giovedì 23 giugno 2011

Identità di genere e nuovi diritti di Raffaella Frullone, 23-06-2011, http://www.labussolaquotidiana.it

Alle Nazioni Unite prosegue il dibattito attorno all'identità di genere e un documento, approvato il 17 giugno,  apre alla possibilità di riconoscere giuridicamente la modifica del genere sessuale, segnando un passo ulteriore verso il riconoscimento giuridico a livello internazionale delle unioni omosessuali, del cambiamento di sesso, delle adozioni. Anche se questo non viene esplicitato.

Si tratta di una «Risoluzione in tema di diritti umani, orientamento sessuale e identità di genere» varata dal Consiglio dei diritti umani dell'Onu. Nella testo è contenuta la richiesta di uno studio che «documenti leggi, pratiche discriminatorie e atti di violenza basati su orientamento sessuale e identità di genere». Il documento inoltre stabilisce che i risultati di questo studio debbano essere presentati alla 19esima sessione del Consiglio dei diritti umani, prevista in autunno. Questo di fatto potrebbe costituire la premessa per un'equiparazione a livello giuridico internazionale della famiglia con i nuclei composti da persone dello stesso che poi i singoli Stati membri sarebbero tenuti a recepire.

Si tratta di un passo importante per la realizzazione dei cosiddetti “Principi di Yogyakarta”, contenuti in un contestato documento, presentato a Ginevra nel marzo 2007 alle Nazioni Unite da una Commissione internazionale di giuristi e 29 esperti internazionali di diritti umani tra cui Mary Robinson, Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani dal 1997 al 2002. Il testo in sostanza propone l'applicazione del diritto internazionale alla luce dell'orientamento sessuale e dell'identità di genere e punta ad includere le operazioni di modifica del genere e la libera espressione sessuale dei bambini tra i diritti umani riconosciuti. In particolare i “Princìpi di Yogyakarta” analizzano 29 diritti già vincolanti nel diritto internazionale – come il diritto alla vita, all’educazione e alla libertà dalla tortura – reinterpretandoli uno ad uno in chiave omosessuale. Il criterio di fondo è che «la legge internazionale sui diritti umani  impone un’assoluta proibizione di discriminazione riguardo al pieno godimento di tutti i diritti umani», per cui tutti gli Stati sarebbero per legge tenuti a  modificare le loro legislazioni in modo da adottare eventuali nuovi diritti legati al riconoscimento giuridico dei legami omosessuali, al cambiamento di genere, e anche eventualmente anche all'adozione di bambini.

Non a caso la risoluzione approvata il 17 giugno - con 23 paesi favorevoli, 3 astenuti e 19 contrari - richiama i principi contenuti nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo firmata a Parigi nel 1948, in particolare il secondo articolo: «ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciate nella presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione» ed esprime «grave preoccupazione per gli atti di violenza e discriminazione, in tutte le regioni del mondo, commesse ai danni di individui a causa del loro orientamento sessuale o della loro identità di genere».

Di conseguenza per il Segretario di Stato americano, Hillary Clinton, quella firmata a Ginevra rappresenta «un’occasione storica per mettere in luce le violazioni dei diritti umani subite da lesbiche, gay, bisessuali e transgender in tutto il mondo poiché – ha aggiunto la ex first lady – si tratta di un passo importante verso il riconoscimento dei diritti dell'uomo come diritti universali».

Ma questo entusiasmo non è condiviso da molti paesi – soprattutto africani e islamici – che contestano  appunto l’introduzione del concetto di “identità di genere” neli documenti legislativi internazionali. L’Organizzazione della conferenza islamica, che rappresenta 56 paesi del Medio Oriente,  Africa, Asia centrale e Subcontinente indiano, ha espresso preoccupazione sull’inclusione  di «nozioni prive di basi nella legislazione internazionale e negli standard internazionali legali dei diritti umani». Gli fa eco il Bahrein secondo cui «questo è un tentativo di creare nuovi standard e nuovi diritti travisando l’esistenza dei diritti umani standard». Dello stesso avviso anche la Nigeria i cui rappresentanti diplomatici, prima di votare no alla risoluzione, hanno accusato il testo di voler “porre il comportamento degli uomini al di sopra degli strumenti internazionali”.

