Obama e i gay, idealismo e calcolo politico di Gianni Riotta, 11/5/2012,
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Il sì ai matrimoni omosessuali è
il primo atto storico di Barack Obama. In piena campagna elettorale per la Casa
Bianca 2012, schiera il Partito democratico in quello che è oggi, con l’aborto,
il più urticante scisma culturale tra progressisti e conservatori, 50% a
favore, 48% contro. Il Presidente ha detto: «È per me importante affermare che
le coppie omosessuali debbano potersi anche sposare», subito schermando la sua
decisione dietro Marines gay al fronte; funzionari del suo staff «monogami e
fedeli, con bambini» clandestini perché non eterosessuali; le figlie Malia e
Sasha con compagne di scuola figlie di gay.
Obama ha cambiato parere da
quando, in campagna per il Senato 2004, disse: «Per la mia fede religiosa credo
che il matrimonio sia sacramento che lega un uomo a una donna». Nel saggio
«L’audacia della speranza», 2006, farà un passo in avanti, nel suo stile
cerebrale: «Non è impossibile che la mia scelta di non voler sostenere i
matrimoni gay sia fuori rotta». Infine il sì netto.
Ci sono nella svolta di Obama una
dose di idealismo e una di calcolo politico, come sempre per ogni presidente in
carica. Nella corsa che lo opporrà al repubblicano Mitt Romney a novembre,
Obama ha un deficit grave, aver fatto poco per il sogno di un’America più
saggia e giusta. L’economia, con la peggiore crisi dal 1929, gli ha impedito le
riforme, perfino la sanitaria è a rischio davanti alla Corte Suprema. Il mondo
arabo ha gestito da sé le sue rivoluzioni, la pace in Medio Oriente non è più
vicina che sotto G.W. Bush, in Iraq e Afghanistan si gestiscono ritirate
strategiche e, come diceva Churchill, le ritirate non vincono la guerra.
Il sofferto consenso ai matrimoni
gay sventola per la base liberal, i giovani che l’hanno sostenuto con passione,
la bandiera dei diritti. Al tempo stesso però Obama delega ai singoli Stati di
votare, o no, una legge sui matrimoni non etero. Nella storia americana il dilemma
se un diritto debba essere affermato da Washington, a livello federale, o dagli
Stati, è drammatico. La guerra civile 1861-1865, che ha fatto più morti di
tutti gli altri conflitti Usa, s’è accesa proprio per lo scontro fra Stati
sulla schiavitù: Lincoln era disposto a lasciarla in vigore nei vecchi Stati
del Sud, ma la polemica sulla sorte degli schiavi fuggiti al Nord, e
l’introduzione dell’odioso sistema nei nuovi Stati dell’Unione, risultarono
impossibili da mediare. Solo a metà guerra, con il Proclama di Emancipazione,
Lincoln fa del tema diritto civile universale.
Il calcolo politico di Obama è
dunque sottile e non privo di rischi. Sa che i militanti democratici si
galvanizzeranno, la comunità gay è ricca dei suoi più generosi finanziatori.
Radicalizzando il voto, caricatura i repubblicani da parrucconi estremisti,
capaci nelle primarie dell’Indiana di bocciare l’esperto senatore Lugar per
eleggere il conservatore Mourdock, legato ai populisti Tea Party. Obama sa però
anche che gli elettori afro e latinoamericani, suoi sostenitori di prima linea,
sono spesso ostili alle nozze gay, anatema per cattolici ed evangelici nelle
comunità rurali. Gli esperti di «metadata», che analizzano le conversazioni sui
social network, Facebook, Google, twitter, siti e microblog, confermano al
Presidente che il voto 2012 si decide sull’economia (ieri dati così così su
import/export e occupazione). Quindi meglio «parlare alla Storia» su un tema
non cruciale per la Casa Bianca. Il vicepresidente Biden, cattolico, s’è detto
favorevole alle nozze gay pochi giorni fa, gli analisti di «metadata» hanno
setacciato le reazioni Web e, forte del loro scudo digitale, Obama è sceso in
campo.
Se ora Romney, pressato dai
conservatori, lancerà un emendamento costituzionale contro le coppie gay, la
campagna devierà dai temi della crisi e del lavoro: sollievo per Obama. Un
referendum in tal senso è passato martedì in North Carolina ed altri simili
sono in vigore in 30 Stati. Una mezza dozzina di Stati, fra cui New York,
permettono nozze gay, altri voteranno il referendum a novembre.
Ad Obama la critica ultras del
New York Times , che ogni domenica pubblica la popolare rubrica di cronaca
mondana dei matrimoni gay bene di Manhattan: il foglio progressista lo pungola
per non avere proclamato come «diritto universale» il matrimonio tra coniugi
dello stesso sesso, sotto l’egida del 14˚ emendamento alla Costituzione «uguale
protezione dei cittadini». A suo tempo l’emendamento fu impugnato quando nel
Sud bianchi e afroamericani non potevano sposarsi. Obama, politico fine, non lo
usa per non esacerbare il clima.
Questo è il quadro politico e a
novembre vedremo se Obama ha ben interpretato l’umore americano dai «metadata»
Web. Resta però nei libri di storia che, nel maggio 2012, un Presidente degli
Stati Uniti d’America ha proclamato il diritto alle nozze tra cittadini
omosessuali. Per molti americani è vittoria politica, per tantissimi altri fine
di un personale tormento, una privata ingiustizia. Cultura, fedi religiose,
politica, economia, scuola, famiglia, Welfare, le forze armate, l’intera
società americana muoverà adesso sulla strada aperta da Obama. Comunque la si
pensi in Europa, com’è affascinante il carisma di una Repubblica che, da due
secoli e mezzo, insegue, tra cadute e conquiste, l’uguaglianza e la felicità
dei diritti universali, davanti a Dio e alla legge.
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