giovedì 5 maggio 2011

PILLOLE Amare - NEL 2010 SONO STATI SOLO 21 I FARMACI APPROVATI DALL'AGENZIA AMERICANA FDA, COME CONFERMATO DAL COMMISSARIO DELL'ENTE Margaret Hamburg – di Francesca Cerati da http://www.ilsole24ore.com

Ridimensionamento, acquisizioni, diversificazione. Il fattore che costringe Big Pharma a ripensare al suo modello di business è l'enorme numero di brevetti che scadrà nei prossimi cinque anni. E che ha garantito gran parte dei profitti degli ultimi decenni. Tra oggi e il 2015, secondo Ims Health, prodotti che oggi fatturano oltre 142 miliardi di dollari dovranno affrontare la concorrenza dei generici, fondamentali per la sostenibilità della spesa farmaceutica.
Il 53% degli italiani nel 2009 si è affidato a questi farmaci e nel 2010 il 15,3% delle prescrizioni mediche di fascia A, rimborsate dal Ssn, ha riguardato farmaci equivalenti, con un risparmio per lo Stato pari a 625 milioni di euro. In più, l'Aifa (Agenzia per il farmaco), in una recente delibera ha abbassato il valore dei rimborsi per i generici dal 10 al 40% per far risparmiare 600 milioni all'anno al Ssn. Il provvedimento, però, non è ancora coinciso con la riduzione del prezzo da parte delle aziende produttrici e il rischio è che l'adeguamento ricada sui bilanci delle famiglie. I ticket sui farmaci infatti sono più cari, come si legge nel rapporto di Federfarma sul 2010: la quota a carico dei pazienti è passata dal 6,6% nel 2009 al 7,6% nel 2010.
Con anche la "stretta" dei governi sui bilanci della sanità, non c'è da meravigliarsi che le farmaceutiche stiano tagliando i costi e spostando il focus. La strategia finora adottata è stata quella di acquisire promettenti farmaci da sviluppatori esterni e d'investire su prodotti che non richiedono prescrizione. Poi è iniziato lo spostamento verso altri mercati, Asia in testa. Tutto questo porterà a una riprogettazione della società farmaceutica?
Dentifrici, collutori e bevande energetiche non sono proprio quella che si dice «l'avanguardia della scienza della vita», ma fatturano di più. Insomma, il consumer healthcare paga. E bene. Anche se, per esempio, Glaxo sta lavorando su terapie innovative per il cancro, resta il fatto che il suo prodotto di punta nei mercati emergenti come l'India è un latte in polvere al malto che ha raggranellato 214 milioni di dollari nel 2009, raggiungendo il 48% del mercato delle bevande calde. Ma diversificare non signica solo vendere una gamma più ampia di prodotti. I giganti del farmaco si stanno espandendo nei mercati emergenti, che possono acquistare medicine che non potevano permettersi qualche anno fa.
Nel complesso, nei prossimi cinque anni, la crescita delle vendite nei mercati emergenti sarà tre volte superiore a quella dei mercati sviluppati. Già oggi il 20% del totale delle esportazioni farmaceutiche indiane riguarda gli Usa: dai 128 miliardi di rupie nel 2003 si è passati ai 384 miliardi di euro nel 2009. Le Big Pharma sanno anche che devono fare di più che vendere dentifrici ed espandersi in Asia: hanno bisogno di nuovi farmaci, e velocemente. Già, ma le loro pipeline non hanno ancora sufficienti molecole in grado di sostituire i blockbuster in scadenza.
Come si è arrivati a questo punto? I drastici tagli di budget in R&s è uno dei più profondi cambiamenti del settore degli ultimi decenni. Che ha ridotto, a partire dal 1997 a oggi, il numero di nuove sostanze sul mercato del 44%, secondo Cmr international. E, come in una reazione alchemica inversa, l'oro si è trasformato in piombo: i soldi risparmiati sono serviti per produrre integratori e non medicine. Come se le grandi scoperte del secolo scorso avessero frenato il mercato di questo inizio secolo.
Poi c'è stata la esternalizzazione della ricerca. Una buona notizia per le organizzazioni di ricerca a contratto, che assumono molti dei rifugiati di Big Pharma. Non a caso, alcuni dei migliori farmaci oggi in commercio sono stati concepiti in laboratori esterni, come il Crestor di AstraZeneca e Abilify della Bristol-Myers Squibb. Ma il tasso di outsourcing fino a dove può arrivare? Di certo le farmaceutiche dovranno conservare un sufficiente know how interno per continuare a valutare correttamente il valore delle molecole sfornate dalle piccole società esterne. Senza contare che gli alti profitti vanno anche giustificati... Internamente al settore dicono che è tutta una questione di equilibrio: la "torta" sarà composta da farmaci tradizionali, una quota di vaccini, prodotti di consumo, mercati emergenti e farmaci biotech, nuovo terreno di caccia. Detto questo, in che misura cambierà l'industria farmaceutica prima di perdere la sua anima scientifica e la sua strada?

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