giovedì 17 febbraio 2011

Un’ingannevole libertà - I sostenitori più tenaci dell’autodeterminazione finiscono con l’affermare che si è davvero liberi solo rifiutando le curecontromano di Michele Aramini, Avvenire, 17 febbraio 2011

Con l’approssimarsi della discussione alla Camera della legge sul cosiddetto testa­mento biologico, ri­torna sul tappeto la questione dell’autodetermi­nazione. Secondo i critici, l’at­tuale testo non darebbe spa­zio sufficiente a quella dei sin­goli e sarebbe perciò una legge medievale. I fauto­ri dell’autodeterminazione assoluta vorrebbero spingersi fino a introdurre l’eutanasia, e nei loro libri scrivono coerentemente che l’individuo abbia anche il diritto al suicidio. Dal punto di vista teo­rico la loro posizione è facile da sostenere perché ormai cresce il numero di coloro che pensano erroneamente alla propria libertà come arbitrio e possibilità di fa­re ogni scelta.
In realtà si tratta di una posi­zione filosoficamente sbagliata, perché prende solo un aspetto della libertà u­mana – l’autodeterminazione – lo assolutizza fa­cendo consistere la libertà esclusivamente nella possibilità di scelta. Ogni rapporto della libertà con la sfera essenziale delle altre persone e con il mondo dei valori morali viene così del tutto can­cellato. Ma la libertà umana non è una struttura a­stratta: è sempre situata nella storia, in una trama di relazioni. Soprattutto non esiste una libertà che ha deciso di esistere, ma solo una libertà che si tro­va data a se stessa. Qui si scopre un limite essen­ziale all’autodeterminazione. Sei libero perché qualcuno ti ha fatto libero. Non solo: tale libertà è invitata a orientarsi in un mondo di valori e di legami, senza i quali essa diventa incomprensibi­le e rischia di diventare puro arbitrio, con il carico di violenza che ogni arbitrio comporta sui valori morali, sui legami personali e sulle persone stesse.

L’errore filosofico, come sempre, si traduce poi in una conseguente svalutazione dell’uomo. Recentemente ho partecipato a un convegno di infermieri professionali. Tra le tante relazioni, c’era anche la presentazione di alcuni casi. Uno di questi riguardava un uomo che durante il dialogo con un medico aveva manifestato la disponibilità a rifiutare la tracheotomia in modo da morire pre­vedibilmente presto, in seguito alla insufficienza respiratoria avanzante. Dopo aver discusso la cosa con la moglie e i due figli, il pa­ziente ha chiesto che gli venisse praticata la tracheotomia e che fosse aiutato dal respiratore ar­tificiale. Il commento di coloro che presentavano il caso era che la sua libertà era stata condizio­nata. Per loro non contava che moglie e figli siano essenziali al­la valutazione della propria vita e che il paziente, valutando meglio la propria condizione con l’aiu­to dei parenti, abbia potuto fare una scelta più pon­derata.


Conclusione ovvia: si sarebbe liberi solo rifiu­tando le cure. Il vero pericolo è che si diffon­da l’idea che l’autodeterminazione sia valida so­lo se va nella direzione del rifiuto delle cure. Chi non volesse percorrere questa strada sarebbe con­siderato un fastidio, magari perché 'condiziona­to' dai valori religiosi. Per questo è essenziale non lasciarsi ingannare dalle false sirene dell’autode­terminazione. 

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