lunedì 28 maggio 2012


Sette scienziati contro Richard Dawkins e l’onnipotenza della scienza, 26 maggio, 2012, http://www.uccronline.it

Nel mondo esiste ancora qualcuno (si veda foto a sx) che ritiene che la scienza sia in competizione con la religione (e la filosofia), addirittura una alternativa ovviamente più efficiente a fornire risposte. “Più scienza e meno religione”, dicono i devoti dei secoli bui dell’Illuminismo (sempre foto a sx). La fallacia di tale argomentazione consiste nel concepire la fede in Dio come una sorta di “tappabuco” al non (ancora) comprensibile, alle lacune della conoscenza, come frutto dell’ignoranza umana. Ma nessuno crede a questo dio, non certamente i cristiani.

Anzi, come ha spiegato John Lennox, docente di fisica e matematico presso l’Università di Oxford: «per il cristianesimo, e solo per esso, Dio non è certo una spiegazione alternativa alla scienza e perciò non può puramente essere inteso come “Dio delle lacune”. Al contrario, Dio è la ragione di ogni spiegazione». Il suo collega di Oxford, il filosofo Richard Swinburne ha approfondito: «io non sto presupponendo un “Dio delle lacune”, un dio al puro scopo di spiegare le cose che la scienza ancora non ha spiegato. Io sto presupponendo un Dio allo scopo di spiegare perché la scienza spiega; io non nego che la scienza spieghi, ma presuppongo Dio per spiegare perché la scienza spiega» (da “Fede e scienza”, Armenia 2009, pag. 56-57).  Segnalare i limiti della scienza non significa dunque avvallare “l’ipotesi di Dio” (non c’è concorrenza), ma soltanto far crollare il “credo” scientista-riduzionista, acquisito dai cosiddetti “New Atheist” per giustificare la loro irreligiosità.

La limitatezza dell’indagine scientifica è proprio il filo rosso che ha collegato la maggior parte delle interviste recentemente realizzate dalla rivista “New Statesman” a scienziati ed epistemologi. Iniziamo citando Richard Dawkins, il gran sacerdote dell’ateismo scientifico internazionale, proprio per sottolineare le enormi differenze dagli altri:  «sappiamo che, se vi è una domanda circa l’universo a cui la scienza non potrà mai rispondere, allora non potrà farlo nessun altra disciplina», ha affermato rispondendo. Dawkins qui intende con “universo” ogni cosa esistente, quindi anche l’uomo e le sue domande, i suoi “perché ultimi” e le sue aspirazioni. Infatti lo ribadisce dopo: «La scienza è la nostra migliore speranza per rispondere alle domande profonde dell’esistenza [...]. C’è qualcosa che la scienza non deve cercare di spiegare? No, non c’è».



Paul Davies, fisico, celebre divulgatore e direttore del programma “SETI”, è più serio e riflessivo e ha risposto: «La mia sensazione è che il metodo scientifico ha il potere di rappresentare e collegare fra loro i fenomeni dell’universo, compresa la sua origine, utilizzando le leggi della natura. Ma ciò lascia inspiegata l’esistenza delle leggi». «Gli scienziati», continua Davies, «normalmente accettano le leggi come “dato” [...]. Così forse le leggi fondamentali della natura saranno sempre off-limits per la scienza».

Martin Ress, astronomo e  presidente della Royal Society, discostandosi ovviamente da Dawkins, sembra concordare con Davies: «la nostra intelligenza non può allungarsi fino agli aspetti più profondi della realtà [...]. Ci sono dei limiti intrinseci al potere predittivo della scienza».

Peter J. Bussey, fisico delle particelle presso l’University of Glasgow, ha affrontato così la questione: «ci sono aree in cui la fisica non può dare risposte, come le considerazioni metafisiche: domande sulla fisica. Ancora più importante, la fisica non può trattare la nostra coscienza e la nostra natura di persone umane. La natura della coscienza è al di là del metodo e dell’apparato concettuale della fisica. Le teorie fisiche più intelligenti non servono a nulla qui, la fisica ha un mandato limitato e non è impostata per affrontare ciò che realmente significa essere umani. Procuste filosofie che cercano di ridurre l’umanità verso il basso per inserirla in un letto di fisica, sono una pericolosa illusione e devono essere evitate».

Precious Lunga, epidemiologo, è sulla stessa linea: «ci sono domande che si trovano al di là del mondo materiale e sono meglio affrontate dalla filosofia in quanto non riconducibili al metodo scientifico, e di conseguenza non vale nemmeno la pena cercare di spiegarle attraverso la scienza».

Denis Alexander, direttore del “Faraday Institute for Science and Religion” presso il St Edmund’s College (Cambridge), ha offerto la risposta più interessante: «La scienza per definizione è in grado di fornire, almeno in linea di principio, complete spiegazioni nomologiche per quegli articoli che si trovano all’interno del suo dominio. Ma la maggior parte delle cose che richiedono una spiegazione si trova al di fuori della competenza della scienza, comprese le spiegazioni assiologiche (perché lo stupro è sbagliato, perché penso che questa pittura sia bella…)». Ha quindi continuato, ribattendo a Dawkins: «non c’è nulla che la scienza non dovrebbe cercare di spiegare, a condizione però che quel che vuole spiegare sia all’interno del suo dominio. Purtroppo, non tutti gli scienziati fanno questa distinzione, portando ad una perdita di tempo e denaro pubblico, oltre all’imbarazzo verso la comunità scientifica». Ovviamente non sta parlando del -seppur imbarazzante- Piergiorgio Odifreddi, dato che non è né scienziato, né è considerato dalla comunità scientifica. Il biologo ha poi sottolineato anche la distinzione tra «scienza e scientismo, cioè l’idea che la spiegazione scientifica sia l’unica che conta».

Richard Swinburne, professore emerito di filosofia presso l’Università di Oxford  ha confermato quanto detto in altre occasioni: «la scienza non potrà mai spiegare perché ci sono leggi di natura che coprono il comportamento di tutti i fenomeni fisici. Questo perché la spiegazione scientifica del funzionamento delle leggi di un livello inferiore contiene la causa del funzionamento delle leggi ad un livello superiore in certe condizioni fisiche». Con acutezza ha affrontato anche la controversa questione del Multiverso: «ci sono innumerevoli multiversi logicamente possibili, disciplinati da leggi diverse e con differenti caratteristiche generali che non produrrebbero mai un universo in cui ci sia un pianeta dove gli esseri umani potrebbero evolversi. Quindi, se vi è un multiverso, ciò che la scienza non potrà mai spiegare è perché tale multiverso è di natura tale da produrre un universo “finemente regolato” per la produzione di esseri umani».

Derek Burke, biochimico e attuale vice-rettore dell’University of East Anglia, ha offerto il suo contributo : «come cristiano credo che ci sia uno scopo ultimo nel tentativo di spiegare l’intero mondo naturale. Sappiamo tutti che la scienza opera rispondendo al “come funziona?”. Ma se si chiede anche il “perché funziona?”, “che scopo ha la mia vita?”, questo è il genere di domande a cui la fede religiosa pretende di rispondere e a cui non può dare risposta la scienza e non lo farà mai, perché non è configurata per fare questo. Quindi abbiamo due tipi di domande, e due tipi di risposte, che si completano a vicenda. Abbiamo bisogno di etica e abbiamo bisogno di valori, e questi vengono dal di fuori della scienza. La scienza non è sufficiente».

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