giovedì 5 maggio 2011

CARO AUGIAS, NON E’ CON IL TESTAMENTO BIOLOGICO CHE SI TUTELA IL PAZIENTE - Lucio Romano, Copresidente nazionale Associazione Scienza & Vita - Pubblicato il 5 maggio 2011 da http://www.blogscienzaevita.org/

La risposta di Corrado Augias – pubblicata il 3 maggio nel quotidiano La Repubblica – a un accorato e coinvolgente interrogativo posto da una lettrice, induce a un supplemento di riflessione. Un supplemento perché sull’argomento in oggetto – vale a dire Dichiarazione Anticipata di Trattamento (DAT) versus Testamento Biologico (TB) – abbiamo già trattato, nel blog e non solo, con argomentazioni proprie della bioetica e del biodiritto, anche in ragione del parere espresso dal Comitato nazionale per la Bioetica il 18 dicembre 2003.

Usando una buona dose di emotivismo, strumento suggestivo per ottenere consenso, Augias etichetta negativamente “qualunque disegno di legge” – richiamando implicitamente quello in discussione alla Camera – “per la sua inevitabile burocraticità e furbizia, nelle assurde cautele, negli spaventati distinguo”.

Sovrapponendo impropriamente definizioni, contenuti e finalità certamente diversi tra DAT e TB,  l’argomentazione sostanziale addotta da Augias, raffinato giornalista, è che si tradirebbe l’idea di fondo: dare espressione assoluta a un’esigenza di libertà. Si evince, pertanto, che Augias è d’accordo solo per una formulazione che sia da TB e non da DAT. Leggo in questo una palese contraddizione. Delle due l’una: o Augias ritiene che non si debba legiferare, oppure che si debba legiferare solo in termini di testamento biologico. Nel secondo caso, che sembra sia più a cuore e auspicato da Augias, il tutto si tradurrebbe – “per un’esigenza di libertà” – in vincolatività assoluta per il medico per una decisione assunta “ora per allora”.

Come è noto, la decisione assunta “ora per allora” è una criticità – tra le tante e gravi – dei TB che, senza l’attualizzazione propria delle DAT, conseguenza diretta di un virtuoso prosieguo della relazione di cura tra medico e paziente, comporterebbe inevitabilmente la legalizzazione di abbandoni e omissioni di tipo eutanasico. E poi, una libertà assoluta, utopica e ideologizzata, espressa in forme vincolanti, ovviamente vaghe e generali circa trattamenti futuri, non potrà essere certo a favore del paziente. Tutt’altro.

Mi è caro ricordare, come recita la Carta degli Operatori Sanitari, che quella tra medico e paziente è “una relazione interpersonale, di natura particolare [...] un incontro tra una fiducia e una coscienza. La fiducia di un uomo segnato dalla sofferenza e dalla malattia, e perciò bisognevole, il quale si affida alla coscienza di un altro uomo che può farsi carico del suo bisogno e che gli va incontro per assisterlo, curarlo, guarirlo [...]”.

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