giovedì 6 marzo 2014

Pillola abortiva, rieccola in Toscana di Renzo Puccetti, 5 marzo 2014, www.lanuovabq.it

C’era un inossidabile politico della prima repubblica, aveva un nomignolo, “Rieccolo!”. Se devo pensare a qualcosa in violazione della legge naturale e del bene comune il “Rieccolo” che mi viene in mente si chiama Toscana. È in Toscana che prendono il via quei monumenti di offensiva inutilità che vanno sotto il nome di registri delle coppie di fatto, è in Toscana che nel 2008 si organizza un convegno medico dove in una relazione ci si interroga: “Il neonato è persona?”. È ancora in Toscana che si pensa di bloccare nel limbo prepuberale bambini con disturbo d’identità di genere nell’attesa che da grandi decidano tra l’essere maschio o femmina. È in Toscana dove si mette a punto un protocollo neonatologico che nega una chance di vita ai cittadini italiani con la sfortuna di nascere fortemente prematuri.

È la Toscana la Regione dove la pillola abortiva esce dai protocolli di ricerca per diventare routine. Oggi il granducato monocolore ha dato nuovamente segno di sé, è il “Rieccolo!”. Il suo consiglio sanitario ha deciso che la pillola per fare secchi i bambini, prima che nascano, si possa dare alle donne anche nei consultori. Le donne prendono la pillola, aspettano due ore e tornano a casa; dopo due giorni tornano a prendere l’altra metà del cocktail. Ci dicono che lo fanno per le donne. Mah! Conosco la letteratura a menadito e non so neppure di uno studio dove si dimostri che quel metodo è più sicuro e meglio tollerato. Dicono che così la compressa verrà somministrata in un ambiente meno traumatico, ma anche spremendomi le meningi a sangue non riesco a immaginare che grande differenza ci sia tra l’ambulatorio e la sala d’attesa di un ospedale e quelle di un consultorio. E allora? Forse bisogna andare un po’ oltre le dichiarazioni ufficiali. Posso sbagliare, ma non riesco a scacciare alcuni pensieri.

Primo: il “tesoro” rappresentato dalla RU 486 per le istanze abortiste è la capacità di espansione dell’accesso all’aborto che essa garantisce. Basta un medico, una penna, un foglio e un farmacista. Niente lettino, niente autoclave, nessun campo sterile e sala operatoria. L’aborto a domicilio materializza la massima aspirazione dell’abortismo che vuole ridurre l’aborto ad una comunissima procedura medica, diversa in niente da un’estrazione dentale. L’aborto in ambulatorio è la tappa di avvicinamento perché l’aborto diventi un affare privatissimo. La seconda istanza che mi pare di potere cogliere è quella che vede nella lotta ai medici obiettori un obiettivo di alto valore simbolico.

Se c'è chi obietta, qualcuno può pensare che forse vi sia qualche problemino con la morale. Fino ad ora i diversi tentativi di coartare la libertà di coscienza sono andati a vuoto per la resistenza dei medici, si prova così ad accrescere i medici abortisti con il barbatrucco dell’arruolamento del personale consultoriale. In Toscana sono 116 i ginecologi non obiettori in servizio negli ospedali, non è quindi che manchino i medici per fare gli aborti. La Cochrane, il più prestigioso istituto di revisione dei dati medico-scientifici, ha calcolato che un aborto chirurgico è una procedura che ha una durata media di appena 5,7 minuti; un singolo medico abortista ha un potenziale teorico di 16.800 aborti all’anno. La 194 all’articolo 8 stabilisce che l'interruzione della gravidanza debba essere praticata presso ospedali pubblici o strutture indicate dalla legge. Dicono che tutta la procedura sia in regola con la legge; sarà un limite del sottoscritto, ma ho una certa difficoltà a comprendere come ciò sia possibile.

Se per interruzione di gravidanza si intende infatti quello che in medicina chiamiamo aborto, allora esso consiste nella espulsione dei prodotti del concepimento e la procedura toscana rende una costante l’aborto fuori dall’ospedale, se invece si intende la semplice soppressione del concepito, allora con questa tecnica nessuno è in grado di dire con certezza quando essa avverrà, stante l'assenza di criteri laboratoristici o ecografici universalmente condivisi. C’è una sola scappatoia: identificare l'interruzione della gravidanza con la somministrazione dei farmaci abortivi, cosa che per analogia obbligherebbe ad ammettere la mostruosità logica, prima che giuridica, di considerare omicidio la semplice somministrazione di un veleno potenzialmente letale senza bisogno di decesso e di cadavere. Ma forse sono troppo pignolo, in fin dei conti, qualcuno che viene da Firenze potrebbe dire: “Signori, son questioncine!”.

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