Le radici della crisi dell’Unione Europea (1991-2011) - http://www.fondazionelepanto.org
La crisi economica, sociale e
politica che l’Unione Europea oggi vive è sotto gli occhi di tutti. Tra pochi
giorni ricorrerà il ventesimo anniversario della firma del Trattato di
Maastricht (firmato l’ 11 dicembre 1991) da cui l’Unione Europea ebbe origine.
Il prof. Roberto de Mattei, allora presidente del Centro Culturale Lepanto, e
oggi della Fondazione Lepanto, esprimeva, tra i primi in Europa, le sue
critiche al Trattato di Maastricht in una lettera consegnata a Strasburgo, a
tutti i parlamentari europei, l’11 maggio del 1992, alla vigilia del discorso
della regina Elisabetta di Inghilterra al Parlamento Europeo. Lo stesso testo
veniva fatto pervenire, ai parlamentari italiani riuniti in seduta congiunta in
elezione del Presidente della Repubblica (il documento fu pubblicato
integralmente in « Lepanto », nn. 122-123 (maggio-giugno 1992), pp. 3-11).
La lettura di questa analisi, che
precedette di quasi 10 anni l’entrata in vigore dell’Euro, invita a riflettere
sul nostro futuro.
Lettera ai Parlamentari europei
del prof. Roberto de Mattei
Roma, 11 maggio 1992
Egregio onorevole,
a nome del Centro Culturale
Lepanto, che ho l’onore di presiedere, vorrei sottoporre alla Sua attenzione
alcune riflessioni a proposito di un importante dibattito che Ella e i suoi
colleghi avete affrontato e dovrete ancora affrontare (l).
Mi riferisco al Trattato di
Maastricht, stipulato l’11 dicembre 1991 nella cittadina olandese dai Capi di
Stato e di Governo dei dodici Paesi della Comunità europea per avviare la nuova
organizzazione internazionale denominata “Unione europea”.
Questo Trattato, che è stato
formalmente sottoscritto il 7 febbraio 1992 e che, per entrare in vigore,
dovrebbe essere ratificato dai rispettivi Parlamenti nazionali entro il 31
dicembre di quest’anno, sta suscitando un po’ ovunque crescenti dubbi e
perplessità: unirà e rafforzerà veramente l’Europa, o la disgregherà,
precipitandola nel caos? Lo scopo di questa lettera, è di contribuire ad una
discussione su questo punto capitale.
Il sogno nichilista di
distruzione dell’Europa
In questo 1992 che segna il 500°
anniversario della scoperta e della civilizzazione dell’America da parte degli
europei, la Civiltà europea e cristiana è sottoposta a un processo senza
precedenti. L’Europa è accusata di aver imposto al mondo il suo modello di
civiltà, in luogo di “aprirsi all’Altro”, “a ciò che non è, non è mai stato e
non sarà mai l’Europa”(2); essa dovrebbe dunque rinnegare sé stessa per
recuperare la “Alterità” che ha negato: i barbari, gli indios, i musulmani,
sarebbero portatori di un “messaggio culturale” incompreso. L’Europa dovrebbe
perciò rinunciare alla “ambizione secolare di centralità storica di cui Colombo
è il simbolo”(3) per “decivilizzarsi” e sprofondare nel tribalismo.
Nella visione della storia,
elaborata da questi “teorici del caos”, il fondamento dell’Europa sarebbe “la
perdita dei fondamenti” (4), la sua caratteristica quella “di non essere
identica a sé stessa” (5). Nessuna identità storica e culturale meriterebbe di
sopravvivere perché nel mondo nulla esiste di stabile e di permanente e tutto è
privo di ordine e di significato: il Nulla è l’unica realtà che si deve
affermare nella storia e nella società: “Dobbiamo riconoscere il ruolo
storicamente positivo del Nulla /…/ Siamo incitati a fondare la nostra
cittadinanza europea in rapporto al nulla” (6).
