giovedì 22 dicembre 2011


LA COMPLEMENTARIETÁ DELLE SCIENZE ESSENZIALE PER COMPRENDERE L’UOMO di Massimo Gandolfini*, Newsletter di Scienza & Vita n°52 del 21 Dicembre 2011, http://www.scienzaevita.org  

La “lectio magistralis” del Cardinale Bagnasco,  riletta “a freddo”, è una vera fucina di provocazioni  di alto profilo culturale,  su temi la cui attualità è  costante, inerendo l’uomo in quanto tale, nel suo  rapporto con se stesso, con la comunità umana e con  la vita. Ognuno di questi esigerebbe un’attenta e  rigorosa trattazione. Da “uomo di scienza” vorrei  raccogliere lo stimolo che ci è stato proposto in  apertura, con la domanda: “E’ possibile conoscere?”,  correlata alla successiva affermazione: “La  conoscenza fa appello al senso comune,  all’esperienza universale”.  Personalmente ci leggo l’invito a riaffrontare il  grande tema del rapporto  fra “scienza” ed “etica”:  può esistere – o addirittura, deve esistere – una  scienza libera dall’etica? Sono sistemi fra loro  complementari o non piuttosto istanze  reciprocamente incompatibili?  Storicamente, il mondo scientifico nasce dal mondo  filosofico, come un esercizio particolare del pensiero,  finalizzato a dar vita ad un “sistema di conoscenze” –  ottenute con procedimenti metodici e rigorosi,  attraverso un’attività di  ricerca organizzata – in  modo da giungere a una descrizione, verosimile ed  oggettiva, della realtà e delle leggi che regolano  l’accadere dei fenomeni naturali.  La scienza, fin dal suo atto di nascita, ha  essenzialmente tre scopi: comprendere, spiegare e  (quando possibile) predire: giungendo aduna  conoscenza sia qualitativa che quantitativa dei  fenomeni osservati, si elaborano teorie interpretative  del reale, aventi, se possibile, capacità predittive.  Questo processo ci ha consentito, nel tempo, di  pervenire a un corpo di conoscenze in qualche modo  oggettive, nel senso di “teoricamente verificabili da  chiunque e ovunque”.  Nel mondo greco (si pensi ai Pitagorici o agli  Esclepiadi, notoriamente “parenti” tra loro) come nel  mondo latino e fino all’Illuminismo, “scienza” ha  sempre significato “conoscenza”, senza distinzione di  “campi del sapere”. E’ solo con l’affermarsi dei  “lumi” che inizia a operarsi una distinzione fra  “scienze naturali” e “scienze morali”, aprendo la  strada al positivismo che suggerì di riservare il titolo  di “scienza” alle “conoscenze dure o esatte”. Auguste  Comte affermò che la scienza, per essere tale, deve  necessariamente esprimersi in modelli matematici,  essendo “la matematica la base universale di tutte le  scienze”.   Questa impostazione operò nel sentire comune, nella  mentalità diffusa delle persone, in particolare dei  “non addetti ai lavori”, una netta distinzione : le  “scienze naturali” sono scienze esatte, indiscutibili,  oggettive, libere da ogni condizionamento culturale  d’altra natura che non sia la scienza stessa; le  “scienze morali” sono visioni soggettive, parziali,  opinabili, prive di un’impalcatura certa e  incontestabile. La rappresentazione matematica del  tema affrontato diviene la garanzia della oggettività  dell’assunto. A tutt’oggi questa mentalità permea  l’opinione dei più, per cui viene visto come “non  scientifico” (e, quindi, poco veritiero) ogni aspetto  della lettura del mondo che ci circonda che non sia di  ordine matematico, geometrico, chimico, e così via.  A smentire questa erronea visione, in tempi  recentissimi, è stato nientemeno che uno dei “padri”  della fisica/matematica, Albert  Einstein.  In  un  suo  famoso scritto, “Geometry and Experience” –  sottolineando che la matematica è uno strumento  parziale costruito dall’uomo per il solo studio  “quantitativo” della natura – si spinse a dichiarare  che “nella misura in cui le leggi della matematica si  riferiscono alla realtà, non sono certe; e nella misura  in cui sono certe, non si riferiscono alla realtà”.  Effettivamente, a ben vedere, siamo tutti consapevoli  che la natura ed il mondo del reale che ci circonda è  un vero sistema complesso multifattoriale, non  riducibile ad un’unica dimensione.  Riprendendo il paragone,  utilizzato dal Cardinale  Bagnasco, dell’opera d’arte, è incontestabile che la  Cappella Sistina non può essere valutata, letta,  giudicata correttamente se non si utilizzano  numerosi strumenti – o meglio, numerose “scienze”,  diverse e complementari (teologia, filosofia, fisica,  arte, architettura, estetica,  ecc..) – pena averne una  visione parziale e, quindi, erronea.  Questo criterio, a maggior ragione, deve valere per  “comprendere” il reale che ci circonda; in particolare,  l’uomo. Parti essenziali dell’esperienza umana non  sono valutabili, in modo ragionevole, all’interno di  un sistema rigido come quello che caratterizza le  cosiddette “scienze esatte”. Nessuna scienza,  singolarmente presa, è in grado di leggere la totalità  della realtà: ciascuna è solo in grado di produrre  percezioni incomplete, parti di una verità più grande,  nascosta nella complessità e totalità del fenomeno.  Il fisico Victor Weisskopf  (1994) affermò che  “l’approccio fisico, matematico, etico, artistico e  religioso non si contraddicono a vicenda, ma si  completano l’un l’altro”.   19 20 E’ il principio di “complementarietà” delle scienze,  che non può mai essere dimenticato (o peggio,  osteggiato) quando l’oggetto dello studio e della  programmazione scientifico-politica è nientemeno  che l’uomo stesso e il suo futuro.  Contrapporre “scienze naturali”, esatte, e “scienze  umanistiche”, aleatorie e opinabili, è  metodologicamente errato e storicamente pericoloso,  perché costituisce la base  ideologica della “scienza  senza etica”, essendo l’etica percepita e  rappresentata come freno e intoppo allo sviluppo del  sapere cosiddetto scientifico.  Anche sul piano rigorosamente storico, non si è mai  dato un agire scientifico che non rispondesse ad una  precisa impostazione etica. Il vero problema non è  affermare l’autonomia della scienza, quanto costruire  una “buona etica” che indichi un preciso sistema di  valori “indisponibili” cui riferirsi, primo fra tutti la  vita.  Ancora una volta, l’appello alla “ragione” costituisce  una sorta d’imperativo categorico se il fine cui  tendere è il bene di ciascun uomo e dell’intera  comunità degli uomini. E fra la pluralità di forme  d’esercizio della ragione, scienza ed etica sono  fondamentali “per garantire che i progressi medici  non vengano mai compiuti  ad  un  prezzo  umano  inaccettabile” (Benedetto XVI, 14 novembre 2011) .



* Primario neurochirurgo,
Direttore Dipartimento Neuroscienze,
Poliambulanza Brescia;
Consigliere nazionale Associazione Scienza & Vita

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