martedì 28 giugno 2011

FECONDAZIONE, SI DI STRASBURGO AL RICORSO DI UNA COPPIA MALATA di Massi Carla, Messaggero di martedì 28 giugno 2011

Rosetta e Walter sono due giovani sposi che desiderano un figlio. Ma non se la sentono di mettere al mondo un bambino che potrebbe non essere sano. Entrambi, infatti, sono colpiti da fibrosi cistica. Una malattia genetica che si trasmette in un caso su quattro al nascituro. Per questo, qualche tempo fa, hanno chiesto di poter ricorrere alla fecondazione in vitro pur non essendo sterili così come prevede la legge. Nel nostro Paese, infatti, è consentito accedere alla procreazione assistita solo alle coppie che non possono avere figli e quelle in cui il partner maschile abbia una malattia sessualmente trasmissibile come l'Aids. La fecondazione in laboratorio, attraverso uno screening embrionale, permettere di far venire al mondo un bambino in buona salute.

La coppia si è rivolta a Strasburgo sostenendo che la nostra regolamentazione viola il loro diritto alla vita privata e familiare. Nel ricorso si parla di discriminazione, l'uomo e la donna si appellano alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Il ricorso è stato accolto. La Corte fa sapere che coppie nella stessa situazione di quella italiana possono già ricorrere alla fecondazione in vitro (quindi anche all'esame embrionale) in quindici paesi europei: Belgio, Repubblica Ceca, Danimarca, Finlandia, Francia, Grecia, Paesi Bassi, Norvegia, Portogallo, Russia, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia e Regno Unito.

Esultano le associazioni che sostengono la revisione della legge 40 sulla fecondazione dà, invece, una diversa lettura della decisione della Corte di Strasburgo il sottosegretario alla Salute Eugenia Roccella. «Dispiace constatare che sul ricorso della una coppia italiana alla Corte europea si stanno diffondendo equivoci ed interpretazioni sbagliate. Il ricorso non è stato ancora dichiarato ricevibile ma è stato soltanto presentato. Siamo ben lontani da una sentenza». Il sottosegretario ribadisce il no alla selezione genetica degli embrioni che «è espressamente vietata dalla legge stessa». «Quando Strasburgo esaminerà la legge 40 del 2004 - commenta l'avvocato Filomena Gallo vice segretario dell'associazione Luca Coscioni - mi auguro che consenta un accesso universale alle tecniche di fecondazione assistita a tutti coloro che per avere un figlio sano hanno bisogno dell'aiuto della medicina, eliminando discrimini insensati e riconoscendo i diritti universali».

Certo è che quanto sarà deciso dalla Corte di Strasburgo avrà effetti vincolanti. Questo significa che l'Italia dovrà rispettarne le indicazioni ed, eventualmente, modificare la legge. Che, in sette anni, per otto volte è finita sui banchi della Corte costituzionale se vengono considerati nel conto anche i ricorsi per altri articoli del testo. Come quelli sul congelamento degli embrioni, la diagnosi preimpianto e il limite di utilizzo di tre embrioni per ciclo di fecondazione. Il 13 gennaio 2010 il giudice Antonio Scarpa del tribunale di Salerno ha autorizzato, per la prima volta in Italia, la diagnosi genetica preimpianto ad una coppia fertile portatrice di una grave malattia ereditaria, l'Atrofia muscolare spinale di tipo 1, in deroga, appunto, alle nostre norme sulla fecondazione. «La decisione di Strasburgo - spiega Ignazio Marino senatore Pd presidente della Commissione di inchiesta sul servizio sanitario nazionale - avrà effetti generali perché non riguarderà solo la coppia che ha presentato ricorso ma tutti, per effetto dei cambiamenti che potrebbe subire la legge».

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