La vera natura del Trattato di
Maastricht
Queste tesi nichilistiche
sull’Europa, esposte in riviste, libri e convegni, amplificate dai mass media e
abbondantemente riecheggiate dagli uomini politici, non vanno ignorate né
dimenticate nell’affrontare la discussione su un accordo politico così
ambizioso come il Trattato di Maastricht.
Non si tratta di schierarsi
genericamente pro o contro l’Europa, ma di affrontare il vero problema di
fondo: a quale Europa ci richiamiamo? Qual è l’Europa prevista dal Trattato di
Maastricht? I trattati politici e diplomatici non si riducono infatti a formule
tecniche ma riflettono modelli politici, visioni del mondo e aspirazioni
ideali.
Quali, in questo caso?
Non è solo un mercato unico…
Per l’uomo della strada, l’Unione
europea si riduce al grande mercato senza frontiere, ossia all’unico “mercato
interno” europeo realizzato attraverso la libera circolazione delle merci,
delle persone, dei servizi e dei capitali.
Quest’uomo comune europeo, che
rifugge da discussioni e impegni profondi per vivere immerso nei problemi di
ogni giorno, diffida dei politici, ma nutre ancora una certa fiducia verso il
pragmatismo degli economisti; il fatto che l’Europa unita sia oggi patrocinata
dai “tecnici” dell’economia, lo tranquillizza ed egli è tentato a vedere in
essa la possibile soluzione dei gravi mali economici e sociali che affliggono
ormai cronicamente tutte le nazioni occidentali.
In realtà, il primo equivoco di
fondo da dissipare, è proprio quello di ritenere che la organizzazione
internazionale prevista a Maastricht si limiti ad una unione economica,
destinata ad assicurare maggiori vantaggi e benefici ai suoi membri.
Ciò è evidente fin nelle prime
pagine del Trattato, dove, a sottolineare la novità, al tit. II, art. G A I si
precisa che “l’espressione ‘Comunità economica europea’ è sostituita
dall’espressione ‘Comunità europea’”.
Qual è il senso di questa
precisazione? Quello di sottolineare il progressivo passaggio da un’unione
meramente economica ad un’unione innanzitutto politica; l’unificazione
economica è un mezzo, quella politica il fine.
… ma è un processo politico e
culturale
La prima caratteristica del
Trattato di Maastricht che balza agli occhi è la sua processualità. L’accordo
prevede infatti, a partire dallo gennaio 1993, una serie di tappe diverse,
rigorosamente concatenate e stabilisce il “carattere irreversibile” (7) della
transizione all’ultima fase, entro il l° gennaio 1999.
Occorre spingere lo sguardo verso
la mèta finale, perché è da essa che traggono significato le fasi precedenti. E
se la fase iniziale è economica, l’ultima conclude un processo di profonda
trasformazione politica dell’Europa. Qual è la natura di questa trasformazione?
Ebbene, affermiamo senza timore di essere smentiti, pronti ad un aperto
dibattito intellettuale su questo punto: il progetto di Maastricht non innesca
un processo di unificazione europea, ma un processo di disgregazione degli
Stati nazionali: e poiché l’Europa non può prescindere dagli Stati nazionali,
che ne costituiscono l’ossatura, la liquidazione di questi Stati equivale alla
distruzione dell’Europa condotta in nome dell’Europa stessa!
Verso il caos economico?
La prima fase del processo di
unificazione di Maastricht prevede, a partire dallo gennaio 1993, la caduta
delle frontiere politiche ed economiche all’interno della Comunità e la
creazione di un grande mercato unico europeo. Ma quali saranno le conseguenze
di questa vera e propria svolta economica del nostro continente?
