giovedì 1 dicembre 2011


Minima coscienza, in fila per una nuova diagnosi - Al centro Don Orione  di Bergamo sono già 60 le persone in stato vegetativo che dal maggio scorso si sono sottoposte alla sperimentazione Un caschetto, collegato a un software, capta anche i più flebili segnali neuronali, ricostruendo un «dialogo» elementare con il mondo esterno. Il caso di Barbara Ferrari, quarantenne emiliana, da 13 ritenuta «vegetativa». Ma capace  di una prima risposta - di Francesca Golfarelli, Avvenire, 1 dicembre 2011

Al Centro don Orione di Bergamo si è coronato, sebbene parzialmente, il sogno di Giampaolo Ferrari, papà di Barbara una quarantenne emiliana, di Galliera, che vive da 13 anni in stato di minima coscienza. Infatti il signor Ferrari ha voluto portare qui sua figlia per verificare la capacità di interagire di Barbara, grazie alla sperimentazione di un nuovo software, chiamato «Elu1», che prova a ricostruire un «dialogo» tra i pazienti dichiarati in stato vegetativo e i loro cari. A ricevere i Ferrari, accompagnati da monsignor Fiorenzo Facchini, oltre al dottor Giovanni Battista Guizzetti, responsabile del reparto che accoglie pazienti in stato vegetativo, c’era l’ingegnere Daniele Salpietro, da mesi impegnato sui 24 casi stati vegetativi ricoverati al Centro don Orione di Bergamo, tutti sottoposti  alla medesima sperimentazione che ha effettuato Barbara. Il meccanismo di comunicazione è costituito da un caschetto (acquistabile con 90 euro) applicato a un amplificatore dei segnali cerebrali che può moltiplicare fino a un milione di volte gli impulsi neuronali, in modo da poter captare anche i minimi "spifferi" di volontà. Il nostro cervello quando pensa, cioè quando appunto mostra un’attività riconducibile alla coscienza, emette un segnale elettrico con frequenze. I moderni sensori sanno leggere l’attività elettrica cerebrale: in pratica "vedono" il pensiero prima che si traduca in azione.
E mentre su richiesta di un comando ordinario – ad esempio, "alza un braccio" – Barbara non ha eseguito alcun movimento pratico, con il caschetto che misura la volontà, quando le è stato chiesto di muovere gli occhi, ha dato un segno. Infatti sul monitor si muovevano alcune linee colorate quando le veniva chiesto di muovere gli occhi e si fermavano quando le veniva chiesto di tenere lo sguardo fisso su un punto. «Quindi sente e risponde?», si chiede il papà. Fino a quanto è cosciente? Come per altri, anche Barbara per il solo fatto di sentirsi capìta potrà uscire dallo stato vegetativo ed essere classificata in quello di minima coscienza? Sono gli interrogativi che si è portato a casa il signor Ferrari: le macchine forniscono i segni, ai medici serve tempo e altri esami per dare una risposta fondata che non suoni semplicemente consolatoria.
Ciò che abbiamo visto con Barbara – commenta il tecnico Daniele Salpietro – è stato possibile grazie al fatto che nel nostro cervello alcune attività variano anche con la sola  immaginazione motoria e quindi si prestano molto bene come segnali di controllo proprio in quei pazienti che non possono fisicamente muoversi. Molti di loro non possono muoversi perché gli infortuni hanno colpito i nervi, il midollo spinale o il cervello. Quanto fatto fino a oggi ci ha mostrato che è possibile, in modo economico, vedere tracce di comportamento volontario nel cervello di pazienti considerati – a torto – in stato vegetativo proprio perché non riuscivano a produrre comportamenti volontari».
Da maggio a oggi sono circa 60 le persone di età compresa fra i 25 e i 95 anni che hanno potuto sperimentare «Elu1». Per molti di loro la valutazione di «stato vegetativo» era stata fatta da più di due anni, in altri tramite D osservazione diretta, pochi almeno una volta all’anno. Questo forse può in parte spiegare come mai ben più del 40% di queste persone sono state in grado di segnalare che erano coscienti producendo volontariamente attivazioni cerebrali su comando.

Con alcune di loro è difficile entrare in contatto, si tratta per Clo più di persone «emotivamente» abbandonate e dunque senza nessuno che possa portare avanti attivamente la tutoria iniziata al centro con l’ausilio di un tecnico.  «Il progetto – spiega il dottor Guizzetti – è iniziato nel novembre 2010 e ancora non esistono altri centri in Italia dove si mette a disposizione di familiari questi strumenti». E così ci sono lunghe code per eseguire ogni fine settimana il test, dato che i familiari delle persone in stato vegetativo hanno il grande desiderio di trovare qualcuno disposto ad aiutarli a sostenere una condizione di fatica così grande, nutrono sempre una speranza per i loro cari.  

A decretare il successo i parenti stessi che continuano ad arrivare e si animano con la testimonianza di chi si accontenta anche solo di uno sguardo, di un sorriso, magari di un cucchiaino di gelato ingerito».  Al Don Orione collaborano come volontari al progetto anche ragazzi che frequentano il liceo, come Dionise e Marco, i quali imparano a usare il software per poi fare da «tutori» per pazienti e parenti. «Il progetto – riprende Guizzetti – ha ottenuto nel corso degli ultimi dodici mesi due importanti riconoscimenti: il primo da parte della Camera di Commercio di Milano, il secondo dalla Regione Lombardia la quale sta finanziando parte del progetto "Sostegno alla comunicazione". Così la Asl lombarda ha finanziato il progetto» e, si augura il medico, «speriamo di trovare le risorse per proseguire il prossimo anno» 

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