martedì 27 settembre 2011

Avvenire.it, 27/09/2011 - «Avere» un figlio non è un diritto. Per fortuna - A cura di Silvano Petrosino

Al di là della tristezza che sempre sopraggiunge alla notizia dell'allontanamento di un figlio dai propri genitori; al di là delle ragioni giuridiche che hanno portato un tribunale ad una decisione così grave: separare una piccola dalla propria madre e dal proprio padre; al di là del comportamento di alcuni media che non hanno esitato un istante ad enfatizzare la triste vicenda parlando subito di “sentenza choc”; al di là anche delle sentenze, questa volta non di un tribunale, ma di qualche intellettuale che non si è lasciato sfuggire l'occasione per fare l'intellettuale denunciando con forza «il complesso di giudizi e pregiudizi» che alimenta i «modelli culturali prevalenti»; al di là di tutto questo, la triste vicenda della bambina di un anno e mezzo allontanata dai propri genitori di cinquantasette e settant'anni in quanto dichiarata “adottabile” dal tribunale per i minori del Piemonte, fornisce l'occasione per ribadire un principio essenziale: un figlio non è un diritto, avere un figlio non è un diritto. Per coloro che istintivamente reagiscono alla parola “principio”, percependo in essa un senso di imposizione ed un'inaccettabile restrizione della libertà personale, quella che appare come un'astratta asserzione potrebbe forse essere così tradotta: è bene che l'avere un figlio non si trasformi, innanzitutto per una coppia, per i loro parenti ed amici, ma poi in generale anche per l'intera società, in un diritto, è bene che il desiderio di avere un figlio non si capovolga e infine si perverta nell'affermazione di un diritto. Nel dire questo non si intende affatto opporre, come quasi sempre avviene in questi casi, alla rivendicazione di un “diritto” il richiamo, spesso un po' moralistico, all'urgenza dei “doveri”, ma si intende piuttosto suggerire che è bene che il drammatico legame che coinvolge una coppia con il loro figlio (atteso, desiderato, sognato, immaginato e poi magari avuto e talvolta purtroppo non avuto) sia vissuto al di là dell'orizzonte delimitato dalla concettualità relativa al diritto/dovere. Si potrebbe anche dire che è bene che l'immaginario che si sviluppa attorno alla figura del figlio non assuma mai la forma della rivendicazione di un diritto. Certo, non è facile, anche perché è proprio il nostro immaginario, alimentato con insistenza da un desiderio la cui mancanza non si risolve mai in quella di un semplice bisogno, a nutrirsi continuamente di rivendicazioni: «Non è giusto, perché loro sì e noi no? Perché a noi non è data la gioia di un figlio, che cosa ci manca e quale è la nostra colpa?». Evidentemente la “colpa” non è di nessuno, soprattutto perché non si tratta mai di legge, di reati, di diritti e di doveri. D'altra parte la nostra esperienza quotidiana non fa che mostrarlo con un'evidenza che sfugge solo a chi trasforma il non volere vedere in un'autentica militanza: innamorarsi non è un diritto, essere un grande artista non è un diritto, essere magri, belli e di successo non è un diritto, la fedele amicizia dell'amico non è un diritto, il ricevere un dono non è un diritto, ecc. Riconosciamolo con sincerità, tutto ciò che ha a che fare con gli aspetti più profondi dell'umano (l'amore, il dolore, il tradimento, la speranza, la fede, la paura della morte, ecc.) non può mai essere circoscritto e interpretato all'interno della griglia istituita dalla coppia diritti/doveri. Il desiderio dell'uomo esige il massimo rispetto, soprattutto quando esso riguarda l'attesa di un figlio, ma tale rispetto non deve condurre a quella sorta di passione che, confondendo la determinazione con l'ostinazione, finisce per trasformare il magnifico desiderio di maternità nel cupo appagamento di un bisogno narcisistico. Riconoscere e accogliere un limite al proprio desiderio è certamente uno dei passi obbligati verso il compiersi della propria umanità ed è anche il migliore antidoto contro l'emergere di pulsioni che finiscono per realizzarsi, talvolta inconsapevolmente, nel distruggere.

Nessun commento:

Posta un commento