Quasi tutte le nazioni europee
producono merci di eccellente qualità, dai vini ai tessuti. Generalmente ogni
nazione è la principale consumatrice dei propri prodotti; per evidenti ragioni
economiche, ciò è favorito dalle misure di protezione doganale prese dai
rispettivi governi. Se tali misure vengono soppresse, è inevitabile che la
curiosità propria dell’uomo spinga i consumatori nazionali a sperimentare i prodotti
provenienti da altre nazioni. Con la soppressione delle barriere doganali in
tutta Europa, circoleranno e si consumeranno i prodotti economici di tutta
Europa. In tal modo, nessuna industria manterrà la certezza di una base
economica nel Paese in cui è impiantata e comincerà una disputa tra le
industrie di ogni Paese, per mezzo della propaganda pubblicitaria, per
conquistare nuovi mercati o per difendere quelli tradizionali. I formaggi
francesi, la birra tedesca e la pasta italiana non sono solo prodotti
commerciali, ma simboli di culture e di tradizioni diverse: la guerra
economica, combattuta con gli strumenti della moderna tecnica pubblicitaria,
tenderà a divenire psicologica e politica. Il mercato comune assomiglierà ad un
campo di battaglia, piuttosto che a un centro di aggregazione.
I mercati più deboli saranno
invasi da capitali, merci e servizi stranieri ben più competitivi.
Sopravviveranno solo le imprese maggiori, capaci di darsi una dimensione
multinazionale; alle piccole resterà l’alternativa di accorparsi alle grandi,
in posizione subordinata, oppure di fallire.
Come abbiamo già previsto,
commentando il “progetto Delors”, “ciò che rende ancora più preoccupante lo
scenario è il fatto che questo cataclisma verrà imposto dall’alto, artificialmente
e a brevissimo termine, sorprendendo i più deboli nell’impreparazione generale.
E’ comunque facile prevedere che esploderà una concorrenza selvaggia che
seminerà il caos nell’economia europea; nel Mercato Comune si combatterà una
battaglia senza esclusione di colpi. L’Europa, priva dei punti di riferimento
fin qui rappresentati dalle frontiere nazionali e dalle barriere doganali,
potrebbe cadere vittima di un caos economico generalizzato e devastatore” (8).
L’esproprio della sovranità
monetaria
Le tappe successive previste dal
Trattato di Maastricht sono:
- IIa fase (a partire dal 1° luglio
1994): Creazione di un Istituto Monetario Europeo (IME) costituito dalle Banche
centrali dei Paesi membri, come passaggio intermedio per la successiva
- IIIa fase (a partire dal 1997 e
comunque entro il 1° gennaio 1999) che a sua volta prevede:
a) Costituzione di un Sistema
europeo di banche centrali (SEBC), comprendente le singole Banche centrali
nazionali e una Banca Centrale Europea (BCE), che diverrebbe il detentore e
gestore esclusivo delle riserve ufficiali in valuta estera degli Stati membri
(Tit. II, art. 105.2).
b) Creazione di una moneta unica
puramente fiduciale, l’ECU (Tit. II, art. 3 A), destinata a sostituire le
monete nazionali. La BCE costituirebbe l’unica istituzione abilitata ad
esercitare una prerogativa tipica dello Stato, quale l’emissione di moneta.
In particolare, secondo il
Trattato, non sono i governi e i parlamenti, ma è la Commissione, attraverso la
Banca Centrale Europea, a stabilire gli indirizzi di massima per la politica
economica dei singoli Stati nazionali (Tit. II, art. 103.2); la BCE è l’unica
istituzione che può autorizzare l’emissione di banconote e stabilire la loro
quantità (Tit. II, art. 105 A). Il Consiglio può addirittura infliggere
sanzioni attraverso l’imposizione di ammende, l’imposizione di un deposito
infruttifero invitando la Banca Europea degli Investimenti a riconsiderare la
sua politica di prestiti verso quel paese (Tit. II, art. 104 C).
La perdita parte degli Stati
europei della sovranità economica e monetaria significa in realtà la cessione
di un elemento essenziale della sovranità politica. Si tratta di un punto che
aveva ben compreso l’ex premier britannica Margaret Thatcher, la quale più di
una volta ha esposto il concetto secondo cui “se si perde la sovranità
monetaria e di bilancio, non è molta la sovranità che rimane” (9).
