venerdì 18 febbraio 2011

Una sentenza in Gran Bretagna regolamenta l'uso della pillola Ru486 - L'aborto non è mai una buona medicina (©L'Osservatore Romano - 18 febbraio 2011)

LONDRA, 17. Una vittoria delle donne. E della verità su una realtà così drammatica e complessa come quella dell'aborto, che mai può essere considerata come "sicura". È questa la reazione delle organizzazioni pro-life al pronunciamento di un giudice britannico che ha respinto la richiesta di consentire alle donne di compiere l'aborto chimico nella propria abitazione e non all'interno e sotto il diretto controllo di normali strutture sanitarie. Dopo settimane di dibattimento, il giudice Michael Supperstone dell'Alta Corte di Londra ha ritenuto infatti che permettere l'aborto "fai da te" rappresenti un tentativo inammissibile di reinterpretare l'Abortion Act del 1967.
A innescare la sfida legale è stata la British Pregnancy Advisory Service, gruppo imprenditoriale conosciuto come Bpa che - come sostiene il "National Catholic Register" - effettua circa 55.000 dei 200.000 aborti che ogni anno avvengono in Gran Bretagna. Secondo tale compagnia l'aborto, indotto nelle prime nove settimane di gravidanza attraverso la somministrazione delle note compresse Ru486, dovrebbe essere consentito a domicilio piuttosto che in ospedale. Ma a tale richiesta si è opposto anche il Governo che ha ribadito la validità della normativa attualmente in vigore, che richiede che la somministrazione dei dosaggi chimici per l'interruzione di gravidanza avvenga all'interno di strutture sanitarie. Come noto, infatti, molti, e a volte anche molto gravi, possono essere gli effetti sulla donna del cosiddetto aborto chimico. Katherine Hampton, portavoce della Society for the Protection of Unborn Children - organizzazione che sulla vicenda ha sollecitato un ampio dibattito nell'opinione pubblica - ha detto che la decisione del giudice Supperstone è stata "una vittoria per le donne". Per la Hampton, infatti, "se la Bpa avesse vinto questo caso, sarebbe stato mandato un segnale falso, che esiste un percorso "sicuro" per l'aborto. Questo avrebbe portato a più aborti. Inoltre, si sarebbero verificate ulteriori restrizioni all'obiezione di coscienza all'aborto da parte di medici e infermieri". Anche Margaret Cuthill, coordinatore nazionale di Abortion Recovery Care and Helpline, è soddisfatta della sentenza: "L'aborto non è mai una buona medicina per le donne. Ma questa procedura avrebbe aggiunto il trauma della solitudine al processo dell'aborto".

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