giovedì 10 febbraio 2011

Legge 40: catena di smontaggio - contromano di Tommaso Scandroglio – Avvenire, 10 febbraio 2011

Pare che nel nostro Paese da un po’ di tempo si sia instaurato di fatto una sorta di parlamento parallelo. Un parlamento costituito da certi giudici che stanno tentando di modificare alcune leggi eticamente sensibili evitando l’iter di esame obbligatorio delle camere parlamentari. È il caso ad esempio della legge 40 sulla cosiddetta Procreazione medicalmente assistita (Pma). Moltissime sono state le ordinanze tese alla modifica di questa legge provenienti dai tribunali civili o amministrativi di tutta Italia. Le ricordiamo telegraficamente: Tribunale di Cagliari nel 2007; Firenze nel 2007, 2008 e 2010; Tar del Lazio nel 2008; Tribunale di Bologna nel 2009; Salerno nel 2010 ed infine Milano nel 2010 e nel 2011 pochi giorni fa. Cosa non piace della legge 40?

In pole position troviamo la richiesta di permettere la diagnosi genetica pre­impianto: per sei volte i giudici chiesero un intervento su questo punto alla Corte Costituzionale. Seguono in ordine sparso: possibilità di accedere alla fecondazione eterologa, di superare il limite di produzione di tre embrioni per ogni ciclo, di evitare l’immediato impianto aprendo quindi alla crioconservazione degli embrioni al di là di quanto già concesso dalla legge e infine accessibilità anche alle coppie fertili. Nel 2009 la Consulta permise di produrre più di tre embrioni e di crioconservare quegli embrioni che non sarebbero stati immediatamente impiantati in utero.


Quale strategia alberga dietro questi interventi demolitori di una legge che permette la soppressione di moltissimi nascituri nella speranza di farne nascere alcuni, ma che si vuole rendere radicalmente iniqua? La tattica di attacco si svolge secondo questi principi operativi. L’elemento democratico: il desiderio che la legge 40 cambi – così ci viene presentato – viene dal basso, in genere da una coppia che non riesce ad avere figli la quale si rivolge al giudice al fine di vedere coronato il suo sogno. Novellare la legge quindi rispetterebbe il sentito popolare (dimentichi del fatto che nel 2005 il 75% degli italiani tramite referendum chiese di non toccare la legge 40). Il caso pietoso: l’auspicata modifica della legge non viene presentata come azione giurisprudenziale o culturale di un’elite di intellettuali amanti di astratti sofismi giuridici, ma come necessità pratica per venire incontro alla sofferenza delle coppie. Non mettere mano alla modifica della legge rappresenterebbe un atto di crudeltà.

Il fattore 'dimenticanza': occorre cioè spostare l’attenzione dal nascituro, che sebbene concepito in provetta conserva anche lui il diritto di venire alla luce, ai bisogni della coppia. L’effetto trascinamento: gli attacchi giurisprudenziali riguardano aspetti caratterizzanti questa disciplina normativa, non certo marginali. Non interessano materie ad esempio quali il consenso informato, le strutture abilitate per la Fivet, la relazione annuale del Ministero della Salute, etc., bensì vanno ad incidere le fondamenta del dispositivo normativo. Sicuri così che la distruzione della fondamenta trascinerà con sé la demolizione di tutta la casa.


La vulnerabilità della legge 40: i giudici hanno fatto leva su alcune fessurazioni giuridiche già presenti nella legge. Come ha rilevato la Consulta la tutela dell’embrione non è assoluta, altrimenti il legislatore avrebbe vietato la fecondazione artificiale tout court. Allora c’è da domandarsi: se si può manipolare l’embrione cosa impedisce ai giudici di manipolare la legge?

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