L’esproprio della sovranità
politica
L’autorevole voce della
Bundesbank ha recentemente ricordato come creare con un atto di autorità una
moneta unica europea può essere facile; ben più difficile è assicurare la
stabilità monetaria in Europa: a ciò occorrono condizioni economiche, politiche
e psicologiche complesse (10). Come immaginare una efficace unificazione economica
e monetaria dell’Europa, se manca quella cornice giuridica e politica comune
che sola può regolare problemi come quelli dell’immigrazione, della droga e
della criminalità organizzata, e assicurare in tal mondo le condizioni
necessarie alla stabilità economica e monetaria?
Per realizzare queste condizioni
giuridiche e politiche, il Trattato prevede “il ravvicinamento delle
legislazioni nazionali nella misura necessaria al funzionamento del mercato
comune” (Tit. II, art. G 3 H). Questa armonia politica e legislativa
costituisce certamente in sé un bene a cui tendere, quando non violi il diritto
naturale, ma non può essere imposta da un vertice burocratico, con il pretesto
della necessità di far funzionare il mercato comune. Ciò significherebbe sottrarre
agli Stati nazionali il loro diritto a governare la società civile. La
sovranità è il contrassegno essenziale di uno Stato. Essa può essere definita
come la suprema autorità che lo Stato deve avere, nell’ambito che gli è
proprio, per raggiungere il suo fine, che è il bene pubblico dei cittadini
(11), ossia la loro vita virtuosa in comune (12). Lo Stato può delegare alcune
competenze, in base al principio di sussidiarietà, ma non può eliminare in
radice la propria sovranità, come accadrebbe al termine del processo di
unificazione di Maastricht. Ciò significherebbe la scomparsa degli Stati
nazionali.
La mèta: megastato europeo e
microstati regionali
Questo trasferimento di poteri e
di competenze fin qui attribuite ai governi e ai parlamenti nazionali, avverrebbe
secondo due linee direttive: da una parte verso le istituzioni sovranazionali,
cioè verso il “megastato” europeo, dall’altra verso le realtà comunali e
regionali, che tenderebbero a divenire veri e propri microstati. Su questa
linea si pone l’istituzione di un “Comitato delle Regioni” (Tit. II, art. 198
A), destinato ad assistere il Consiglio e la Commissione, che costituirebbero
il “supergoverno” del “megastato”.
Ciò, come ha spiegato il
presidente della Commissione europea Jacques Delors parlando il 5 ottobre 1989
al Wissenschaftszentrum di Bonn, “nella sua essenza significa che i poteri del
governo centrale sono divisi con quelli delle collettività territoriali
pre-esistenti”.
Questo progetto realizza il piano
esposto qualche anno fa dal socialista Peter Glotz, nel Manifesto della
Sinistra europea nel quale auspicava “il superamento dello Stato nazionale in
Europa” che “non dovrebbe avvenire soltanto attraverso una unificazione
transnazionale, ma anche attraverso la regionalizzazione e il decentramento”
(13) e si indicava “la creazione di una Unione europea” (14), come “prospettiva
di lunga scadenza dell’unificazione europea”.
Si tratta della versione
aggiornata della grande mèta della Sinistra che è sempre stata e resta
l’anarchia, ossia il “mondo nuovo”, destinato a sorgere, per usare le parole di
Bakunin, “sopra le rovine di tutte le Chiese e di tutti gli stati” (15). Per
questo, afferma lo stesso Bakunin, “i socialisti rivoluzionari si organizzano
in previsione della distruzione o, se si vuole una parola più gentile, in vista
della liquidazione degli stati” (16) “affinché sulle loro rovine, possano
sorgere libere unioni organizzate dal basso grazie alle libere federazioni dei
comuni in provincie, delle provincie in nazioni, delle nazioni negli Stati
uniti d’Europa” (17).
