«La croce, non il successo Ecco la via del sacerdote» di Massimo
Introvigne, 07-11-2011, http://www.labussolaquotidiana.it
Nei vespri di venerdì 4 novembre
per l’inizio dell’anno accademico delle Università Pontificie di Roma,
Benedetto XVI – che in analoghe occasioni in passato aveva parlato di cultura e
di università – ha scelto di tornare con grande vigore sui temi dell’Anno
Sacerdotale e del ruolo del sacerdote.
L’occasione – per un Pontefice
estremamente sensibile agli anniversari, specie dei documenti del Magistero,
che così ha modo di riproporre all’attenzione di tutta la Chiesa, mentre di
solito i testi più antichi sono facilmente dimenticati – sono stati i
settant’anni da quando il venerabile Pio XII (1876-1958), con il motu proprio
«Cum Nobis» del 1941, istituiva la Pontificia Opera per le Vocazioni
Sacerdotali. Certamente, ha ricordato Benedetto XVI, il motu proprio del
venerabile Pio XII aveva lo scopo di «promuovere le vocazioni presbiterali», ma
non si trattava soltanto di questo: più in generale, Papa Pacelli pensava a
un’istituzione che potesse «diffondere la conoscenza della dignità e della
necessità del ministero ordinato» e incoraggiare la preghiera dei fedeli
per sacerdoti. E in effetti, ha
ricordato il Pontefice, il motu proprio «Cum Nobis» «rappresentò l’inizio di un
vasto movimento di iniziative di preghiera e di attività pastorali», tra cui il
Papa ha voluto citare il Serra Club, «fondato da alcuni imprenditori degli
Stati Uniti e intitolato a Padre Junípero Serra [1713-1784],
Frate francescano spagnolo, con
lo scopo di incoraggiare e sostenere le vocazioni al sacerdozio ed assistere
economicamente i seminaristi», sodalizio per cui il 2011 è pure un anno
significativo in quanto celebra il 60° anniversario del riconoscimento da parte
della Santa Sede.
Benedetto XVI, dunque, prendendo
come guida il motu proprio «Cum nobis» del 1941, ha voluto nuovamente
riaffermare il ruolo grande e indispensabile del sacerdozio nella Chiesa
Cattolica. «Fin dagli albori della Chiesa è stato evidente il rilievo conferito
alle guide delle prime comunità, stabilite dagli Apostoli per l’annuncio della
Parola di Dio attraverso la predicazione e per celebrare il sacrificio di
Cristo, l’Eucaristia. Pietro rivolge un appassionato incoraggiamento: “Esorto
gli anziani che sono tra voi, quale anziano come loro, testimone delle
sofferenze di Cristo e partecipe della gloria che deve manifestarsi” (1 Pt
5,1)». San Pietro rivolge tale appello ai sacerdoti «in forza della sua
personale relazione con Cristo, culminata nelle drammatiche vicende della
passione e nell’esperienza dell’incontro con Lui risorto dai morti. Pietro,
inoltre, fa leva sulla reciproca solidarietà dei Pastori nel ministero,
sottolineando la sua e la loro appartenenza all’unico ordine apostolico: dice
infatti di essere “anziano come loro”, il termine greco è sumpresbyteros.
Pascere il gregge di Cristo è vocazione e compito ad essi comune e li rende
particolarmente legati tra loro, perché uniti a Cristo con un vincolo
speciale».
L’immagine del pastore,
naturalmente, è diffusa nella Chiesa delle origini perché si tratta di una
metafora prediletta dallo stesso Signore Gesù. «E San Tommaso d’Aquino
[1225-1274] commenta: “Sebbene i capi della Chiesa siano tutti pastori,
tuttavia dice di esserlo lui in modo singolare: ‘Io sono il buon pastore’, allo
scopo di introdurre con dolcezza la virtù della carità. Non si può essere
infatti buon pastore se non diventando una cosa sola con Cristo e suoi membri
mediante la carità. La carità è il primo dovere del buon pastore” […]
(Esposizione su Giovanni, cap. 10, lect. 3)».
Il Papa ricorda che la grandiosa
«visione che l’apostolo Pietro ha della chiamata al ministero di guida della
comunità» è «concepita in continuità con la singolare elezione ricevuta dai
Dodici. La vocazione apostolica vive grazie al rapporto personale con Cristo,
alimentato dalla preghiera assidua e animato dalla passione di comunicare il
messaggio ricevuto e la stessa esperienza di fede degli Apostoli». Ma è anche
vero che «vi sono alcune condizioni» perché vi sia davvero una «consonanza a
Cristo nella vita del sacerdote» e tutto non si riduca a retorica. Il Pontefice
sottolinea tre di queste condizioni: «l’aspirazione a collaborare con Gesù alla
diffusione del Regno di Dio, la gratuità dell’impegno pastorale e
l’atteggiamento del servizio».
