domenica 13 febbraio 2011

«Staminali, c’è ancora molta strada da fare» - Si lavora sugli effetti tumorali delle cellule «riprogrammate» di Emanuela Vinai, Avvenire, 13 febbraio 2011

Che le cellule «Ips» – staminali pluripotenti indotte, ovvero cellule somatiche potenzialmente in grado di trasformarsi in quasi tutte le altre ma senza sacrificare embrioni umani – potessero presentare margini di instabilità e di rischio lo aveva già ammesso lo stesso Shinya Yamanaka, il loro scopritore, ben prima che la rivista scientifica Cell Death and Differentiation mettesse in guardia venerdì contro la loro potenziale oncogenicità qualora venga usato un certo gene (il c-Myc) per ottenere l’effetto del ringiovanimento allo stadio simil-embrionale. In più occasioni il ricercatore giapponese ha spiegato che «il meccanismo di riproduzione cellulare accelerato comporta il rischio che i tessuti, una volta trapiantati, sviluppino particolari neoplasie chiamate teratomi». E ancora: «Prima di effettuare trapianti cellulari occorrerà superare molti ostacoli. Primo tra tutti, ottenere metodi di generazione più stabili e sicuri», obiettivo al quale molti ricercatori stanno lavorando con i primi successi. Dunque nessuna mistificazione com’era invece accaduto nel caso dello scienziato coreano Hwang Woo-suk, scomparso dalle scene dopo i suoi esperimenti contraffatti sulle staminali embrionali e la clonazione, ma la consapevolezza di dover ancora lavorare su una tecnologia dalle molteplici applicazioni e dagli innegabili benefici etici, per nulla sminuiti dalle ultime notizie. In un articolo pubblicato nel 2006 Yamanaka dimostrò che quattro geni (Oct4, Sox2, c-Myc, klf4) sono in grado di riprogrammare il genoma delle cellule e di farle così ritornare a uno stadio embrionale, in cui diventano capaci di generare tutti i tipi cellulari. Una rivoluzione copernicana in un settore in cui si continuano a creare e distruggere embrioni umani per ottenerne cellule staminali, ricorrendo anche agli embrioni 'soprannumerari' avanzati dai cicli di fecondazione assistita. Le Ips stanno obbligando a cambiare prospettiva, e con la loro plasticità promettono di offrire numerose soluzioni terapeutiche oggi solo ipotizzate. Di qui anche le resistenze incontrate tra i fautori della libertà di ricerca sugli embrioni umani. Lo studio pubblicato su Cell Death and Differentiation, frutto della collaborazione di alcuni istituti di ricerca tra i quali l’Istituto europeo di oncologia di Umberto Veronesi (anch’egli sostenitore della ricerca con embrioni), non fa che rammentare l’esigenza di procedere con cautela e determinazione. Ma approfondire criticità scientifiche non equivale ad approfittarne per introdurre il concetto di «dovere morale» nell’utilizzo degli embrioni soprannumerari per la ricerca.

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