giovedì 29 settembre 2011


Aborto per legge, nel mondo qualcuno ci ripensa -  In Cina si sono accorti che il controllo demografico ha prodotto immensi squilibri, la Russia prova a frenare il tracollo demografico, la Polonia ha tentato di ridurre il ricorso all’interruzione di gravidanza, mentre in Cile e Argentina si sta discutendo se mantenere le attuali norme restrittive - Un viaggio nei Paesi dove in Parlamento e nell’opinione pubblica si discute di aborto, Avvenire, 29 settembre 2011

Non sono pochi gli Stati che in questi mesi stanno mettendo in discussione il cosiddetto "diritto all’aborto" ttraverso un ripensamento delle proprie politiche in materia.
La Cina è forse il caso più eclatante, che dimostra le conseguenze nefaste di politiche per promuovere l’aborto non solo come diritto ma addirittura come strumento coercitivo di controllo demografico. Recentemente è stato GaoQiang, che per due anni ha ricoperto ruoli di primo piano al Ministero della Salute cinese, ad ammettere che la popolazione è in difetto di circa 400 milioni di unità a causa degli aborti forzati e degli infanticidi frutto della politica del figlio unico. In agosto un’altra breccia si era aperta nelle politiche demografiche cinesi: l’aborto selettivo eseguito sulle bambine, dovuto alla generale preferenza delle famiglie per i figli maschi, era finito al centro del documento programmatico elaborato dalle autorità cinesi per lo sviluppo e il benessere dell’infanzia. Nel documento si parlava espressamente di «discriminazione ai danni delle bimbe» e si manifestava la necessità di porre fine a tale fenomeno, anche se nessun cenno veniva fatto in merito alla politica del figlio unico.
Allarme demografico del tutto analogo è suonato in Russia, uno degli Stati col più alto tasso di abortività al mondo,
dove ad aprile il premier Putin ha indicato la ripresa delle nascite come misura primaria per rilanciare il Paese. Tra le misure indicate, anche una legge che avrebbe eliminato l’aborto dalla lista dei servizi medici compresi nel piano sanitario nazionale. È stato poi il presidente Medvedev, in luglio, a firmare una legge restrittiva approvata in precedenza dal Parlamento.
Anche in Polonia si è dibattuto sull’irrigidimento della legge che regola le interruzioni di gravidanza. Il tentativo di rendere il ricorso all’aborto sempre più raro è frutto di una chiara volontà popolare: 600mila firme raccolte per un testo che avrebbe reso illegale in ogni circostanza l’aborto, oggi consentito nei casi di pericolo di vita per la madre, incesto e gravidanze frutto di «attività illegali». La legge aveva superato il primo voto con il quale si era cercato di affossarla (254 favorevoli, 151 contrari), ma si è poi scontrata con l’ordine di partito di Platforma Obywatelska (Po), partito della coalizione di centrodestra, che ha determinato la bocciatura del testo per soli 5 voti (191 a 186). Jacek Tomczak, esponente della Po, ha dichiarato di aver ricevuto minacce di sanzioni pecuniarie da parte del proprio partito se avesse votato a favore della proposta.
Di segno opposto il risultato registrato in Liechtenstein, dove un referendum popolare ha bocciato pochi giorni fa la legalizzazione dell’aborto nel piccolo Principato dove a oggi l’interruzione di gravidanza resta penalmente punibile in ogni circostanza. Il 52,3% dei votanti ha espresso il proprio favore per lo status quo, dopo che il principe Alois aveva dichiarato che non avrebbe ratificato la legge e che, in giugno, 18 parlamentari su 25 si erano opposti a un testo più permissivo.
Agli esempi finora visti si contrappongono quelli di Paesi dove si compiono i primi passi verso legislazioni apertamente abortiste. Pochi giorni fa è giunta dal Cile la notizia di una prima apertura all’aborto terapeutico: la Commissione sanità del Senato ha approvato con tre voti contro due un testo che va in tale direzione. È attesa ora la discussione in Senato, dove si parlerà anche della possibilità di interrompere la gravidanza in caso di stupro, incesto e pericolo di vita. Contro tale ipotesi si è schierato il presidente cileno Sebastian Piñera, e anche la Conferenza episcopale cilena ha manifestato la propria preoccupazione attraverso un documento ufficiale.
Di aborto si discute anche in Argentina, dove il Parlamento si appresta a varare norme che rendano legale l’aborto in altri casi oltre a quelli già previsti (stupro e rischio per la salute della madre). Sono sette i progetti di legge sul tavolo: il dibattito su di essi, in un primo momento previsto per martedì scorso, è stato posticipato a dopo le elezioni che si terranno a ottobre.
Non è raro peraltro che i primi passi sulla strada dell’aborto come "diritto" vengano compiuti su invito degli organismi internazionali. È il caso delle Isole Mauritius, Stato al quale è giunto un richiamo da parte della Commissione Onu per l’eliminazione della discriminazione contro le donne. Secondo l’organismo, i diritti delle donne verrebbero violati dalla legge vigente, che permette l’aborto solo nel caso in cui la madre sia in pericolo di vita. Il dibattito si concentra così adesso su un testo che dovrebbe consentire l’aborto entro le 24 settimane di gravidanza qualora il feto sia deformato e in caso di stupro e pericolo per la salute fisica e "morale" della gestante.
Le pressioni internazionali non si limitano alla sfera politica, ma vengono esercitate anche a livello culturale. È quanto accaduto lo scorso giugno in Ungheria, dove una campagna antiabortista finanziata con denaro proveniente da fondi europei ha causato le proteste della stessa Unione europea.
Viviane Reding, vicepresidente della Commissione europea, chiese che i manifesti appesi in luoghi pubblici e raffiguranti un feto con lo slogan «So che non siete pronti per me, ma pensateci due volte e datemi in adozione. Lasciatemi vivere!» fossero ritirati.

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