Molta letteratura oggi sottolinea
gli aspetti funzionali del ministero sacerdotale e la relazione con la comunità
dei fedeli, elementi che certamente non sono irrilevanti. Ma il Papa ricorda
che «innanzitutto, nella chiamata al ministero sacerdotale c’è l’incontro con
Gesù e l’essere affascinati, colpiti dalle sue parole, dai suoi gesti, dalla
sua stessa persona. È l’avere distinto, in mezzo a tante voci, la sua voce,
rispondendo come Pietro “Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e
conosciuto che tu sei il Santo di Dio” (Gv 6,68-69)». Senza questo incontro
personale e travolgente con il Signore non c’è autentica vocazione al
sacerdozio. «È come essere stati raggiunti dall’irradiazione di Bene e di Amore
che promana da Lui, sentirsene avvolti e partecipi al punto da desiderare di
rimanere con Lui come i due discepoli di Emmaus – “resta con noi perché si fa
sera” (Gv 24,29) – e di portare al mondo l’annuncio del Vangelo».
È importante non sbagliare la
sequenza logica e teologica, che va dall’alto in basso, da Dio Padre al
sacerdote passando per il Signore Gesù e per la Chiesa. «Dio Padre ha inviato
il Figlio eterno nel mondo per realizzare il suo piano di salvezza. Cristo Gesù
ha costituito la Chiesa perché si estendessero nel tempo gli effetti benefici
della redenzione. La vocazione dei sacerdoti ha la sua radice in questa azione
del Padre realizzata in Cristo, attraverso lo Spirito Santo». Se tiene sempre
presente questa sequenza nel suo giusto ordine, «il ministro del Vangelo allora
è colui che si lascia afferrare da Cristo, che sa “rimanere” con Lui, che entra
in sintonia, in intima amicizia, con Lui, affinché tutto si compia “come piace
a Dio” (1 Pt 5,2), secondo la sua volontà di amore, con grande libertà
interiore e con profonda gioia del cuore».
Il secondo aspetto che il Papa
sottolinea è la gratuità. In effetti, «si è chiamati ad essere amministratori
dei Misteri di Dio “non per vergognoso interesse, ma con animo generoso”, dice
san Pietro». Dunque «non bisogna mai dimenticare che si entra nel sacerdozio
attraverso il Sacramento, l’Ordinazione, e questo significa appunto aprirsi
all’azione di Dio scegliendo quotidianamente di donare se stessi per Lui e per
i fratelli, secondo il detto evangelico: “Gratuitamente avete ricevuto,
gratuitamente date” (Mt 10,8)». Questo richiede che anche chi è sacerdote da
molti anni continui a riflettere sulla sua vocazione, che non è una scelta
privata per una carriera piuttosto che per un’altra ma è una risposta a una
chiamata di Dio. «La chiamata del Signore al ministero non è frutto di meriti
particolari, ma è dono da accogliere e a cui corrispondere dedicandosi non a un
proprio progetto, ma a quello di Dio, in modo generoso e disinteressato, perché
Egli disponga di noi secondo la sua volontà, anche se questa potrebbe non
corrispondere ai nostri desideri di autorealizzazione».
Non senza severità, e forse con
un’allusione a vicende recenti, il Pontefice ha sottolineato come «mai dobbiamo
dimenticare – come sacerdoti – che l’unica ascesa legittima verso il ministero
di Pastore non è quella del successo, ma quella della Croce».
Il terzo aspetto fondamentale del
sacerdozio è il servizio alla Chiesa. Scegliere la strada della Croce vuol dire
per il sacerdote essere sempre consapevole che non è chiamato ad annunciare le
sue idee, le sue preferenze, le sue opinioni personali ma quelle della Chiesa.
I sacerdoti hanno ricevuto grandi tesori e tuttavia «non ne dispongono a
proprio arbitrio, ma ne sono umili servitori per il bene del Popolo di Dio».
Tra gli esempi evocati dal Papa, la «celebrazione fedele della liturgia» è un
segno evidente di questa docilità del sacerdote a essere servitore della Chiesa
e non promotore di stili o idee personali e private.
Tutto questo, ha concluso
Benedetto XVI, non vale solo per i sacerdoti. Anche le religiose, i religiosi,
i laici secondo la loro vocazione propria sono chiamati a partire sempre da una
relazione personale ed entusiasta con il Signore, a vivere l’apostolato in
gratuità e a rimanere sempre obbedienti alla Chiesa. È «importante per tutti,
infatti, imparare sempre di più a “rimanere” con il Signore, quotidianamente,
nell’incontro personale con Lui per lasciarsi affascinare e afferrare dal suo
amore ed essere annunciatori del suo Vangelo; è importante cercare di seguire
nella vita, con generosità, non un proprio progetto, ma quello che Dio ha su
ciascuno, conformando la propria volontà a quella del Signore; è importante
prepararsi, anche attraverso uno studio serio e impegnato, a servire il Popolo
di Dio», ciascuno nel proprio ambito. Anzitutto, ha detto il Papa «a Roma dove
si respira, in modo del tutto singolare, la cattolicità della Chiesa». Ma, in
un certo senso, dovunque c’è un vero cattolico, lì c’è Roma.
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