito del ministro Lorenzin va riconosciuta una critica prontamente sollevata nei confronti della decisione del Ceds. Il problema è che però questa decisione ormai è stata adottata e può produrre quegli effetti cui prima facevo cenno. La situazione non è semplice e, come sempre, ha più livelli di possibile trattazione.

Vi è il profilo istituzionale, che chiama in causa in primis il Governo italiano. In linea con l’attuale titolare della Salute, l’intero Esecutivo potrebbe sottoporre al Ceds l’ipotesi di un riesame, con una articolazione di motivi più ampia e più attenta a illustrare il fondamento giuridico dell’obiezione, ma soprattutto con una presa di posizione politica. Demandare la questione all’Avvocatura dello Stato, accompagnandola dalla manifestazione di un interesse di tipo politico, costituirebbe un passo in avanti rispetto alle scarne deduzioni di un paio di pur diligenti funzionari di ministero.

Vi è però un profilo culturale che non può sfuggire. Difendere l’obiezione di coscienza all’aborto non è una battaglia di retroguardia a tutela di privilegi: è richiamare al tempo stesso il valore del vita e quello, non marginale, del senso della professione medica oggi. L’obiezione è riconosciuta per le pratiche di vivisezione e dovrebbe essere negata quando ci si trova di fronte a un essere umano? E ha una immediata proiezione nel futuro: oggi quell’essere umano c’è ma non è ancora nato, domani potrebbe esserci “ancora” e una legge ne permetterebbe la soppressione perché non è ancora morto. L’obiezione si conferma un presidio di civiltà per ciascuno, e di libertà per il medico.

E poi, da 35 anni ci dicono che si può cambiare la Costituzione, e anche mettere in discussione l’esistenza di Dio, ma non si può né toccare né discutere la 194. Se quest’ultima è intoccabile, lo è anche all’articolo 9, quello dedicato all’obiezione. Se si mette in discussione quest’ultimo, si rimette in discussione tutto! Cosa peraltro da non escludere in assoluto, visto che oggi, ancor più del 1978, vi è la certezza scientifica che il concepito è uomo fin dall’istante del concepimento. L’ultima cosa che si può fare è continuare a essere disattenti e distratti su ciò che in materia si muove in Italia, e soprattutto in Europa, salvo poi preoccuparsi per decisioni come quella del Ceds, dopo che sono state adottate. Mettere insieme tutte le forze disponibili del fronte pro life, superare divisioni e incomprensioni, e affrontare in modo scientifico e coordinato le battaglie dell’oggi nei luoghi nei quali si combattono è il presupposto per interrompere la sequela di pronunce negative, inaspettate solo in apparenza.

Come per la famiglia oggi il fronte più delicato è quello dell’imposizione dell’ideologia del gender, per la vita lo scontro oggi è sul diritto all’obiezione. Pensare di scindere i due profili e chiudersi in trincea equivale a votarsi alla sconfitta.

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