In effetti sdoganare a livello internazionale il concetto di “identità di genere” significa quanto meno avallare quanto sostenuto da alcune correnti di pensiero secondo cui il genere sessuale non sia determinato biologicamente, ma sia invece il frutto di una consapevolezza, di una percezione interiore che può condurre una persona a sentire di appartenere ad un genere differente rispetto, appunto, a quello biologico. Non solo, significherebbe renderlo un precedente importante a livello legislativo e non solo.

Convenzionalmente si fa risalire l’introduzione del termine “identità di genere” allo psicoanalista americano Robert Stoller n(1925 -1991), insegnante di psichiatria all’Università della California a San Francisco, che per la prima volta ne parla al Congresso internazionale della psicoanalisi nel 1963 e due anni dopo fonda a Los Angeles la "Clinica per l'Identità di Genere". Tuttavia le sue teorie, e teorie affini, dalla metà del secolo scorso vengono riproposte e riadattate in diverse salse, anche sull’onda del femminismo e del clima di libertinaggio del sessantotto, da un numero crescente di medici, psicologi e sociologi che aprono la via al relativismo di genere, che però al momento non può contare su un riconoscimento giuridico solido a livello internazionale.

Contro questo approccio ideologico è stata appena presentata una ricerca, che a breve sarà consegnata all’Onu,  che riafferma al contrario come il genere sia di fatto fondato unicamente sulla biologia di uomini e donne e che il concetto di “identità di genere” sia contrario alla struttura anatomica e biologica. Gli autori sono sono Richard Fiztgibbons, psichiatra e direttore dell’Istituto per la terapia di coppia di Filadelfia, Pihilip Sutton, psicoterapeuta che risiede in Michigan e dirige la pubblicazione “Sessualità umana” e Dale O’Leary, autrice di “The gender agenda”. Essi approcciano il problema da una prospettiva medica e biologica secondo cui il genere umano è unicamente una questione di composizione genetica e spiegano che «L’identità sessuale è scritta in ogni cellula del corpo e può attraverso il test del Dna. Non può in nessun caso essere cambiata».

In particolare lo studio si concentra sulla “psicopatologia della riappropriazione del sesso attraverso la chirurgia” e la definisce categoricamente inappropriata dal momento che propone una soluzione chirurgica ad un disordine psicologico. «Le discordanze sessuali di questi individui e le loro esperienze individuali non derivano dal fatto che sono nati “nel corpo sbagliato” ma sono il frutto di disordini e ferite profonde nonchè di problemi psicologici importanti».

La ricerca arriva sul tavolo delle Nazioni Unite dunque in un momento decisamente caldo per il dibattito sull’identità di genere. Il timore, per i non firmatari della risoluzione, è che l’introduzione giuridica di questo termine non sia altro che una porta aperta verso un cambiamento sociale e culturale atto a scardinare i principi della legge naturale che stanno alla base delle costituzioni di molti paesi membri.
Un timore su un "non detto", si potrebbe obiettare, ma di fatto a rendere esplicito l'obiettivo del documento sono le parole con cui la sezione italiana di Arcigay ha accolto lo stesso «La risoluzione - commenta il presidente Paolo Patané - segna un progresso significativo nella lotta per i diritti lgbt (lesbiche, gay, bisessuali e trans) e pone il Parlamento italiano di fronte ad un bivio. Chiediamo a Parlamento e Governo una accelerazione netta nella piena parificazione dei diritti dei cittadini italiani con il matrimonio gay, la lotta alle discriminazioni sul lavoro e l’estensione della Legge Mancino ai reati di omofobia. Auspichiamo che il Governo prenda immediatamente atto della risoluzione ONU e ritiri le pregiudiziali che vorrebbero affossare la Legge contro l’omofobia».

Nessun commento:

Posta un commento