Una bomba ad orologeria: la
cittadinanza europea
In questa prospettiva
disgregatrice si situa un capitolo del Trattato di Maastricht che costituisce
una vera e propria bomba ad orologeria nel cuore del nostro continente: la
attribuzione di una “cittadinanza europea” a ogni cittadino dei diversi Stati
nazionali in via di liquidazione.
Il problema della cittadinanza,
nazionale od europea, non può essere affrontato senza tener conto dello
scenario contemporaneo. Il fallimento del socialcomunismo ad Est e
l’altrettanto colossale fallimento della decolonizzazione a Sud hanno aperto un
flusso di massicce migrazioni verso l’Europa. Mancano statistiche pienamente
attendibili sulla reale consistenza di questa immigrazione; quel che è certo è
che si tratta di un fenomeno in aumento, che si accompagna a un preoccupante
declino demografico del nostro continente. Non si tratta comunque di un
problema secondario se, nel novembre 1991, i ministri di ventisette paesi
europei hanno ritenuto necessario incontrarsi a Berlino per discuterlo.
Il Trattato istituisce una
“cittadinanza dell’Unione europea” attribuita a “chiunque abbia la cittadinanza
di uno Stato membro” (Tit. II, art. 81). Tra gli Stati membri dell’Unione però,
per quanto riguarda la concessione della cittadinanza agli immigrati di
provenienza extra-comunitaria, non esiste attualmente omogeneità legislativa:
esistono legislazioni più aperte ed altre più restrittive. Non è difficile
immaginare che i flussi migratori si dirigerebbero verso gli Stati dove
l’accesso alla cittadinanza fosse più facile, per poi spostarsi per via
“intra-comunitaria”, verso quelli che hanno le frontiere “extra-comunitarie”
meno elastiche.
Si dirà che questo è uno dei
punti su cui è prioritario il riavvicinamento delle legislazioni nazionali
previsto dal Trattato; ma se si è così certi che questo riavvicinamento non
tarderà, perché non prevedere l’istituzione della cittadinanza dell’Unione solo
dopo l’avvenuta uniformità legislativa tra gli Stati?
Gli immigrati alla conquista
delle strutture politiche
Ogni cittadino dell’Unione,
secondo l’art. 8 A 1 del Trattato, ha “il diritto di circolare e di soggiornare
liberamente nel territorio degli Stati membri”. La reale portata di questo
articolo emerge alla luce di quello seguente, che attribuisce, ad “ogni
cittadino dell’Unione residente in uno Stato membro di cui non è cittadino”,
“il diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni comunali nello Stato membro
in cui risiede, alle stesse condizioni dei cittadini di detto Stato” (Tit. II,
art. 8 B 1) ed “il diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni del
Parlamento europeo nello Stato membro in cui risiede” (Tit. II, art. 8 B 2) con
modalità che verranno stabilite dal Consiglio Europeo rispettivamente entro il
31 dicembre 1994 ed il 31 dicembre 1993.
Queste le prevedibili
conseguenze:
a) Il primo obiettivo del
migrante extracomunitario sarà quello di ottenere la cittadinanza dell’Unione.
Perciò, in assenza di una legislazione rigorosamente uniforme, egli sceglierà
il Paese che consente un più facile accesso alla cittadinanza nazionale:
questa, automaticamente, comporta la cittadinanza europea.
b) Una volta ottenuta la
cittadinanza europea, il secondo passo, sarà quello di spostarsi, in base all’
assoluto diritto di circolazione, verso il luogo di residenza prescelto nel
territorio dell’Unione, dove eserciterà i diritti politici.
c) Il diritto di elettorato
attivo e passivo di cui fruirà nel luogo di residenza, permetterà al migrante
di inserirsi nelle strutture politiche europee a livello locale e a livello
sovranazionale, gli unici due livelli politici di rilievo, una volta dissolti
gli Stati nazionali.
