NIENTE BREVETTO SULL'EMBRIONE- La Corte Europea di Giustizia riconosce
la vita fin dal concepimento di Marina Casini
ZI11110611 - 06/11/2011
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LUSSEMBURGO, domenica, 6 novembre
2011 (ZENIT.org) - La sentenza pronunciata il 18 ottobre 2011 dalla Corte
Europea di Giustizia, nella causa C-34/10 Oliver Brustle vs Greenpeace e V.
merita di essere conosciuta per il suo contenuto e le sue implicazioni.
La Corte è stata chiamata a
pronunciarsi sulla definizione di “embrione umano” ed essa ha risposto che
“Costituisce un embrione umano qualunque ovulo umano fin dalla fecondazione,
qualunque ovulo umano non fecondato in cui sia impiantato il nucleo di una cellula
umana matura e qualunque ovulo umano non fecondato che, attraverso
partenogenesi, sia indotto a dividersi e a svilupparsi”. “Nessun brevetto può
essere concesso – ha continuato la decisione – a procedure che utilizzino
embrioni umani o che comunque ne presuppongano la preventiva distruzione”.
Dunque: viene accolto un concetto
ampio di embrione umano e non riduttivo. Si faccia attenzione: tale nozione
ampia è accompagnata dalla considerazione che manca a livello europeo una
“definizione uniforme” della nozione di embrione. Pertanto la Corte, le cui
pronunce fanno testo a livello di diritto europeo e non entro i confini del
singolo Stato che l’ha interpellata, ha inteso chiarire per tutti gli Stati
dell’UE cosa debba intendersi per “embrione umano”, nel contesto della materia
dei brevetti.
Importanza della sentenza
A livello di diritto comunitario
la Sentenza mette un punto fermo assai positivo. In primo luogo superato
definitivamente il concetto di pre-embrione.
Inoltre è chiarissimo che
l’inizio della vita umana è il concepimento e che il concepimento consiste in
qualsiasi evento che dà inizio allo sviluppo di un essere umano sia che tale
evento consista nell’incontro dello spermatozoo con l’ovocita (fecondazione),
sia che consista in una clonazione per sostituzione di nucleo, sia che consista
nella scissione gemellare (sostituzione di nucleo e scissione gemellare sono
due forme di clonazione). Ciò che rileva per la sentenza non è il modo di
inizio della vita umana, ma il fatto stesso dell’inizio della vita.
L’ovocita fecondato che è un
embrione, rappresenta la primitiva espressione di un corpo umano. È come dire
che non può esservi corpo umano vivente che non sia manifestazione di un essere
umano “a pieno titolo”, poco importa la sua “grandezza”. Dal punto di vista
antropologico questo è uno spunto importantissimo: la corporeità fa parte della
categoria dell’essere e non dell’avere.
Il riferimento alla dignità umana
è assai forte. La nozione di embrione in senso ampio si fa discendere “dal
rispetto dovuto alla dignità umana che non può essere pregiudicato”. Il
ricorrente Brustle aveva sottolineato l’importanza scientifica del brevetto
richiesto e le grandi prospettive terapeutiche e diagnostiche della sua
invenzione per la guarigione di malattie gravi e ampiamente diffuse, come, ad
esempio, il morbo di Parkinson. Ma la Corte al punto 2 del dispositivo,
risponde che “l’esclusione della brevettabilità riguarda altresì
l’utilizzazione a fini di ricerca scientifica, mentre solo l’utilizzazione per
finalità terapeutiche o diagnostiche che si applichi all’embrione umano e sia
utile a quest’ultimo può essere oggetto di un brevetto”. Nella motivazione si
legge (n. 43) che “se anche lo scopo di ricerca scientifica deve essere
distinto dai fini industriali e commerciali l’utilizzazione di embrioni umani
[…] non può essere scorporata dal brevetto medesimo e dai diritti da esso
derivanti”. Se e ricava che nel giudizio della Corte il peso della dignità
umana dell’embrione e la negatività della sua distruzione è maggiore del valore
della ricerca scientifica quand’anche essa miri a salvaguardare la salute dei
già nati. Se ne ha una conferma riflettendo proprio sull’eccezione prevista
nello stesso n. 2 del dispositivo “il brevetto è possibile quando l’invenzione
è utile a salvaguardare il bene dell’embrione stesso a cui si applica”.
Sembra giusto, infine, constatare
che la decisione della Corte, con tutti i suoi limiti, si colloca sulla linea
strategica che i movimenti per la vita da qualche tempo perseguono. La sfida che
essi pongono, più che sul giudizio gravemente negativo sull’aborto e quindi
sulla ingiustizia delle leggi hanno cancellato ampiamente la sua qualificazione
di delitto penalmente punibile, si colloca sul terreno dei diritti umani. Si
pensi alla proposta di modifica dell’art. 1 del cc. Alla petizione europea per
la vita e la dignità dell’uomo e alla più recente “iniziativa dei cittadini”,
sempre promossa a livello europeo.
Il riconoscimento dell’essere
umano come essere umano fin dal concepimento è l’ostacolo più grande per la
cultura “abortista” e viceversa è la forza più convincente della visione
personalista.
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