«Stati vegetativi: è tempo di sostenere le famiglie» di Maria Angela
Masino, 12 maggio 2012, http://www.avvenire.it
Coinvolgere i non coinvolti: è lo
slogan del comico Alessandro Bergonzoni, testimonial di "Gli amici di
Luca" e della Casa dei Risvegli, centro innovativo di riabilitazione e
ricerca sul coma. Perché, come sintetizza Bergonzoni, il risveglio non deve
riguardare solo la persona in stato minimo di coscienza o chi la accudisce, ma
tutti noi, potenziali portatori del problema. Se n’è parlato ieri, a Milano,
durante il convegno "Il risveglio della coscienza.
Curare e prendersi cura delle
persone in stato vegetativo" organizzato dal Centro di Ateneo di Bioetica
dell’università Cattolica in collaborazione con la Fondazione Irccs Istituto
Neurologico Carlo Besta di Milano. «Non ci sono solo i parenti, ma diverse figure
di caregivers, assistenti sia professionali sia volontari che oggi garantiscono
la qualità di vita di questi pazienti in stato vegetativo, bambini, giovani,
adulti e anziani», ha spiegato Fulvio De Nigris, responsabile dell’Associazione
La Rete. Ed è a loro che deve rivolgersi il nostro sguardo.
«Il familiare che assiste i
propri cari diventa sempre più io trasparente che quotidianamente antepone i
bisogni del disabile ai suoi. Questa eroica dedizione, però, può comportare il
suo cedimento che si manifesta con sensi di colpa, inadeguatezza, angoscia,
chiusura», spiega Adriano Pessina, ordinario di Filosofia morale e direttore
del Centro di ateneo di bioetica, Università cattolica del Sacro cuore di
Milano. Pian piano, chi assiste si ritira dalla vita sociale e
contemporaneamente viene dimenticato e lasciato solo a farsi carico di enormi
problemi: «Difficoltà ad andare al lavoro, seguire i figli, ma anche
frequentare amici, vivere momenti di spensieratezza», spiega Pessina. Questa
spersonalizzazione ha un riverbero negativo sull’assistito. Soluzioni per
restituire identità e forza alle persone che si occupano di curare i colpiti da
questa gravissima disabilità sono quelle di sostenerle economicamente, ma
soprattutto aiutarle a ricostruire una trama di rapporti sociali, affettivi e
culturali.
«È necessario lavorare per
sviluppare politiche accoglienti nei confronti di queste famiglie, definite
facilitatori sostanziali», ha aggiunto la professoressa Matilde Leonardi,
neurorologa, direttore scientifico del Coma Research Center del Besta di Milano
e coordinatrice del progetto Funzionamento e disabilità negli stati vegetativi.
E per accoglienza si intende dar loro la possibilità concreta di lavorare, fare
la spesa, avere momenti di rigenerazione. Qualche dato: il 77% di chi assiste
una persona in stato vegetativo è donna sui 50 anni in piena attività
lavorativa spesso costretta a ritmi funambolici fra cura, professione, problemi
economici. Ci sono mamme che dedicano 24 ore su 24 ai figli in stato
vegetativo, mogli che impiegano 4-5 ore quotidiane solo in attività di semplice
accudimento dell’assistito. Nella stragrande maggioranza dei casi il coniuge ha
56 anni e ovviamente non essendo più in grado di lavorare non produce reddito.
Tutto il peso dell’assistenza e del mantenimento della famiglia così grava
sulla donna.
Cifre alla mano il rischio burn
out, cioè perdita della capacità di controllo della situazione, è davvero
dietro l’angolo. Tante però sono le cose che si potrebbero fare: assistenza a
domicilio, sostegno psicologico ed economico, creazione di una rete di
mutuo-aiuto nell’ambito di un welfare da riprogettare attraverso l’ascolto.
«Perché non è quello che si pensa di poter fare, ma ciò di cui i disabili e le
loro famiglie hanno effettivo bisogno quel che si deve realizzare», ha concluso
Paolo Fogar, presidente della Federazione nazionale associazioni trauma
cranico. Obiettivo: aiutare a vivere chi offre quotidiana assistenza a questi
pazienti e, indirettamente, garantire ciascuno di noi, non immune dal rischio
disabilità.
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