L’Islam egemone in Europa?
Non si può ignorare che una larga
parte degli immigrati extracomunitari è di religione islamica, e che l’Islam
non conosce la distinzione cristiana tra ordine naturale e ordine
soprannaturale, tra sfera civile e sfera religiosa, ma fonde il sacro e il
profano in un’unica prospettiva totalizzante (18).
Gli esponenti islamici in Europa
già chiedono che la loro religione goda della stessa tutela che le legislazioni
nazionali riconoscono ad altre comunità religiose; ciò significa:
riconoscimento civile della poligamia, insegnamento islamico nelle scuole,
esonero dal lavoro nelle festività maomettane, e così via.
Il giorno in cui milioni di
islamici otterranno la cittadinanza dell’Unione europea è logico immaginare che
essi si organizzeranno in un movimento politico, che presenterà i suoi
candidati nelle elezioni comunali e nel Parlamento europeo.
Secondo il Trattato sono i
partiti politici europei “ad esprimere la volontà politica dei cittadini
dell’Unione” (Tit. II, art. 138 A); un “Partito Islamico Europeo”, per la sua
capillare diffusione in tutti i territori della Unione, per la sua forza di
coesione, allo stesso tempo politica e religiosa, per i suoi mezzi finanziari e
per i suoi collegamenti internazionali potrebbe diventare il partito leader del
Parlamento europeo; ciò significherebbe l’egemonia politica dell’Islam in Europa,
pacificamente conquistata, anzi pacificamente ceduta dagli stessi europei.
Sul piano comunale, inoltre, come
escludere la possibilità della concentrazione di un massiccio gruppo di
immigrati in qualche città o regione europea?
Chi potrebbe impedire a questi
cittadini europei, che godono del diritto di circolazione, di soggiorno e di
elettorato, di scegliere una delle città europee più ricche di storia o di
significato, per farne una “isola islamica” ed elevarvi i loro minareti?
Per uscire dal caos: salvare gli
Stati nazionali
Queste ipotesi si inquadrano in
uno scenario inquietante.
L’economia occidentale, che come
ha recentemente scritto il premio Nobel francese Maurice Allais, “poggia su una
gigantesca piramide di debiti” (19), rivela ogni giorno di più la sua estrema
vulnerabilità; problemi sociali come quelli della criminalità e della droga
rivelano il profondo vuoto culturale e morale della nostra società; da Est una
gigantesca spinta disgregatrice conseguente alla autodecomposizione del
comunismo si allarga verso l’Occidente disseminando fermenti di dissoluzione;
l’Islam proietta un’ombra preoccupante sull’Europa; il caos minaccia oggi il
nostro continente come mai nella sua storia, dal tempo delle invasioni
barbariche…E’ ragionevole, in questa situazione, proporsi la liquidazione degli
Stati nazionali per avanzare verso un’Unione europea dai contorni così nebulosi
e confusi? Gli Stati nazionali costituiscono attualmente l’unico fattore di
ordine e di stabilità, nel processo di disgregazione che investe l’Europa, e
pensare a dissolverli, proprio in questo momento, costituisce un suicidio
politico che ricorda quello compiuto dalla monarchia e dalla nobiltà francese
nel 1789.
L’Europa al bivio: suicidio o
rinascita cristiana
Egregio onorevole, l’Europa si
trova oggi di fronte a un bivio storico.
La ratifica del Trattato di
Maastricht innescherebbe un processo di rapida liquidazione degli Stati
nazionali; ma ciò significherebbe la disgregazione dell’Europa, che
precipiterebbe nell’anarchia e nel tribalismo. Si tratta di un vero e proprio
itinerario suicida, coerentemente rivendicato dai teorici della Nuova Sinistra.
D’altra parte, il rifiuto del
processo disgregativo di Maastricht costituisce un passo necessario per la
rinascita dell’Europa.
