giovedì 17 febbraio 2011

Fedeltà censurata. «Ma è meglio del condom» - lo studio di Harvard smantella il luogo comune più ostinato: «Il virus si argina solo dentro la coppia» di Lorenzo Schopeflin, Avvenire, 17 febbraio 2011

Un sorprendente successo nella prevenzione: perché l’epidemia di Hiv è diminuita in Zimbabwe?: è il titolo dell’ultimo lavoro di Daniel Halperin, docente di Sanità internazionale ad Harvard, pubblicato pochi giorni fa sulla rivista scientifica Plos Medicine. E la risposta al quesito che viene data da Halperin e dagli altri autori, tra cui il ministro della sanità dello Zimabwe Owen Mugurungi e Bruce Campbell del Fondo per la popolazione delle Nazioni Unite (Unfpa), certamente scontenterà coloro che sono sempre pronti alla levata di scudi quando si afferma che il preservativo non è la soluzione.

Perché le parole chiave che riassumono l’approccio risultato vincente nel Paese del Sud dell’Africa sono: «Cambio di comportamento», «riduzione dei partner sessuali», «consapevolezza» del pericolo mortale costituito dall’Aids. Un programma dal chiaro contenuto educativo, insomma, che non fa affidamento esclusivamente sul condom quale soluzione di tutti i problemi.

E’ stato il 1990 l’anno in cui nello Zimbabwe si è registrata l’esplosione del contagio da Hiv che, dopo aver raggiunto il picco, si è assestato su un valore pressoché costante fino al 2000. Ed è con l’inizio del nostro secolo che in modo sorprendente si ha un rapido declino della diffusione della malattia. Per studiare questo fenomeno dal 2008 i ricercatori si sono interrogati, giungendo a una conclusione comune basata sull’osservazione dei comportamenti della popolazione: nello Zimbabwe, in concomitanza con la diminuzione della diffusione dell’Aids si registra un netto cambiamento delle abitudini sessuali. Maggior attitudine alla fedeltà al proprio partner, concezione negativa della frequentazione di prostitute, malattie contratte per via sessuale che divengono motivo di vergogna e non prova di mascolinità: sono tutte novità riconosciute come determinanti per la prevenzione dell’Aids. Ed è proprio «la riduzione dei partner» sessuali, conclude l’articolo, a giocare un «ruolo cruciale» nell’invertire la rotta.

Ci si può chiedere se il professor Halperin sia una mosca bianca o se le sue posizioni siano condivise dagli addetti ai lavori. A giudicare dalla corposa produzione di lavori scientifici e pubblicazioni divulgative che ribadiscono l’importanza delle questioni educative per la lotta all’Aids, si può dire che esiste quel «terreno comune» di cui proprio l’accademico di Harvard parlava già nel 2004. In quell’anno, in un intervento sulla rivista Lancet, sottoscritto da 149 tra leader religiosi, esponenti delle Nazioni Unite e dell’Oms e ricercatori di università di tutto il mondo, Halperin richiamava i principi cardine per un’efficace prevenzione della trasmissione del virus dell’Hiv.


Tra questi, programmi basati su educazione alla continenza sessuale per le giovani generazioni, fedeltà tra partner e uso di condom per i soggetti ad alto rischio come ad esempio le prostitute. Nell’articolo veniva anche sottolineata l’importanza del coinvolgimento di «organizzazioni religiose, associazioni giovanili, governi locali, media» per la promozione di nuove norme di comportamento in ambito sessuale. Un approccio assai diverso, insomma, da quello che prevede i soli rimedi farmaceutici, per di più proposti senza il coinvolgimento delle popolazioni locali. Tra i co-autori dell’articolo del 2004 figurano anche Edward Green e Norman Hearst: il primo, ricercatore ad Harvard, già nel 2003, dopo aver osservato i successi in Uganda dei programmi basati su astinenza e fedeltà, ammise che molti come lui si erano sbagliati credendo che l’educazione a una sessualità responsabile non potesse dare ottimi risultati; il secondo, professore di epidemiologia in California, è autore di molti articoli in cui si afferma l’importanza di un approccio integrato, che associ all’uso del condom provvedimenti in senso informativo ed educativo.


Proprio Hearst, commentando il libro «Affirming love, avoiding Aids; what Africa can teach the west» («Affermare l’amore, evitare l’Aids; cosa l’Africa può insegnare all’occidente»), ha detto che l’attenzione ai comportamenti sessuali è quello di cui c’è bisogno e che «funziona meglio». Il libro, scritto da Matthew Hanley, già consulente tecnico del Catholic Relief Services, e Jokin de Irala, dell’Università di Navarra, sulla base di dati relativi ai paesi africani, ribadisce l’importanza degli aspetti comportamentali rispetto a quelli tecnici. Il coinvolgimento dei governi africani testimonia inoltre che l’efficacia che a livello scientifico viene riconosciuta ai programmi educativi può essere declinata in azioni politiche.

Nel luglio scorso, le autorità dello Swaziland, il Paese col più alto tasso di contagio, hanno accolto con favore la proposta di due ricercatori, che dalle pagine del Guardian avevano invitato i governanti a promuovere un mese di astinenza. Justin Parkhurst, della London School di Igiene e Medicina tropicale, e Alan Whiteside, dell’università di KwaZulu-Natal, promotori dell’iniziativa, avevano da poco pubblicato un articolo sul South African journal of Hiv medicine in cui si parlava dell’astinenza come possibile rimedio al dilagare dell’infezione.

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