giovedì 24 maggio 2012


Spagna - Quanti guai nelle fabbriche dei bambini, di Michela Coricelli, 23 maggio 2012

Il 3% dei bambini nati in Spagna sono frutto di un trattamento di fecondazione assistita. Ogni anno se ne realizzano 86.000: solo il 30% nelle strutture pubbliche, mentre il restante 70% avviene nei centri privati. Il business è florido, anche grazie al cosiddetto "turismo riproduttivo". Sono migliaia le coppie europee che ogni anno si rivolgono alle cliniche iberiche, da Barcellona a Valencia. E migliaia sono gli euro che questi istituti incassano. Per le vie delle città spagnole, incrociare un passeggino doppio (o addirittura triplo) è sempre più frequente: il 25% dei trattamenti finiscono in parti gemellari. Una coppia su sei, nel paese iberico, non riesce ad avere figli. Ma nella nazione europea in cui sembra ancora in auge il vecchio slogan sessantottino "proibido proibir", i paletti legislativi in questo campo sono pochi e sulle difficoltà collegate all’infertilità è fiorito un incredibile indotto. A fronte dei "soli" 37 centri della sanità pubblica che realizzano questi trattamenti, ne esistono 180 privati, che offrono i loro servizi a single e coppie spagnole e straniere.  Mettere a confronto la legislazione iberica con il resto delle normative europee è facile. Ovodonazione, donazione di spermatozoi, donazione di embrioni, fecondazione assistita per donne single, selezione genetica preimpianto: in Spagna è praticamente permesso tutto (o quasi), a differenza di quanto avviene in molti altri paesi Ue. In una delle pagine web dei tanti centri privati si legge testualmente: «L’attuale legislazione spagnola (in riferimento all’ultima riforma del 2006, ndr) vi permette di portare avanti dei trattamenti di riproduzione che non possono essere realizzati in molti altri paesi». Più esplicito non si può: non potete farlo a casa vostra? Venite da noi.
 Tutto facile, dunque, nel "paradiso dell’eterologa"? Non proprio. Questioni morali ed etiche a parte, restano le difficoltà, le insicurezze giuridiche e le situazioni irrisolte proprie di un campo spinosissimo. In un libro sulla «bioetica e la legge di riproduzione umana assistita» pubblicato un paio di anni fa come una sorta di manuale, sono stati elencati casi reali (incredibilmente reali), che potrebbero fornire spunti interessanti, soprattutto a chi guarda la Spagna come un esempio da seguire. Una donna sposata ha chiesto un trattamento di inseminazione artificiale, ma con il seme dell’amante: legittimo? Al centro di fecondazione assistita si presentano non due, ma tre persone (una donna e due uomini): vogliono un figlio, come deve comportarsi il medico? Dopo una fecondazione assistita realizzata con la moglie, un uomo chiede che gli spermatozoi in eccesso vengano usati per l’inseminazione di un’altra donna: poligamia? C’è poi il caso dell’utero in affitto, proibito in Spagna, ma non altrove: che succede se una coppia omosessuale torna a casa con un bambino (concepito ad esempio in India) e chiede che venga registrato all’anagrafe come figlio dei due uomini? Situazione ingarbugliate: storie piene di sofferenza, in particolare per chi non ha potuto scegliere nulla perché non è ancora nato. Intanto la crisi ha moltiplicato le "donazioni" di ovociti e gameti. Un vero guaio, visto che in Spagna non esiste un registro ufficiale per verificare che non si superi il limite legale di sei bambini generati dagli stessi donanti. 

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