Se la parola Europa evoca oggi
memorie e speranze è perché essa è già una realtà: una realtà che non viene
“inventata” a Maastricht nel 1991, ma che è nata a Roma nella notte di Natale
dell’anno 800, con il Sacro Impero di Carlo Magno, e, prima ancora, a Subiaco e
a Montecassino, da dove si irradiò la riforma religiosa di san Benedetto da
Norcia (20).
Parafrasando le parole di san Pio
X nella celebre lettera apostolica Notre Charge Apostolique (21) e quelle di
Leone XIII nell’altrettanto celebre enciclica Immortale Dei (22), potremmo dire
che l’Europa “non è da inventare”, ma “è esistita ed esiste tuttora”, è la
Civiltà cristiana, un tempo unita, pur nella diversità delle sue nazioni, e
nella peculiarità dei suoi costumi e delle sue tradizioni, da un’unica
filosofia di vita: quella del Vangelo. “L’Europa – conferma Giovanni Paolo II –
è cristiana nelle sue stesse radici /…/ Nelle diverse culture delle Nazioni
europee, sia in Oriente sia in Occidente /…/ scorre una sola comune linfa
attinta ad un’unica fonte” (23). La difesa della nostra Civiltà, occidentale e
cristiana, passa attraverso la difesa di queste nazioni e di queste tradizioni.
N ella varietà degli Stati nazionali europei si esprime infatti la ricchezza
culturale dell’Europa e la sua identità storica e morale.
Il processo rivoluzionario che da
oltre cinque secoli ha investito la Civiltà cristiana (24) rappresenta una
negazione radicale di questa Europa, della sua identità e della sua storia:
l’esito ultimo e coerente di questo processo è il nichilismo anarchico e
tribale della Nuova Sinistra.
Un trattato intoccabile?
Il Trattato di Maastricht non è
“intoccabile”, così come il processo di unificazione europea in corso non può e
non deve essere considerato come un processo “irreversibile”. Già oggi del
resto non lo è per la Gran Bretagna e per la Danimarca, che si sono riservate
il diritto di non passare alla “terza fase”.
Ci sembra importante
sottolinearlo: se c’è un mito oggi in frantumi, è quello della “irreversibilità
storica”, cioè di una presunta linearità degli avvenimenti di cui solo a
qualche “avanguardia” è dato cogliere il senso. Quando un socialista parla di
“irreversibilità storica”, il pensiero corre immediatamente alla interminabile
serie di profezie fallite che hanno caratterizzato la storia della sinistra
europea negli ultimi due secoli; ma i socialisti, eredi degli Illuministi e di
Hegel, continuano a presentarsi come i pervicaci interpreti del “senso della
storia”. Quando si parlava di unificazione tedesca, Willy Brandt profetizzava
che non sarebbe avvenuta prima della fine del secolo (25); oggi che si parla di
unificazione europea, Mitterrand profetizza che entro la fine del secolo
inevitabilmente avverrà. Il fondamento di queste profezie è sempre il medesimo:
il nulla. L’unica seria previsione che si può fare in questo scorcio di secolo
è quella della fine delle false profezie socialiste e del trionfo, questo sì
irreversibile, della verità; è in nome di questa verità che ci rivolgiamo a
Lei, per chiederLe di intervenire, in una sede così autorevole e significativa
quale è il Parlamento europeo, per combattere lo spirito e la lettera del
Trattato di Maastricht.
E’ davanti all’opinione pubblica
europea che chiediamo la Sua collaborazione, e Le offriamo la nostra, nella
ferma convinzione che oggi tutte le forze debbano unirsi nella difesa degli
Stati nazionali, dell’Europa e della Civiltà cristiana, così gravemente
minacciate dal nichilismo e dal caos, e nella altrettanto ferma certezza che
non vi è altra forza su cui fondare questa battaglia, al di fuori di Colui,
senza il quale nulla possiamo (Gv. 15, 5), ma con il cui aiuto tutto è
possibile (Fil. 4, 13), anche la resurrezione di una gloriosa Civiltà, quale fu
e sarà, nel secolo XXI, l’Europa.
Roberto de Mattei
Note
1 Le perplessità dei Parlamentari
europei sono evidenti dal Processo Verbale della seduta del 7 aprile, in PE
160.902.
2 Jacques Derrida, Oggi l’Europa,
tr. it., Garzanti, Milano 1991, p. 51.
3 Jean Chesnaux, Triomphalisme
européen, déchirure planétaire, in Le Monde diplomatique, décembre 1991, p. 24.
4 Edgar Morin, Pensare l’Europa,
tr. it. Feltrinelli, Milano 1990, p. 53.
5 J. Derrida, Oggi l’Europa,
cit., p. 14.
6 E. Morin, Pensare l’Europa,
cit., p. 134.
7 Cfr. il Protocollo sulla
transizione alla terza fase dell’Unione economica e monetaria, allegato al
Trattato.
8 Roberto de Mattei, 1900-2000,
Due sogni si succedono, La Costruzione – La Distruzione, Fiducia, Roma 1990, p.
44.
9 Corriere della Sera, 25 giugno
1990; ma cfr. sopratutto il Discorso di Bruges del 20 settembre 1988.
10 Die Zeit, 7 febbraio 1992;
vedi anche Zeitschrift fiir das gesamte Kreditwesen, 15 febbraio 1992.
11 Aristotele, Politica, IV, c.
5,1326 b, 22-30.
12 San Tommaso d’Aquino, De
Regimine principum, I, 15.
13 Peter Glotz, Manifesto per una
nuova Sinistra europea, tr. it., Feltrinelli, Milano 1986, p. 85.
14 Ivi, pp. 85-86.
15 Mikail Bakunin, La Comune e lo
Stato, tr. it. Samonà e Savelli, Roma 1972, p. 55.
16 Ivi, pp. 55-56.
17 Cit. in George Woodcock, L’anarchia, tr. it.
Feltrinelli, Milano 1980, p. 142.
18 Cfr. ad esempio, Alessandro
Bausani, L’Islam, Garzanti, Milano 1987, pp. 11, 37.
19 Maurice Allais, L’ Europe et
les Etats-Unis après Maastricht: questions et réponses, in Le Figaro, 6
febbraio 1992.
20 Il 2 ottobre 1964 a
Montecassino Paolo VI proclamava San Benedetto di Norcia Patrono d’Europa.
Giovanni Paolo II, con la Lettera Apostolica Egregiae Virtutis del 31 dicembre
1980 (in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, Tipografia Poliglotta Vaticana,
Roma, vol. III, 2 (1980), pp. 1833-1836) ha proclamato compatroni d’Europa,
accanto a san Benedetto, i santi Cirillo e Metodio, apostoli dei popoli slavi.
21 San Pio X, Lettera apostolica
Notre Charge Apostolique, del 25 marzo 1910 in Acta Apostolicae Sedis, vol. 2
(1910), p. 612.
22 Cfr. Leone XIII, Enciclica
Immortale Dei del 1 novembre 1885, in Acta Sanctae Sedis, vol. XVIII, p. 169.
23 Giovanni Paolo II, Lettera
Apostolica Euntes in mundum del 25 gennaio 1988, in Insegnamenti, cit., vol.
XI, 1 (1988), p. 220.
24 Cfr. l’opera capitale del
Prof. Plinio Corrêa de Oliveira, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, tr. it.
Cristianità, Piacenza 1977.
25 Der Spiegel, 23, 1989, p. 148.
La crisi economica, sociale e politica che l’Unione Europea oggi vive è sotto gli occhi di tutti.
RispondiEliminaIl testo del Prof. Roberto De Mattei, che precedette di quasi 10 anni l’entrata in vigore dell’Euro, si mostra oggi veramente profetico.